Il Socialismo etico di Francesco Saverio Merlino

Per gentile concessione dell’autore e della redazione Archivio Storico del Sannio , riceviamo e pubblichiamo volentieri di seguito il saggio del prof. Ludovico Martello Il socialismo etico di Francesco Saverio Merlino ( tratto da Archivio Storico del Sannio anno XII n°1 nuova serie gennaio - giugno 2008 ESI Napoli).

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Chi era Francesco Saverio Merlino ?

“Conservo viva nel mio animo – scriveva Francesco Saverio Merlino intorno al 1930, anno della sua scomparsa –  la fiamma che riscaldò e illuminò la mia giovinezza: mi sento a un dì presso ciò che fui, un amante della giustizia e della libertà “. E nella stessa pagina –  con il tono accorato di chi avverte di essere giunto al compimento del proprio pellegrinaggio esistenziale e sente la necessità di lasciare in eredità ai posteri non omicide certezze, ma domande, –  proseguiva: << Un dubbio mi assale: sono io ancora socialista? Se per socialismo s’intende una data organizzazione sociale per cui il lavoro sia organizzato secondo un piano unico o dallo Stato e i prodotti siano distribuiti in modo uguale a tutti, no, non sono e posso dire di non esserlo mai stato. Ma se per socialismo s’intende un’organizzazione che consenta a tutti gli uomini di vivere lavorando e di esplicare liberamente le proprie facoltà e a nessun diritto di opprimere gli altri e di usureggiare sulle altrui fatiche, oh! questo socialismo è ancora la mia aspirazione razionale e sarà la bandiera nella quale morrò avvolto >>.[1]

    Francesco Saverio Merlino? Chi era, dunque, costui? La domanda è legittima da parte del lettore, dopo che  lo spesso drappo della congiura del silenzio è stato steso sulla sua opera. Le sue colpe? Aver sostenuto, fra la fine dell’Ottocento e nei primi decenni del Novecento, che si poteva essere socialisti senza essere necessariamente marxisti; ed ancora: che il mercato, la proprietà privata, la concorrenza, e finanche il capitale rappresentavano conquiste irrinunciabili; che esse costituivano parte del patrimonio dell’intera umanità e non appartenevano  esclusivamente alla classe dei capitalisti, anzi, tali conquiste sarebbero state fondanti per la realizzazione di un inedito sistema sociale dove la convivenza sarebbe stata ispirata a criteri di uguaglianza, di solidarietà e di giustizia  in un clima di totale ed inviolabile libertà individuale.

    Francesco Saverio Merlino era anche questo: uno studioso di fatti sociali. Cercava soluzioni concrete agli inevitabili, e spesso cruenti, problemi generati dalla necessaria coabitazione fra gli umani. Egli cercava di elaborare un modello di convivenza che potesse svolgersi regolato dalle maggiori quantità possibili di giustizia sociale e di libertà individuale, evitando ogni vano utopismo. << Né utopisti, né misoneisti ( …) – ammoniva Merlino –  Nulla di più falso di quei progetti e programmi avveniristici che sono ricavati da una teoria a cui si vorrebbe far piegare la realtà, e nei quali spesso la forma uccide la sostanza. E’ nulla di più vano e futile – egli avvertiva, proseguendo nella sua esposizione –  che correr dietro al fantasma di una società perfetta o quasi perfetta. Noi dobbiamo contentarci di una società  migliore della nostra, ma concepita nelle viscere di questa, figlia ed erede di questa. Beninteso altrettanto vano e futile è il voler fermare il corso degli avvenimenti con la violenza o con la più raffinata arte di governo.

    Ogni ostacolo frapposto al progresso dell’umanità – egli concludeva – non può avere altro effetto che di renderle più faticoso e doloroso il cammino>>. [2]

    Un cammino, il suo, lento e progressivo; guidato, per ogni passo, da un lucido relativismo. << La democrazia è tutta da fare, da edificare.  – scriveva Merlino in una delle sue ultime lettere –  E dopo tutto non possiamo illuderci di avere nulla di perfetto in questo mondo. Il principio di relatività domina l’universo fisico e morale. Libertà, eguaglianza, solidarietà, giustizia, ecc. sono concetti relativi e non assoluti. L’assoluto è come l’infinito: non esiste. E’ un’astrazione della nostra mente>>. [3] Ecco, finalmente svelata, la colpa più grave di Merlino: la fede laica e assoluta nel relativismo dei valori! Una fede che in un sol colpo confutava il dogmatismo marxleninista e la conseguente elaborazione gramsciana, ma non per questo, però, aderiva a liberalismo, per alcuni aspetti, anomalo di Benedetto Croce.

     Ribellatosi alle ortodossie dominanti, Merlino non poteva che essere sepolto nel cimitero-dimenticatoio  dei  liberi pensatori. Occultato alle generazioni future, egli riposa  in quel piccolo loculo, in quell’ angolo nascosto dove la cultura politica italiana ha sepolto, tra gli altri, anche Carlo Rosselli e Bruno Rizzi. Tutti insieme, in sepolcri senza lapidi. Tombe anonime per negarne la memoria ai posteri.

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