ANTONIO LANDOLFI: il socialista liberale che ci mancherà

Si è spento ad ottanta anni un protagonista della storia del socialismo liberale italiano**

129
Antonio Landolfi

3 minuti di lettura

Non sono molti le figure che hanno lasciato un segno rigoroso, coerente ed esemplare nella storia del socialismo italiano come quella di Antonio Landolfi che ci ha lasciato ad ottanta anni. Arturo Labriola disse nel 1950 che i socialisti italiani “bordeggiavano tra la teologia politica e l’opportunismo pratico”, le due malattie che hanno confinato il Partito socialista nella minorità negli anni della Repubblica. Oggi possiamo dire che Landolfi è stato del tutto esente da quelle storiche malattie durante la sua lunga vita, vissuta coerentemente da militante e intellettuale politico. E’ perciò che lo si può considerare un “eretico” rispetto al corso prevalente del socialismo italiano organizzato, ragion per cui è rimasto a lungo marginale nelle gerarchie ufficiali di partito, avendo voluto sempre tenere fede ai suoi ideali di socialismo riformista e liberale.

Dopo aver partecipato giovanissimo alla Resistenza, come tanti altri della sua generazioni, ripose le speranze nel Partito comunista che però, come ovvio, lo espulse per quel suo spirito critico che lo avrebbe accompagnato in tutta la sua azione pubblica. Dopo un passaggio, tra gli anni Quaranta e Cinquanta, nella Unione Socialisti Indipendenti di Cucchi e Magnani, Antonio approdò al PSI di cui nel tempo fu responsabile nazionale in diversi settori come l’economico e il culturale, senza che però fosse mai chiamato a quella leadership che la sua etica pubblica e cultura politica avrebbero dovuto riservargli. Dopo le gestioni ondivaghe e neo-frontiste, accolse con entusiasmo la svolta riformista del 1976 che si concretò al Midas con la segreteria di Craxi: era finalmente l’approdo a quel socialismo moderno ed europeo affrancato dall’ipoteca comunista e democristiana per cui aveva operato per tutta la vita. Entrò così nella segreteria nazionale in rappresentanza del gruppo di Giacomo Mancini di cui restò sempre amico fedele e compagno di ideali. Quando nel 1979 fu eletto senatore, confidò agli amici che l’ingresso in Parlamento avrebbe segnato la fine della sua carriera politica. Infatti nel PSI che si andava sempre craxizzando, anche gli esponenti omogenei al nuovo corso politico non potevano avere alte ambizioni se non fossero entrati nella cerchia ristretta degli amici del segretario. Ma, Antonio, per rimanere fedele all’amicizia di Mancini, si autoemarginò pur restando fedele al socialismo riformatore.

Leggi anche:  Populismo: alba e tramonto ed il suo eterno ritorno

Landolfi non è stato solo il politico che con coerenza ha militato per oltre mezzo secolo nel PSI, anche dopo le sciagurate vicende del 1992-93 quando fu travolto da Tangentopoli. E‘ stato l’intellettuale e lo studioso che ci ha consegnato una vastissima saggistica di cui nessun ricercatore potrà fare a meno se vorrà comprendere la storia della Repubblica. Tra i moltissimi libri sul socialismo, occorre ricordare, insieme ai classici Storia del PSI e Il socialismo italiano, un‘opera pressoché unica nel panorama italiano, Il garantismo dei socialisti (1874-1999), che riflette in maniera significativa di quale spirito libertario, umanista e garantista fosse animato il socialismo di Landolfi. Ma i suoi interessi non si fermavano qui: due libri sul mondo eretico cattolico e comunista, Il gladio rosso di Dio. Storia dei cattolici comunisti e Compagni di viaggio. Storia degli indipendenti di sinistra da Milazzo a Prodi, testimoniamo l’attenzione alle altre correnti che hanno contribuiti all’Italia contemporanea.

In questi tempi bui, quando sembra che siano del tutto scomparsi uomini fedeli alle idealità laiche della democrazia socialista e liberale, capaci di anteporre i principi ideali e l’etica pubblica agli interessi privati, Antonio Landolfi mancherà non solo a tutti noi amici e compagni ma alla migliore Italia.

L.Pellicani e M.Teodori

** In ricordo di Antonio Landolfi  L. Pellicani e M. Teodori hanno inviato alla nostra redazione l’ articolo pubblicato dal “Il Riformista”, 27 febbraio 2011