martedì, Marzo 19, 2024

Karl Marx e lo sdegno degli indignati

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21 minuti di lettura

Karl Marx nasce a Treviri nel 1818, da una famiglia di origine ebraica. Studia prima a Bonn e poi a Berlino, infine, si laurea a Jena in filosofia, presentando una dissertazione ( Dissertazione del ’41) sulla Differenza tra la filosofia della natura di Democrito e quella di Epicuro.
Nel 1844 Marx scrive i manoscritti economici-filosofici, che usciranno solo postumi, mentre nel 1848, insieme a Engels pubblicherà il Manifesto del Partito Comunista.
Nel 1864, è tra i fondatori della Prima Internazionale dei Lavoratori, dove saranno molto duri i suoi contrasti con Bakunin e soprattutto nei confronti di Proudhon.
 Nel 1867, vede la stampa il primo libro della sua monumentale opera: il Capitale.
Si spegne a Londra nel 1883.
Dopo questa breve premessa biografica del filoso di Treviri, come succede per quasi tutti gli intellettuali del passato e maggiormente per il filosofi, sorge spontanea una domanda: perché dovremmo studiare un pensiero così lontano? Perché dovremmo conoscere il pensiero di un altro uomo, che se andiamo a scavare nel profondo, sembra non aver intuito affatto l’evoluzione della storia umana.
Infatti, Marx aveva preannunciato la fine della società capitalistico borghese, la pauperizzazione della classe media, la presa del potere politico da parte del proletariato, la classe eletta che avrebbe dovuto emancipare l’umanità. Egli aveva anche predetto la fine della religione e l’affermazione del comunismo come << momento reale – e necessario per il processo storico – dell’umana emancipazione … >>.
Se nel 2011, vogliamo fare un bilancio delle previsioni di Marx, dobbiamo constatare che nessuna delle previsioni è risultata corretta.
Il capitalismo è in continua espansione e sembra che nessuna crisi economica ( per adesso!) riesca a fermarlo; le religioni godono di ottima saluta e sembrano ancora condizionare la vita di buona parte del globo terreste; in quanto al comunismo: dove si è realizzato, come in Russia, Cina e Cuba ( solo per citare alcuni dei regime, che hanno agito sotto l’etichetta di Marxista) più che l’emancipazione dell’umanità hanno portato miseria e morte.
Con questo sembra, che si debba affermare oltre, al totale fallimento delle previsioni marxiane anche l’inutilità dello studio del filosofo tedesco e la condanna ad essere stato un pensatore organicista e totalitario, come affermava K. R. Popper, che condannava non solo Marx ma anche Platone e Hegel <<come nemici della “società aperta” accomunati dall’essere pensatori della “totalità” e dalla convinzione che le leggi dello sviluppo storico possono essere individuate con precisione e che consentano di formulare profezie indispensabile per l’azione politica>>.
Però, ritengo che prima di affrettarci a giudicare Marx come un <<nemico della società aperta>>, dell’individuo e delle libertà liberali, si dovrebbe considerare che il pensiero filosofico di Marx può essere diviso in due macroaree:
1)    una parte critica, più scientifica, dove evidenzia le contraddizione della società capitalistico borghese del XIX secolo;
2)    una parte escatologica, dove auspica una società purificata dove gli uomini vivano in pace e in armonia tra di loro.
 
Purtroppo, se la diagnosi delle patologie del capitalismo possono dirsi esatte, naturalmente sempre contestualizzando il pensiero, la terapia che egli aveva prescritto ha sicuramente provocato danni maggiori dei mali che voleva guarire.
Una volta suddiviso il sistema filosofico di Marx in questo modo, dobbiamo sfatare un altro tabù. Purtroppo, soprattutto i critici del filosofo di Treviri tendono a confondere gli aggettivi marxiano e marxista, presumendo che i due abbiano lo stesso significato ma non è così.
Per marxiano intendiamo tutto ciò che è <<concernente l’opera o il pensiero filosofico ed economico di Karl Marx>>, invece, per marxista <<seguace dell’ideologia politica e sociale di Karl Marx>>.
Fatte queste precisazione introduttive, Karl Marx può essere considerato ancora come <<uno spettro che si aggira per l’Europa>> ( personalmente visti anche gli effetti devastanti della globalizzazione direi “per il mondo”, però non me la sentivo di storpiare troppo la proposione iniziale del Manifesto ), in quanto: a) le teorie filosofiche ed economiche marxiane sono nate prendendo in considerazione lo stesso sistema economico, in cui anche noi ci troviamo a vivere: il sistema capitalistico; b) il pensiero di Marx pur partendo da un’angolazione materialistica, appaga un sentimento spirituale ed escatologico dell’uomo. Proviamo ad analizzare i due aspetti separatamente.
 
L’alienazione economica, l’alienazione ideologica e l’alienazione politica.
 
Karl Marx pone l’uomo al centro della sua investigazione filosofica. Egli non considera l’uomo come un essere <<a-storico>> e <<a-sociale>> ma nel suo aspetto sia <<storico>> sia <<sociale>>.
L’uomo – secondo Marx – è <<l’insieme dei rapporti sociali>>, cioè delle concrete relazioni che egli ha con la natura e con i suoi simili. Queste relazioni, non sono come voleva l’idealismo hegeliano, confinate nell’interiorità spirituale, bensì pratiche, oggettive ed esteriori.
La chiave di lettura, che Marx utilizza per comprendere queste relazioni è il lavoro, la Praxis intesa come << la reale, concreta mediazione fra l’uomo e il suo mondo: essa è l’unico mezzo che l’uomo ha per appropriarsi della natura e per ottenere il riconoscimento degli altri>>.
Il lavoro non viene più visto in senso idealistico ma in senso pratico, cioè come << attività pratica e sensibile>>, che è sia creatrice che autocratrice.
<< La materia del lavoro e l’uomo quale soggetto sono tanto il risultato che il punto di partenza del movimento>> sicché << come la società stessa produce l’uomo in quanto uomo, così essa è prodotta da lui>>.
Ma il lavoro non può essere visto solo sotto il suo lato positivo, come voleva Hegel, in quanto è nel lavoro che l’uomo rischia di perdersi, di alienarsi e di essere estraneo a se stesso.
Secondo Marx, tutta la storia umana testimonia l’alienazione del lavoro, che nasce dalla divisione del lavoro. Infatti, con la divisione del lavoro, il lavoratore perde il controllo dei mezzi di produzione, che passano nelle mani dei capitalisti. Così la società si divide, si scinde in due classi contrapposte: da una parte i proprietari dei mezzi di produzione e dall’altra i lavoratori, che sono costretti ad accettare le condizioni di vita che gli vengono offerte dai capitalisti. Comincia la guerra tra coloro che hanno e coloro che non hanno ma sono avuti. Il lavoratore si sente schiacciato e mortificato dall’ “infinito potere” del capitalista e vede l’oggetto del suo lavoro come qualcosa di estraneo a lui, come una minaccia. Secondo Marx, il lavoro alienato <<è estraneo all’operaio, cioè non appartiene al suo essere, e quindi nel suo lavoro egli non si afferma, ma si nega, si sente non soddisfatto, ma infelice, non sviluppa una libera energia fisica e spirituale, ma sfinisce il suo corpo e distrugge il suo spirito>>. Il lavoratore salariato si sente privato della propria umanità e << si sente libero soltanto nelle sue funzioni animali, come il mangiare, il bere, il procreare, e tutt’al più ancora abitare una casa e il vestirsi, e invece si sente nulla più che una bestia nelle sue funzioni umane. Ciò che è animale diventa umano, e ciò che è umano diventa animale>>. Il lavoro viene visto come una costrizione, tanto che se fosse eliminata la sua natura coercitiva, <<il lavoro sarebbe fuggito come la peste>>. La grande massa di operai che lavora nelle fabbriche è costretta a vendersi per poter vivere, perché la rivoluzione borghese, distruggendo i vincoli feudali ha liberato i servi della gleba dall’oppressione dell’aristocrazia ma li ha consegnati formalmente liberi nelle mani dei capitalisti, possessori dei mezzi di produzione.
La prima accusa diretta al capitalismo, quindi, è quella di non aver risolto le contraddizioni all’interno della società, perché la società capitalistico borghese è una società che si basa ancora sulla proprietà privata, accrescendo così, più che attenuare le differenze reali tra capitalisti e lavoratori.
<< Marx si indigna davanti a un sistema economico, che rende il “libero” lavoratore simile a uno schiavo, che lo disumanizza e lo abbruttisce, che giunge a ridurlo a cosa, oggetto, merce fra le merci>>.
Naturalmente a Marx va riconosciuta l’importanza di aver trovato una legge universale, che permette di riconoscere lo sfruttamento del lavoro in qualsiasi tipo di società: feudale, capitalistica, comunista.
Marx, però, non si arresta davanti al lavoro alienato, anzi considerando che l’uomo è <<l’insieme dei rapporti sociali>>, ritiene che tutte le manifestazioni spirituali concepite dall’uomo – riflessi fantastici – siano alienate e alienanti.
L’alienazione diventa la << legge dominante>> della società divisa in classi e , di conseguenza, ad essa non può sfuggire nessuna delle sue particolari manifestazioni. << Religione, famiglia, Stato, diritto, morale, scienza, arte, ecc. sono soltanto particolari modi della produzione e cadono sotto la sua legge generale>> , è questo il principi del materialismo storico di Marx, da cui discende chiaramente la subordinazione di ogni manifestazione spirituale dell’uomo alla sua attività pratica e sensibile, cioè l’alienazione ideologica e l’alienazione politica sono secondarie e derivate dall’alienazione economica.
Questa sudditanza della sfera spirituale alla sfera materiale, cancellando così ogni tipo di autonomia sia alle religioni positive, che dello Stato, permette a Marx di fare dell’economia la struttura, << la base reale sulla quale si eleva una sovrastruttura giuridica e alle quali corrispondono forme determinate della coscienza sociale>>. In questo modo la società viene vista come una << totalità organica strutturata in modo tale che i vari elementi che la compongono derivino l’uno dall’altro con logica consequenziale>>.
Lasciando alle manifestazioni spirituali il fardello di essere semplici “riflessi fantastici”, esse perdono la loro autonomia e diventano sia alienate che alienanti.
La religione – secondo l’ottica marxiana – nasce dalla <<coscienza di montone>> come proiezione fantastica dei desideri e dei bisogni umani in un essere trascendente, come espressione dell’impotenza dell’uomo davanti alla natura e come rivolta verso questa impotenza. << La miseria religiosa è insieme l’espressione della miseria reale e la protesta contro la miseria reale. La religione è il sospiro della creatura oppressa, il sentimento di un mondo senza cuore, così come è lo spirito di una condizione senza spirito. Essa è l’oppio del popolo>>. Così facendo, la religione si trova ad essere << la coscienza capovolta di un mondo capovolto>>, essa diventa <<il point d’honneur spiritualistico>> della società capitalistica borghese, la sua legge morale, la consolazione alle storture del sistema e allo stesso tempo la sua giustificazione.
L’alienazione politica, invece, è <<l’espressione giuridica delle insufficienze e delle dolorose contraddizioni che affliggono la società umana>>. Essa, come l’alienazione religiosa, deve essere spiegata, facendo ricorso ai rapporti concreti che intercorrono tra gli uomini. Qui l’accusa ad Hegel, il quale aveva risolto le contraddizioni esistenti tra i due momenti dell’ “eticità” ( famiglia – società) nello Stato, è chiara. Infatti, secondo Marx il “divino” Stato hegeliano non ha realmente risolto le contraddizioni della società, perché la sua creazione è un fatto puramente spirituale, cioè la realtà è stata rovesciata nel pensiero e solo in quest’ultimo sono stati risolti i problemi e le contraddizioni della società. << Marx rifiuta categoricamente la filosofia politica hegeliana. Essa si risolve in una mistificazione idealistica che tende a presentare lo Stato, il diritto, le istituzioni politiche come espressione della Giustizia, del Bene Comune, mentre essi altro non sono che gli strumenti attraverso i quali le classi possidenti fanno valere i loro interessi materiali>>. Ancora, lo stesso Marx definisce lo Stato borghese come << il comitato d’affari della classe dominante>>. Nasce così la distinzione tra: il cittadino della società politica (citoyen ) e il cittadino della società civile (bougeois). Il primo rappresenta la vera essenza dell’essere umano, cioè il suo essere comunitario; il secondo, invece, persegue i suoi interessi egoistici, utilizzando gli altri uomini solo come strumenti.
<< L’uomo conduce non solo nel pensiero, nella coscienza, ma nella realtà nella vita una duplice esistenza, una celeste e una terrena, l’esistenza nella comunità politica in cui egli si ritiene un ente comunitario e l’esistenza nella società civile, nella quale opera come uomo privato, il quale intende gli altri uomini come strumenti>>.
Questa è la situazione esistenziale dell’uomo del XIX secolo, il quale per poter esprimere la sua natura comunitaria è costretto ad alienarsi dai suoi rapporti sociali, concreti e pratici. Forse è questa, una delle accuse più forti lanciate al sistema politico liberale: il formalismo, cioè il suo essere un sistema che concede la libertà a tutti solo in modo formale, mentre nella realtà la libertà liberale è solo di chi possiede la ricchezza e quindi i mezzi di produzione, mentre il lavoratore è solo “libero” di essere schiavo.
Per riportare l’uomo verso le sue naturali tendenze comunitarie ed allontanarlo dal mondo borghese, che è <<il principio realizzato dell’individualismo>>, è necessario eliminare la distinzione tra sfera pubblica e sfera privata, cosa possibile solo attraverso << la positiva soppressione della proprietà privata>>. Nella società borghese, l’unico legame che tiene legati gli uomini è di tipo egoistico, è il bisogno pratico. Il capitalista ha bisogno della forza lavoro del proletario, così come il lavoratore ha bisogno del salario, che riceve come contropartita della sua forza lavoro, da parte del capitalista; nasce la forza devastante del denaro, esso << è il valore universale per se costituito di tutte le cose>> non solo << è l’essenza fatta estranea dell’uomo, del suo lavoro e della sua esistenza, e questa essenza estranea lo domina ed egli adora>>. Così facendo, le relazioni umane vengono ridotte a pura apparenza e << l’esistenza umana si reifica>>, dall’adorazione per l’uomo si passa al feticismo delle merci.
Marx consiglia di eliminare la proprietà privata borghese, che ha provocato la divisione della società in due classi contrapposte, portatrici di due interessi contrastanti, di cui quello dei lavoratori sarà sempre destinato a cadere sotto i colpi degli interessi borghesi, in quanto solo la classe dei possidenti detiene il potere politico e il controllo delle istituzioni. Eliminando la proprietà privata si distrugge anche il lavoro alienato e di conseguenza tutte le altre tipologia di alienazione, solo così si può realizzare <<il ritorno completo, consapevole, compiuto all’interno di tutta la ricchezza dello sviluppo storico, dell’uomo per sé quale uomo sociale, cioè quale uomo umano>>.
 
 
Come abbiamo potuto notare Marx pone al centro delle sue riflessioni l’uomo nel suo aspetto più materiale, il lavoro, il quale risultando estraneo a causa della divisione del lavoro e della società divisa in classe, provoca nell’uomo altre alienazioni sia ideologiche che politiche. La religione e lo Stato borghese diventano solo << modi particolari di produzioni>>, <<coscienza capovolta di un mondo capovolto>>.
Ma se a Marx si vuole contestare qualcosa della sua antropologia, gli si può, appunto, contestare l’aver tolto qualsiasi tipo di autonomia alle sovrastrutture. Infatti, questa è una delle prime critiche mossegli, dopo la sua morte, dall’ amico Engels, secondo il quale sbaglierebbe, chi vedesse tra i rapporti economici e le produzioni ideologiche un nesso deterministico di causa ed effetto, trascurando l’attivo intervento umano sulle circostanze. Però, mi sembra esagerato dire che Marx non abbia compreso i poteri e la forza sprigionata dal sistema capitalistico e le sue contraddizioni. Ad esempio, Marx è stato uno dei primi a comprendere la <<forza radioattiva>> del capitalismo: <<Col rapido miglioramento di tutti gli strumenti di produzione, con le comunicazioni infinitamente agevolate, la borghesia trascina nella civiltà anche le nazioni più barbare. I tenui prezzi delle sue merci sono l’artiglieria pesante con cui essa abbatte tutte le muraglie cinesi, e con cui costringe a capitolare il più testardo odio dei barbari per lo straniero. Essa costringe tutte le nazioni a adottare le forme della produzione borghese se non vogliono perire; le costringe a introdurre nei loro paesi la cosiddetta civiltà, cioè a farsi borghesi. In una parola, essa si crea un suo mondo a propria immagine e somiglianza>>. Ditemi se questo non è l’ “attacco” della modernità, attraverso il capitalismo? Il filosofo tedesco in queste righe ha saputo cogliere una delle peculiarità della nostra civiltà: la sua grande forza espansiva.
Si può affermare ormai, che il metodo economico capitalistico ha “invaso” quasi tutta la terra e i suoi prodotti sono realizzati e venduti in ogni parte del pianeta. Non esiste civiltà , sulla terra al sicuro dalla sua forza attrattiva. Qualsiasi tipo di tradizione si sente schiacciata dai benefici materiali, che il capitalismo sembra portare con se. La globalizzazione dalle parole di Marx, è come un evento naturale, necessario allo sviluppo delle forze produttive della società capitalistica.
Marx, tuttavia, non si limita a criticare il sistema economico e politico borghese ma da attento osservatore della realtà materiale non può fare a meno di sottolineare i progressi ottenuti dalla classe borghese, attraverso la Rivoluzione Francese, << la borghesia ha avuto nella storia una funzione sommamente rivoluzionaria>>. La borghesia aveva sviluppato le proprie forze produttive, che però non riuscivano più ad esprimersi all’interno dei rapporti di produzione feudali, così ha dovuto spezzare <<le catene >> dell’ancien regime, dichiarando che tutti i cittadini sono uguali davanti alla legge e che la proprietà privata è un diritto naturale dell’uomo, << ha creato ben altre meraviglie che le piramidi d’Egitto, gli acquedotti romani, e le cattedrali gotiche>>.
 Marx non intende affatto criticare le novità prodotte dalla borghesia sia in campo economico con l’industrializzazione, che in campo politico con lo Stato liberale, ma non condivide il fatto che i tanto decantati diritti naturali, figli del giusnaturalismo, rappresentino qualcosa di universale, in quanto sono solo il prodotto di un determinato momento storico, caratterizzato da determinate forze produttive, che chiedevano di manifestarsi e che avevano bisogno, per realizzarsi a pieno di una nuova sovrastruttura giuridica. Una sovrastruttura giuridica appunto liberale che tuteli la proprietà privata del singolo individuo, non solo dagli attacchi degli altri individui ma anche dall’arbitrio del potere statale. Non dimentichiamo che il primo obiettivo che si propose la dottrina liberale era quello di limitare il potere pubblico. Quindi nel Manifesto non mancano gli elogi alla classe borghese, la quale però non è riuscita ad emancipare l’umanità, mantenendo in vita ancora, attraverso i propri rapporti di produzione, una società divisa in classi.
Il capitalismo è caratterizzato anche dalla forte presenza di crisi commerciali, provocate dall’ << epidemia della sovrapproduzione >>.
 Sempre nel Manifesto, Marx riesce a intravedere il sistema attraverso il quale la società borghese, combatte le crisi economiche da esso stesso prodotte, e i quali saranno i soggetti maggiormente colpiti, << I rapporti borghesi sono diventati troppo angusti per contenere le ricchezze da essi prodotte. Con quale mezzo riesce la borghesia a superare le crisi? Per un verso, distrugge forzatamente una grande quantità di forze produttive; per un altro verso, conquistando nuovi mercati e sfruttando più intensamente i mercati già esistenti. Con quale mezzo, dunque? Preparando crisi più estese e più violente e riducendo i mezzi per prevenire le crisi>>. Quindi, ogni crisi economica avrebbe portato alla concentrazione della ricchezza nelle mani di pochi capitalisti, aumentando la miseria della massa operaia.
Le valutazioni di Marx si scontrano fortemente con la visioni di Adam Smith, che all’epoca vedeva il sistema capitalistico come l’unico capace di conferire “ l’universale benessere”, peccato che già le stime inserite nei cosiddetti “libri blu” riportavano una situazione che con il benessere non aveva niente a che fare: il 70% della manodopera nell’industria tessile era composto da donne e bambini che lavoravano per quattordici ore al giorno; gli slums, i quartieri degli operai, erano sovraffollati e lì il colera mieteva quotidianamente vittime.
Ma gli economisti borghesi tentavano di spiegare che l’attuale collocazione sociale dei lavoratori rientrasse in un ordine naturale. Paradosso delle conseguenze che la stessa classe che avesse usato i diritti naturali per liberarsi dalle catene del feudalesimo, affermi che le stesse leggi naturali permettano la schiavitù, la miseria e la povertà della classe proletaria?
Quindi la domanda che si insinuò nella mente di Marx: << perché il capitalista ha la cassaforte piena e l’operaio le tasche vuote?>> ricorre tutt’ora, forse con meno rumore di allora, dato che la società liberale ha ampliato il potere e la speranza del mutamento sociale. Egli intende, prima analizzare i gli elementi che hanno portato al modo di produzione capitalistico e dopo analizzarne il funzionamento, senza perdersi in vaghi sospiri ideologici ma tenendosi saldamente fermo alla realtà materiale, che era ben visibile nell’Inghilterra del XIX secolo.
Il dissolvimento della società feudale non ha creato solo la borghesia ma ha creato anche la classe dei lavoratori formalmente liberi << nel duplice senso di non avere più vincoli giuridici feudali e di non possedere né propri mezzi di produzione né i mezzi di sussistenza>>. Per sopravvivere, i lavoratori devono trovare chi possa acquistare la sola merce di cui dispongono: la forza lavoro. Ora, ogni merce deve avere un proprio “valore d’uso” M, dalla vendita di una merce è possibile ricavare denaro D, impiegabile per l’acquisto di altra merce M. In sostanza, l’operaio vende la sua unica merce, la forza lavoro, per avere dal capitalista il salario, cioè il denaro per acquistare altra merce, necessaria per il sostentamento suo e della sua famiglia.
E’ questo il ciclo M-D-M ( merce-denaro-merce), o ciclo semplice.
Però, Marx sottolinea che la forza lavoro ha un valore d’uso non solo soggettivo, cioè producibile dall’uomo, manche calcolabile oggettivamente in base alla << grandezza di valore >>, consistente << nel tempo di lavoro socialmente necessario >> per produrre una determinata cosa. Il tempo come unità di misura per calcolare la retribuzione di un lavoratore subordinato è anche uno degli elementi che caratterizzano il nostro (e non solo) diritto del lavoro.
Nel ciclo semplice (M-D-M) << la circolazione ossia lo scambio di merci, non crea nessun valore >>, cioè il valore d’uso della forza lavoro pagato dal capitalista all’operaio è equivalente al guadagno ricevuto dal capitaliste e dal lavoratore. Questa è la tesi sostenuta dagli economisti classici, sia per sostenere il modello capitalistico, sia per sottolineare, che la servitù oramai è stata debellata e non esistono più forme di sfruttamento, ma che l’impiego nelle fabbriche è lecito, perché si basa su un equo scambio di prestazioni tra il lavoratore salariato e il capitalista borghese.
Marx non è dello stesso avviso e quindi tende a capovolgere la visione classica degli economisti, considerando che la forza lavoro ha una particolarità rispetto a tutte le altre merci: la forza lavoro è l’unica merce che crea nuovo valore, cioè mentre la si consuma crea nuovo valore. Quale nuovo valore viene prodotto dalla forza lavoro?
<< Il processo di consumo della forza lavoro è allo stesso tempo processo di produzione di merce e di plusvalore>>, dopo questa affermazione è necessario, secondo Marx svelare finalmente << l’arcana fattura del plusvalore >>.
Il concetto marxiano di plusvalore svela i meccanismi più nascosti del modo di produzione capitalistico, evidenziando le menzogne dell’economia classica sull’equivalenza sostanziale nello scambio tra forza lavoro e salario.
Infatti, non si creerebbe mai plusvalore, se a un certo punto della giornata lavorativa l’attività del lavoratore si interrompesse, perché ha perfettamente (cioè in modo equivalente) ripagato le spese anticipate dal capitalista, ma così non è. Non dimentichiamo che agli albori della rivoluzione industriale, la giornata lavorativa era di quattordici/sedici ore giornaliere e i lavoratori erano pagati con quello che bastava loro per la sussistenza materiale, cioè con il denaro sufficiente a recuperare le proprie energie fisiche, che permettessero l’utilizzo di altra forza lavoro. Invece, << il plusvalore costituisce l’eccedenza del valore del prodotto sul valore dei fattori del prodotto consumati; cioè dei mezzi di produzione e della forza lavoro >>. Così si crea anche l’altro lato della medaglia, il pluslavoro, che è frutto del lavoro eccedente del lavoratore, ma che non crea nessun valore per lo stesso. In sostanza, il plusvalore si crea solo per i capitalisti, i quali si trovano proprietari di un valore aggiunto creato dal lavoro in eccesso degli operai, lavoro però per il quale non sono stati retribuiti. Di conseguenza la tanto decantata equivalenza nello scambio tra forza lavoro e salario sembra scomparire e lasciare il posto al guadagno del solo capitalista, che sfrutta il lavoro del “libero” lavoratore. Il ciclo semplice M-D-M perde la sua validità, in quanto con l’ingresso del plusvalore il ciclo deve essere scritto in questo modo: M-D-M’; dove M è la merce, D è il prezzo pagato per acquistare la merce, e M’ è il plusvalore, cioè il capitalista acquistando la forza lavoro a un determinato prezzo, egli può acquistare un numero maggiore di merce, grazie alla particolarità della merce forza lavoro, quella di creare nuovo lavoro. Il procedimento di creazione del plusvalore potrebbe anche essere sintetizzato nel seguente modo: D-M-D’. Secondo questo schema , che ricalca il ciclo semplice M-D-M, con la sola differenza che questa volta viene visto prima il denaro necessario per acquistare una merce, che deve produrre la stessa quantità di denaro iniziale ma poiché la forza lavoro crea nuovo valore e questo nuovo valore si sostanzia nel plusvalore abbiamo D-M-D’; dove D è il denaro investito per acquistare la forza lavoro, cioè la merce M e D’ è il guadagno ulteriore che il capitalista ricava dal pluslavoro del lavoratore.
In conclusione, Marx con le categorie del plusvalore/pluslavoro riesce spiegare le dinamiche della produzione capitalistiche e a comprendere, perché al continuo arricchimento del capitalista, non corrispondeva un eguale arricchimento del lavoratore.
Infatti, il capitalista non doveva pagare ulteriormente quel lavoro in eccesso, che si sostanzia nel pluslavoro, che allo stesso tempo produceva maggiori guadagni per il capitalista, che si vedeva “dal nulla” comparire il plusvalore, che andava a rimpinguare le casse del proprietario dei mezzi di produzione, in modo del tutto lecito e consentito addirittura dall’ordinamento giuridico. Naturalmente, agli occhi del filosofo di Treviri, il plusvalore richiamava il concetto stesso di schiavitù, << dietro alla facciata della giustizia formale c’è comunque sempre lo squilibrio sostanziale che alla vendita della propria forza lavoro il salariato è costretto dalla pura necessità di sopravvivenza; ma all’inizio neanche il diritto formale dominava, bensì la feroce rapina >>.
Continuare a parlare di schiavitù per l’operaio sarebbe anacronistico oggi giorno, poiché non solo la tutela dei lavoratori è riconosciuta a livello nazionale, basta ricordare dal punto di vista del diritto sostanziale lo Statuto dei Lavoratori e dalla parte della materia processuale il rito speciale per i procedimenti in materia di lavoro, che dovrebbe permettere una tutela se non più giusta almeno più celere.
Però non va dimenticato, che la schiavitù anche nelle nostre belle democrazie occidentali non è stata totalmente debellata, basta ricordare i lavoratori in nero, che comportano agli imprenditori, che assumono persone senza rispettare tutte le disposizioni in materia di lavoro e di previdenza sociale, risparmi sull’acquisto della merce, cioè della forza lavoro, avendo un guadagno superiore a quello, che avrebbero dovuto ricevere da un legale scambio di prestazioni lavorative, cioè un plusvalore a danno di un pluslavoro. E dopo quasi 150 anni alcune categorie marxiane, naturalmente rivisitate tornano a farsi sentire e a denunciare le contraddizioni del sistema economico.
Da sottolineare ancora come i concetti di plusvalore/pluslavoro, concetti tipicamente economici, possano collegarsi ottimamente con il concetto filosofico di alienazione.
Infatti, se un lavoratore deve essere pagato per la propria prestazione, ma durante la sua giornata lavorativa la sua forza lavoro eccede, producendo pluslavoro, che allo stesso tempo produce plusvalore per il padrone, è normale che il lavoratore vede estraneo a se non solo l’oggetto della sua attività ma anche il suo stesso lavoro.
La critica di Marx al sistema economico capitalistico e al sistema politico borghese riesce a trovare, con le logiche precauzioni teoriche, la sua validità anche all’alba del XXI secolo, per il fatto di tenere sempre attenti gli operatori sia del campo economico che quelli del campo politico verso i diritti sociali dei lavoratori, per evitare che una forte ondata liberista sommerga di formalismo tutte le belle storie sui diritti umani, affermati da tutte le costituzioni d’occidente.
 
 
 
 
Il significato spirituale del marxismo.
 
Il marxismo è stato un movimento sociale, filosofico e politico, fondato sulla concezione materialistica e dialettica della storia, fondata da Marx.
Come può la teoria marxiana aver dato vita a un movimento sociale e politico? Non è possibile considerare il marxismo figlio del pensiero marxiano, altrimenti, attraverso lo stesso pensiero di Marx si sarebbe dovuto dire, che il marxismo altro non è se non un modo particolare di produzione? E quali erano i modi particolari di produzione?
<< La religione, lo Stato, la morale, il diritto, l’arte ecc.>> insomma tutte quei << riflessi fantastici >> che lo stesso Marx aveva etichettato come << coscienza capovolta di un mondo capovolto >>. Il marxismo, volendo seguire il ragionamento di Marx altro non è che una manifestazione della spiritualità dell’uomo e come ogni manifestazione dell’uomo soggiace alla << legge dominante >> che è l’alienazione. Quindi, anche il marxismo con tutto quello che ne consegue, cioè insieme al comunismo, non è altro che << il sentimento di un mondo senza cuore, così come è lo spirito di una condizione senza spirito. Esso è l’oppio del popolo >>. Marx, che si era battuto tanto durante la sua vita a mistificare le ideologie del suo tempo aveva dato vita a un’ideologia ancora più potente, che avrebbe caratterizzato tutto il XX secolo. Sotto la bandiera dell’ideologia marxista sono stati commessi efferati crimini, nel nome dell’ emancipazione dell’umanità, della liberazione dell’uomo dai vincoli del capitalismo. Uomini come Lenin, Stalin, Mao ( giusto per citarne alcuni) hanno conquistato il potere politico e lo hanno mantenuto, utilizzando gli insegnamenti del filosofo di Treviri, spacciandosi o addirittura credendosi come i salvatori dell’umanità. Per questi uomini, una filosofia che si era prefissata il compito di rifarsi solo ed esclusivamente alla realtà materiale, si è persa nei meandri dell’ideologia, dello spirito, diventando fede, diventando verità assoluta. Lenin in un suo passo descrive così il marxismo:
 << La dottrina di Marx è onnipotente perché è giusta. Essa è completa e armonica e dà agli uomini una concezione integrale del mondo, che non può conciliarsi con nessuna superstizione, con nessuna reazione, con nessuna difesa dell’oppressione borghese. Il marxismo è il successore legittimo di tutto ciò che l’umanità ha creato di meglio durante il secolo XIX secolo: la filosofia tedesca, l’economia politica inglese e il socialismo francese>>.
Dalle parole di Lenin si evince chiaramente come il marxismo diventi uno strumento per la soppressione della società borghese giusto e veritiero. Da scienziato dei modi di produzione capitalistici Marx diventa profeta del futuro. Dire che Marx non abbia contribuito a questa sua divinizzazione sarebbe falso e assurdo. Esistono passi nell’opera di Marx, che hanno poco, anzi niente di scientifico e si perdono nei meandri di una visione futuristica, dove l’umanità sarà liberata dalle catene dell’oppressione borghese, sarà disalienata, e il condottiero, che porterà l’umanità verso il comunismo è il proletariato, la classe eletta. << Al posto della vecchia società borghese con le sue classi e coi suoi antagonismi di classe subentra un’associazione nella quale il libero sviluppo di ciascuno è il libero sviluppo di tutti >>, << Tremino pure le classi dominanti davanti a una rivoluzione comunista. I proletari non hanno nulla da perdere in essa fuorché le loro catene. E hanno un mondo da guadagnare >>, sono queste solo alcune delle frasi fatte da Marx per dichiarare la sua guerra al sistema borghese e il suo grido di speranza per un futuro migliore. Egli aveva considerato << il comunismo in quanto effettiva soppressione della proprietà privata,quale autoalienazione dell’uomo, la reale appropriazione dell’umana essenza dell’uomo per l’uomo >>. << Questo comunismo è, in quanto compiuto naturalismo, umanismo, e in quanto compiuto umanismo, naturalismo >>. Il comunismo, questo regno senza Stato, dove << da ciascuno secondo le sue capacità a ciascuno secondo i propri bisogni >> era diventato nella mente di molti il paradiso in terra, il luogo dove tutte le ingiustizie sarebbero state pagate e l’oppressione della borghesia, del clero sarebbe scomparsa, lasciando spazio solo all’armonia e alla pace. L’uomo avrebbe ritrovato se stesso.
 
 
 Marx, nel voler distruggere la religione e le ideologie, che promettevano la salvezza e giustificavano il mondo esistente, ha creato una nuova ideologia che risvegliava antiche forze, insite nello spirito umano, ha promosso una nuova fede che legittima le dittature socialiste e lo Stato totalitario. Da questo punto di vista è evidente come la sua cultura ebraica abbia influito sul suo pensiero, sviandolo dall’approccio scientifico per condurlo verso un ruolo profetico, di salvatore e redentore dell’intera umanità. Non c’è nulla di meglio, di una purificazione, di una palingenesi, durante un periodo pervaso da ingiustizie sociali, guerre e fame.
Il marxismo è stato attaccato dal pensiero liberale, portatore della bandiera dei diritti dell’individuo, il quale a relegato Marx tra i pensatori della <<società chiusa >> e dei sistemi totalitari. Ma più che gli attacchi dei liberali, elusi con maestria dai comunisti, affermando semplicemente, che il pensiero liberale era il pensiero dei diritti individuali borghesi, del modo di produzione capitalistico << è naturale che la borghesia si rappresenti il mondo dove essa domina come il migliore dei mondi >>, la fine del comunismo, inteso come movimento sociale e politico, è stato deliberato da un evento storico: la caduta del muro di Berlino.
Il 9 ottobre 1989 fu ufficialmente varato l’ordine di demolire il muro di Berlino, e sotto le sue macerie fu seppellito l’aspetto salvifico del pensiero marxiano. Il comunismo, l’URSS, avevano fallito e a dirlo non erano solo i liberali e i capitalisti ma la storia; proprio la storia che avrebbe dovuto decretare l’avvento del comunismo e dell’emancipazione dell’uomo, poneva la parola fine alla palingenesi marxiana. Il capitalismo ha vinto. L’ordine bipolare, che aveva regnato fino ad allora, insieme alla paura per una guerra nucleare sempre alle porte, aveva offerto almeno un’alternativa al modo di produzione capitalistico, un modo diverso di concepire la realtà.
Nello stesso anno, usci un saggio intitolato, The End of History, di Fukuyama, il quale affermava l’ << avvento della supremazia dello Spirito ipotizzata da Hegel >>, cioè si era davanti all’incontestabile vittoria del sistema capitalistico. La civiltà liberale, con il suo modo di produzione capitalistico, con le sue contraddizioni, aveva nettamente vinto sulle società organicistiche. L’uomo occidentale vede sfumare l’ultima goccia di spiritualità creata nel XX secolo, l’ultimo appiglio per poter decretare la fine di un sistema, che sembrava non funzionare; l’uomo ha perso l’alternativa.
 
 
Ormai il sistema politico liberale e il sistema economico capitalistico si presentano, secondo alcuni come i migliori ( il problema non è il giudizio di valore che si vuole dare del nostro sistema politico economico ), come l’unico sistema possibile. Questa constatazione getta l’esistenza dell’uomo, preso nella sua individualità, nella sua singolarità, nello sconforto di non poter più affermare se stesso, perché il mondo assume ormai sempre di più un unico colore, un unico movimento. Non solo la mancanza di alternativa ma anche al velocità con cui migliorano le tecniche di lavorazione e i prodotti sul mercato rendono l’uomo vittima delle macchine e delle tecnica, continuamente in preda della specializzazione e lo condizionano a stare a passo con i tempi, a viaggiare con la stessa velocità del mercato. Il sistema capitalistico, con le sue scoperte scientifiche, ha sicuramente giovato all’umanità, curando malattie, allungando la vita dell’uomo e soddisfacendo maggiori bisogni. Però un bisogno intrinseco dell’uomo il capitalismo non riuscirà mai a soddisfare, senza cadere in reificazione e feticismo delle merci: il bisogno di spiritualità. 
Schopenhauer scrisse appunto a proposito di questo bisogno naturale di questo istinto primordiale << L’uomo è un animale mataphisicum, vale a dire che in lui prevale il bisogno metafisico; perciò egli concepisce la vita soprattutto nel suo significato metafisico e da questo vuole far derivare ogni cosa >>.
Il marxismo rappresenta proprio questo << bisogno metafisico >> di giustizia assoluta, intrinseco nell’uomo, al quale lo stesso si aggrappa, per sfuggire a quel vuoto, alimentato non solo dal feticismo delle merci, “figliastro” del modo di produzione capitalistico, ma anche alla omologazione conformistica, frutto della vittoria schiacciante ( almeno in Occidente ) della società liberale e borghese.
 
 
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Vito Varricchio
Vito Varricchio
Laureato in Giurisprudenza presso l’Università degli Studi del Sannio e appassionato inguaribile di filosofia. Non ama prendersi troppo sul serio.

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