martedì, Marzo 19, 2024

La democrazia fra populismo e tecnocrazia *

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Siamo, naturalmente, portati a considerare il regime politico nel quale viviamo come qualcosa di garantito, di immutabile, di irreversibile. Ma le cose non stanno così. Basti pensare ai numerosi regimi politici che sono crollati ed a quelli che si sono formati durante il secolo scorso. La dissoluzione di monarchie secolari, l’avvento dei totalitarismi nazicomunisti. Ed ancora l’ Europa divisa in due dal “Muro”: ad oriente le democrazie socialiste, a occidente le democrazie liberali. Ed infine, grazie a quella che Jϋrgen Habermas ha chiamato la <<rivoluzione recuperante>>, abbiamo assistito al crollo del Muro ed alla rinascita pacifica delle democrazie liberali là dove erano state cancellate.
Non dobbiamo mai dimenticare che la democrazia liberale, fra tutti i regimi politici, è la creatura più fragile. Fragile perché, a differenza dei regimi autocratici, apre le porte all’avversario politico. Fragile perché ha istituzionalizzato la convivenza, il confronto e la concorrenza con quei paradigmi politici che le si dichiarano alternativi. Una tale fragilità rende, ovviamente, la democrazia liberale un regime instabile, mai perfettamente e definitivamente compiuto, esposto ai mutamenti e bisognoso di continui aggiustamenti istituzionali. Fortunatamente esistono criteri analitici, largamente condivisi dalla comunità scientifica, per stabilire lo stadio di sviluppo di una democrazia liberale e gli interventi di cui necessita per la sua sopravvivenza.
Osserviamo, ora, alla luce di tali criteri ed a titolo esemplificativo, la parabola storica della nostra democrazia dal secondo dopoguerra ad oggi. Penso sia inconfutabile l’affermazione secondo la quale possiamo sostenere che: nel nostro Paese, la democrazia abbia presentato, e presenti tutt’ora, dei tratti di incompiutezza e di anomalia nel suo funzionamento.
Infatti, durante quella che è stata indicata come prima Repubblica – che, come è noto a tutti, copre il periodo temporale che va dal secondo dopoguerra al crollo del Muro di Berlino – la nostra Democrazia è stata definita, dagli studiosi di cose politiche, con l’espressione: Democrazia Bloccata. E questa definizione, pienamente condivisibile, non nasceva da un approccio di tipo assiologico – non esprimeva un giudizio di valore – ma si limitava alla pura descrizione di un fatto oggettivo: il nostro sistema democratico non funzionava in modo fisiologico in quanto non era consentita l’Alternanza delle diverse rappresentanze politiche al governo del Paese. La definizione di Democrazia Bloccata era stata coniata utilizzando quel preciso criterio che afferma: << La condizione minima perché si possa parlare di democrazia è che vi siano almeno due classi politiche, l’una di governo e l’altra di opposizione, che – spiega Gaetano Pecora – nel rispetto delle comuni regole del gioco, concorrano permanentemente per accedere alle posizioni di comando della società >>. Ebbene, nel corso delle vicende politiche che hanno caratterizzato la Prima Repubblica, questa precondizione non era soddisfatta. L’alternanza non era possibile per la presenza di partiti politici avvertiti come Antisistema: a sinistra un forte Partito Comunista che intendeva instaurare, attraverso pacifiche Riforme di Strutture, una Democrazia Socialista fuori dall’alleanza NATO, ed a destra un partito neofascista con nostalgie del Ventennio, a quel tempo, ancora recente.
Poi, agli inizi degli anni ’90 – dopo la fine della Guerra Fredda, dopo la dissoluzione del Regime Comunista Sovietico con il successivo smembramento delle democrazie socialiste e la Caduta del Muro di Berlino – ha preso forma nel nostro Paese la Seconda Repubblica. Anche nel corso di questa Seconda Repubblica si sono manifestate gravi anomalie che hanno reso la nostra democrazia, ancora una volta, una Democrazia Incompiuta. Certo, a differenza della Prima Repubblica, è stata possibile, finalmente, l’alternanza alla guida del governo fra coalizioni di centrodestra e di centrosinistra. Ma molte anomalie ne hanno impedito la compiutezza. Prima anomalia: la legge elettorale ha aggirato uno dei criteri caratterizzanti il fisiologico gioco democratico del sistema politico invertendo il flusso della fonte del potere dall’alto verso il basso ed introducendo meccanismi di cooptazione. La legge elettorale – nota come Porcellum – ha consentito, di fatto, la nomina dei rappresentanti politici in Parlamento alle segreterie dei partiti e solo formalmente agli elettori. Seconda anomalia: la drastica riduzione dell’articolazione policentrica della società civile e poliarchica delle rappresentanze politiche per l’enorme concentrazione di poteri nella persona del leader del centrodestra. Questi, durante le sue funzioni di primo ministro, al potere politico che gli derivava dalla carica istituzionale, sommava il potere delle sue imprese economiche ed il quasi monopolio del sistema mediatico. Ed infine, forse l’anomalia più letale per una democrazia liberale, quando la coalizione di centro destra ha conquistato la guida del governo ha impresso al nostro sistema politico una sostanziale deriva neopopulista. Non a caso, gli << anni novanta e l’inizio del decennio successivo in Italia, – sono indicati da Pierre André Taguieff come – il periodo … del neopulismo mediatico >>.
Ed ora, quella che si annuncia come Terza Repubblica inaugura la sua stagione storica con un’inedita formazione: il governo dei tecnici. Un governo di nominati e non eletti retto da una maggioranza anomala. Intanto, la litigiosità delle formazioni politiche, in piena crisi di legittimità e di rappresentanza politica, minaccia un secondo governo composto ancora dai tecnici.
La tentazione tecnocratica per la soluzione dei complessi problemi che si parano di fronte ad una democrazia non rappresentano una novità storica. << Via via che le società sono passate da un’economia familiare ad un’economia di mercato – spiegava con pacata lucidità Norberto Bobbio in quel prezioso saggio dal titolo Il futuro della democrazia – sono aumentati i problemi politici che richiedono competenze tecniche. ( …) Se n’era accorto Saint- Simon che aveva auspicato la sostituzione del governo degli scienziati a quello dei legisti. >> Ma, conclude Bobbio, con espressioni che non consentono diverse interpretazioni : << Tecnocrazia e democrazia sono antitetiche: se il protagonista della società industriale è l’esperto non può essere il cittadino qualunque. La democrazia si regge sull’ipotesi che tutti possano decidere di tutto. La tecnocrazia, al contrario, pretende che chiamati a decidere siano i pochi che se ne intendono >>.
E’ bene precisare che: la regressione neopopulista e la tentazione tecnocratica non rappresentano anomalie esclusivamente italiane. Non che questa constatazione ci possa confortare, tutt’altro, visto che: la regressione neopopulista e la tentazione tecnocratica minacciano indistintamente tutte le democrazie liberali occidentali.
Populismo e tecnocrazia rappresentano, in questa fase storica, due fenomeni sociali simbiotici. Certo essi restano due soluzioni politiche inconciliabili, destinate a scontrarsi ma che, paradossalmente si alimentano a vicenda in quanto due terapie, alternative e disperate, per tentare di curare la stessa patologia : l’incapacità dei sistemi politici dei singoli paesi europei di governare i mutamenti in atto, di trovare rimedi agli effetti devastanti, alle lacerazioni inferte alla trama del tessuto sociale dall’azione del mercato autoregolato e globalizzato.
Il capitalismo globale e la cieca fiducia dei << fondamentalisti del mercato>> nelle virtù taumaturgiche del laissez faire minacciano – avverte George Soros – la sopravvivenza della stessa “società aperta” e, con essa, ovviamente, le strutture del suo assetto istituzionale: lo Stato di diritto e la democrazia liberale. Effetti tanto devastanti sono prodotti – secondo Soros – dalle tre seguenti cause:
Prima causa: le multinazionali e i mercati finanziari internazionali hanno usurpato poteri che in passato erano riservati alla politica ed esercitati dai singoli Stati. Gli organismi economici esercitano tali poteri con una discrezionalità che non tiene conto della ricaduta devastante sul godimento dei diritti sociali.
Seconda causa: l’ossessione per l’efficienza ed il profitto destituisce il primato della democrazia sull’economia e minaccia la possibilità stessa che i governi possano correggere in qualche modo l’iniqua distribuzione della ricchezza e delle opportunità. Iniqua distribuzione tipica del mercato autoregolato.
Terza causa: l’economia globale è, per la sua stessa natura, amorale: non funziona come una comunità, bensì come un sistema dominato esclusivamente dalla caccia al profitto. I meccanismi dell’economia globale considerano i valori sociali – quali: la solidarietà, l’equità, ecc. – e le complesse procedure istituzionali del sistema democratico come inutili intralci di cui occorre liberarsi.
Riassumendo: la mondializzazione del mercato non consente interventi compensativi, in materia di welfare, da parte dei singoli sistemi politici in quanto essi possono agire esclusivamente nei rispettivi ambiti nazionali. Inoltre, i paesi, che provano a salvaguardare le tutele dello stato sociale, sono penalizzati con la minaccia dell’esclusione dal flussi degli investimenti e delle opportunità economiche. Di fatto, la sopravvivenza stessa delle democrazie occidentali è esposta a gravi rischi perché la globalizzazione ha infranto il compromesso socialdemocratico fra Stato e Mercato. Proprio quel compromesso, che limitava – con appositi strumenti giuridici – le disuguaglianze fra gli attori sociali e garantiva le tutele dello stato sociale.
Di fronte alle sfide politiche ed economiche tanto complesse e apportatrici di gravi ingiustizie, la regressione neopopulista è la manifestazione della delusione, del risentimento, della rabbia dei governati nei confronti di quel sistema politico, la democrazia, appunto, che non ha mantenuto le promesse di libertà e di equità.
La regressione neopopulista ha tutti i tratti organicisti della << fuga dalla libertà >>, della fuga dalla realtà. Alla paura per un domani incerto e privo di sicurezza i governati auspicano il ritorno ad una comunità governata da tradizioni ancestrali, portatrice di valori solidaristici ed identitari. Una comunità mai esistita e per questo mitizzata. Le masse terrorizzate cercano un capo, un salvatore cui affidarsi per esorcizzare le proprie angosce. Il linguaggio del neopopulismo è il linguaggio semplice e crudele delle favole: il male è esterno alla comunità, il male è il diverso … l’altro … l’orco. E solamente l’eliminazione del diverso, potrà restituire la sicurezza ed il perduto benessere alla comunità. L’assassinio rituale dell’altro … l’olocausto del diverso affinché per l’intera comunità tutto torni, per magia, come era prima.
Diversamente, la tecnocrazia parla il linguaggio dei numeri e considera i governati numeri … entità dis-animate.
La scelta tecnocratica rappresenta l’ammissione da parte dei governanti della propria impotenza a fronteggiare le sfide poste dalla mondializzazione dell’economia. Il governo tecnocratico costituisce l’atto di resa dei governanti. La loro abdicazione agli esperti a patto che questi garantiscano loro la conservazione del potere e dei privilegi che ne derivano.
A questo punto è lecito chiedersi se è possibile salvare la Democrazia, continuare ancora ed insieme l’esperimento di una convivenza quanto più giusta e pacifica possibile. Penso sia possibile ma ad una condizione : il rinnovo del compromesso fra Stato e Mercato. Certo un rinnovo che preveda meccanismi istituzionali che non consentano più quegli abusi, da parte di una burocrazia corrotta e corruttrice, che hanno avvelenato lo Stato Sociale e falsificato la libera competizione sul mercato delle merci e delle idee. E’ necessario ri-contrattare quel patto. Ma, come abbiamo spiegato, in un’economia globalizzata, non può farlo un singolo governo perché, è bene ripeterlo, rischierebbe di provocare l’espulsione del proprio paese, ritenuto poco affidabile dagli investitori. dal mercato globalizzato. Il nuovo compromesso socialdemocratico, quindi, non potrà essere stipulato da un solo paese europeo bensì dai paesi europei come se fossero un solo paese.
Le democrazie dei singoli paesi del nostro continente resteranno sospese fra neopopulismo e tecnocrazia fino a quando non sarà completato il processo di unificazione dell’Europa.
A questo punto, non saprei dire quale sarà il futuro della democrazia, non saprei indicare quale sarà il regime politico che regolerà la nostra convivenza. Ma so, per certo, quale deve essere la direzione da prendere. So da dove dobbiamo partire, oggi, per affermare e tentare di preparare una convivenza pacifica fra gli individui di diversa razza, di diversa cultura e di diversa religione. Il primo passo consiste nella salvaguardia e nella rivalutazione degli ideali che la cultura della democrazia ha sedimentato nelle nostre coscienze.
<< Primo fra tutti – tra gli ideali indicati a noi dal magistero di Norberto Bobbio – ci viene incontro da secoli di crudeli guerre di religione l’ideale della tolleranza. Se oggi c’è una minaccia alla pace del mondo questa viene ancora una volta dal fanatismo, ovvero dalla credenza cieca nella propria verità e nella forza capace d’imporla >>.
Secondo ideale: il rispetto delle regole. << Le così spesso derise regole formali della democrazia – ci ricorda ancora Bobbio distogliendoci dal nostro torpore civico – hanno introdotto per la prima volta nella storia delle tecniche di convivenza, volte a risolvere i conflitti sociali senza ricorrere alla violenza. Solo là dove vengono rispettate queste regole l’avversario non è più un nemico ( che deve essere distrutto) ma un oppositore che domani potrà prendere il nostro posto>>.
Terzo: L’ideale del rinnovamento graduale della società attraverso il libero dibattito delle idee e il cambiamento delle mentalità e del modo di vivere. Vivere con uno stato d’animo cosmopolita. Aprirci all’esterno. Esporre all’altro il proprio “Io” consapevoli che “l’altro” è a sua volta un “Io”. Consapevoli che ognuno di noi è “l’altro” per ogni singolo “Io” in un infinito giochi di specchi. Parafrasando Elie Wiesel possiamo ricordare che <<l’urgenza della tolleranza>> nasce dal fatto che: mentre la libertà dell’altro … di chi ci chiede asilo … dipende dalla nostra, ebbene, la qualità della nostra libertà dipenderà dalla libertà di cui godrà l’altro, cioè da come lo avremo accolto. L’altro non può rappresentare la proiezioni delle nostre angosce da esorcizzare.
Non dobbiamo dimenticare quello che <<le dure repliche della storia >> ci hanno insegnato, che << solo la democrazia permette la formazione e l’espansione delle rivoluzioni silenziose ed incruente >>.

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Quarto ideale: << L’ideale della fratellanza >>. La fratellanza affinché la storia non sia più un << immenso mattatoio>>.
Questi ideali non intendono indicare la soluzione ma il primo passo nella giusta direzione. Per passare dalle parole ai fatti concreti non possiamo fare altro che intensificare gli sforzi ed accelerare per la realizzazione del progetto di unificazione dell’Europa. Dall’esito di questo progetto, in futuro, dipenderà il destino delle nostre democrazie.
A sostegno di quest’ultima affermazione, chiudo questo breve intervento leggendovi un brano – tratto da Manifesto di Ventotene redatto, negli anni ’40, da Altiero Spinelli ed Ernesto Rossi durante il periodo di confino dove erano stati relegati dalla repressione fascista. << La linea di divisione fra i partiti progressisti e partiti reazionari – essi scrivevano – cade perciò ormai, non lungo la linea formale della maggiore o minore democrazia, del maggiore o minore socialismo da istituire, ma lungo la sostanziale nuovissima linea che separa coloro che concepiscono, come campo centrale della lotta quello antico, ( cioè la conquista e le forme del potere politico nazionale, e che faranno, sia pure involontariamente il gioco delle forze reazionarie, ) lasciando che la lava incandescente delle passioni popolari torni a solidificarsi nel vecchio stampo e che risorgano le vecchie assurdità, … e quelli che vedranno come compito centrale la creazione di un solido stato internazionale, che indirizzeranno verso questo scopo le forze popolari e, anche conquistato il potere nazionale, lo adopereranno in primissima linea come strumento per realizzare l’unità internazionale >>.

*Intervento svolto dal prof. Ludovico Martello in occasione del Convegno Crisi della democrazia e neopopulismi tenutosi presso l’aula A. Ciardiello della facoltà di Scienze Economiche e Aziendali Università degli Studi del Sannio il giorno 13 novembre 2012.
Ludovico Martello

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Ludovico Martello
Ludovico Martello
Saggista. Si è laureato in Sociologia presso la Facoltà di Lettere e Filosofia dell'Università degli Studi di Napoli Federico II. Autore di numerosi saggi sul processo di Modernizzazione. E' stato ricercatore a contratto presso la Luiss Guido Carli di Roma, ha insegnato Filosofia della politica, con contratto annuale, presso l'Università degli Studi del Sannio. Cofondatore dei magazine web "PoliticaMagazine.info” e "PoliticaMagazine.it”

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