venerdì, Aprile 19, 2024

Province no ma Prefetture si

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Il professor Cimitile e il presidente dell’UPI hanno marchiato le scelte del governo Letta per le Province come “il risultato dell’abdicazione della politica alla demagogia”. E’ così, ma c’è dietro di esse anche altro.
Un anno fa scrivevo del mio stupore per l’apparente approssimazione con cui professori ed esperti membri del governo Monti affrontavano la questione delle Province, prima annunciandone la soppressione, poi minacciandone l’accorpamento e infine proponendone il riordino, con procedure palesemente incostituzionali come ha poi sancito la Corte. Era incomprensibile, e rimane tale, il perché non si seguisse il percorso tracciato dalle leggi che, dai primi anni 90 in poi, hanno riformato le autonomie locali e definite meglio le loro competenze, la n.142 del 1990, la n.81 del 1993, la n.59 del 1997 e la riforma costituzionale del 2001. Il riordino delle Province con la loro conseguente riduzione numerica, ad esempio, si sarebbe dovuto realizzare con legge della Repubblica, su iniziativa e consenso dei Comuni coinvolti, nell’ambito di una Regione che ne indirizza, coordina e definisce la proposta.
Ogni modifica nell’assetto degli Enti Locali si dovrebbe inquadrare in un progetto organico, che migliori la loro funzionalità, definisca i diversi compiti, individui gli indispensabili contrappesi e controlli. E’ qualcosa che non s’improvvisa e non s’impone, ma deve nascere con un processo democratico, è questo lo spirito della nostra Costituzione. E’ bene anche rimarcare che l’esistenza di questo o quell’Ente Locale non possa dipendere da un calcolo matematico, ma si debba legare alla possibilità di mettere ognuno di essi nella condizione migliore per salvaguardare la storia, l’identità, le risorse, la vocazione del territorio sul quale innescare un solido processo di sviluppo economico, politico, culturale, etico.
Il progetto di legge avanzato dal governo Letta propone un percorso legittimo, ma rimane incomprensibile l’accanimento abolizionista contro le Province che se non è terapeutico, come nega che sia il ministro Quagliariello, è certamente, senza ragione plausibile, distruttivo.
La ragione economica, addotta per suscitare consenso, è palesemente infondata. Trattandosi di Enti con funzioni concrete che comunque dovrebbero passare ad altri Enti, le spese, si ridurrebbero di poco o, come risulta da una ricerca della Bocconi, addirittura potrebbero lievitare.
Credo che ci sia la voglia di alcuni di rafforzare il centralismo, frenare il decentramento e restringere gli spazi di partecipazione, che si sposa con la subalternità culturale e la superficialità di altri incapaci a contrastare convinzioni non veritiere fatte lievitare artificialmente.
Questo ci farebbe comprendere il perché, in un’Italia in cui il vero malato è lo Stato centrale, si fa poco o niente per curarlo ma si esercita, con tutti i mezzi, la chirurgia su Enti territoriali che malati non sono.
Una reale riduzione dei costi si otterrebbe se si mettesse mano con convinzione all’elefantiaca macchina dello Stato, riorganizzando anche la presenza dei suoi uffici periferici, sopprimendone qualcuno senza ruolo e distribuendo gli altri sul territorio in virtù di reali necessità e dell’efficienza.
La perseveranza nel richiedere l’abolizione delle Province o il loro svuotamento proviene dagli stessi che continuano a rinviare il dimezzamento del numero dei parlamentari e la riduzione seria delle loro indennità, che non riescono a formulare una legge elettorale democratica degna di questo nome. Gli stessi che non dicono una parola sull’esistenza delle Prefetture, che costano poco meno delle Province, ma non hanno funzioni utili per cui la loro soppressione sarebbe un vero risparmio e non priverebbe i cittadini di alcun servizio. Le Prefetture esistono solo per estendere in periferia il potere centrale. Un grande liberale, il Presidente della Repubblica Luigi Einaudi, diceva che “il Prefetto è una lue che fu inoculata nel corpo politico italiano da Napoleone”, che “democrazia e Prefetto repugnano profondamente l’uno all’altro”, per cui “non si avrà mai democrazia, finchè esisterà il tipo di governo accentrato del quale è simbolo il Prefetto”. Forse, è proprio il potere centrale che si vuole difendere e rilanciare.
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