La dottrina leniniana in politica estera
La politica estera dello Stato sovietico era l’attuazione dei princìpi indicati da Lenin.
Questi aveva affermato che, finché fossero esistiti, capitalismo e socialismo non avrebbero potuto convivere pacificamente. In risposta alle polemiche sulla pace di Brest-Litovsk, Lenin propose al VII Congresso del partito la seguente risoluzione:
«II Congresso autorizza il Comitato centrale del partito sia a rompere ogni trattativa di pace, sia a dichiarare la guerra a qualsiasi potenza imperialistica e a tutto il mondo quando il Comitato centrale stesso riconosca che ne sia giunto il momento opportuno» .
Certo, la risoluzione era finalizzata a placare gli avversari degli accordi di Brest-Litovsk, ma conteneva la sostanza della dottrina leniniana in politica estera.
La guerra del proletariato contro il corrotto Occidente
Lo Stato proletario — da quanto aveva affermato Lenin — non era vincolato al rispetto delle norme morali e giuridiche che regolavano i rapporti internazionali tra gli Stati.
Lo Stato proletario, incarnando il progresso, avrebbe avuto sempre ragione nei confronti degli Stati capitalistici che incarnavano la reazione.
Qualunque azione avesse intrapreso, lo Stato proletario obbediva alle leggi della Storia.
Due anni dopo la pace di Brest-Litovsk lo Stato proletario ritenne giunto il momento di dichiarare guerra al corrotto Occidente.
Il 7 agosto 1920, durante una pausa dei lavori del II Congresso del Komintern, Lenin dichiarava ai delegati francesi: «Sì! Le truppe sovietiche sono a Varsavia.
Tra poco avremo anche la Germania. Riconquisteremo l’Ungheria, e i Balcani si solleveranno contro il capitalismo. L’Italia tremerà.
L’Europa borghese scricchiola da tutte le parti, in mezzo a questa tempesta» .
I bolscevichi speravano che il «miracolo» della rivoluzione d’ottobre potesse ripetersi su scala mondiale. Ma la speranza svaniva sulla Vistola: il proletariato polacco respingeva l’avanzata dell’Armata rossa.
Le cause della sconfitta e il rafforzamento del capitalismo
Il comandante in capo, generale S. Kamenev, nel tentativo di individuare le cause della sconfitta, scriveva:
«L’Armata rossa tese la mano al proletariato polacco, ma non trovò alcuna mano proletaria protesa dall’altra parte. Sicuramente, le ben più forti mani della borghesia polacca l’avevano presa e celata in qualche profondissimo recesso».
Analoga la spiegazione fornita dallo storico sovietico G.V. Kuzmin:
«La borghesia e il clero cattolico polacco riuscirono a ottenebrare la coscienza dei contadini, degli artigiani e di parte degli operai polacchi con il veleno del nazionalismo borghese» .
Il capitalismo aveva vinto la prima battaglia. Ma lo scontro fra la «società aperta» e la «società chiusa» restava permanente, nell’attesa dell’«ultimo assalto».
Il consolidamento del “socialismo in un solo paese”
Dopo la sconfitta subita sulla Vistola, l’ondata rivoluzionaria defluiva.
Il 20 dicembre 1924 la «Pravda» pubblicava un violento attacco di Stalin contro la teoria della «rivoluzione permanente» di Trockij.
Stalin affermava che se il comunismo
— come aveva sostenuto Trockij —
non poteva esistere se non su scala mondiale, alla rivoluzione russa non restava che scegliere: «o marcire fino alle midolla o degenerare in Stato borghese».
Vi era, però, una terza soluzione, e Stalin la propose: il consolidamento del «socialismo in un solo paese».
Per preparare la «vittoria definitiva» che doveva realizzare la «resurrezione dell’umanità», Stalin, dunque, procedeva alla realizzazione della «vittoria completa del socialismo in un solo paese».
L’infiltrazione del capitalismo e la purificazione del socialismo
Ma il capitalismo non restava fuori dalle mura dello Stato sovietico.
I valori borghesi erano già penetrati come un cavallo di Troia all’interno della fortezza proletaria «assediata».
I germi del capitalismo annidavano e si riproducevano nella società civile. Essi avevano contaminato milioni di contadini che reclamavano la proprietà privata della terra.
Tecnici, intellettuali e scienziati erano affetti da «individualismo borghese».
Il capitalismo era più forte che mai, «coloro che si era creduto fossero dei proletari», scrive Alain Besancon, erano in realtà dei piccolo-borghesi che aspiravano a realizzare valori e usi capitalistici .
L’epidemia capitalistico-borghese si diffondeva e infettava l’intero corpo sociale.
Ma la realizzazione dell’utopia richiedeva la sua purificazione.
Stalin, dunque, quale capo carismatico del partito totalitario, quale unico interprete del messaggio rivoluzionario e guida per la sua realizzazione, decretava lo stato di guerra permanente contro la società civile.
La tecnica purificatoria prescelta fu il terrore di massa.