Lenin e la Legittimazione del Terrore
I campi di concentramento venivano ribattezzati “scuole di lavoro”[…].
La CEKA si trovava sotto la guida personale di Lenin».
Anche dopo il definitivo consolidamento del regime, il terrore leniniano non conobbe soste.
«Risulta — sostiene Luciano Pellicani — senza ombra di dubbio che Lenin non concepiva il terrore come una pratica imposta dall’emergenza rivoluzionaria,bensì come una istituzione permanente».
Quale conferma della sua affermazione, lo studioso riporta il seguente brano tratto da una lettera scritta da Lenin nel maggio del 1922.
In essa si legge: «Compagno Kurskij, a completamento della nostra conversazione le mando un abbozzo del paragrafo supplementare del codice penale.
Il pensiero fondamentale è chiaro, spero, nonostante i difetti della brutta copia: esporre apertamente il concetto di principio e politicamente veritiero (e non solo strettamente giuridico) che motivi l’essenza e la giustificazione del terrore,la sua necessità ed i suoi limiti.
La giustizia non deve eliminare il terrore; prometterlo sarebbe autoinganno o inganno, deve invece formularne e legittimarne il principio: chiaramente, senza falsità ne abbellimenti.
Occorre formularlo con la massima ampiezza possibile, perché soltanto la coscienza giuridica rivoluzionaria e la coscienza rivoluzionaria stessa potranno suggerire la sua applicazione di fatto, più o meno ampia»
La Teoria del Terrore Bolscevico
L’impiego indiscriminato e permanente del terrore era condiviso, senza alcuna eccezione, da tutti i leader bolscevichi.
Trockij, nel suo scritto Terrorismo e comunismo, scriveva:
«La rivoluzione richiede alla classe rivoluzionaria che essa raggiunga il proprio fine con tutti i mezzi a disposizione e, se necessario, con una insurrezione armata;
se occorre, col terrorismo […] la guerra, come la rivoluzione, si fonda sull’intimidazione […] la rivoluzione lavora allo stesso modo: essa uccide gli individui, e intimidisce le migliaia.
In questo senso il terrore rosso non può essere distinto dall’insurrezione armata, di cui rappresenta la diretta conseguenza » .
Il Terrore come “Tecnica Pedagogica”
Analogo l’atteggiamento di Buchamo questi, in Economia del periodo di transizione, sosteneva:
«La coercizione proletaria, in tutte le sue forme, dalla fucilazione all’obbligatorietà’ del lavoro, è, per quanto ciò possa sembrare paradossale, un metodo di elaborazione dell’umanità comunista del materiale umano dell’epoca capitalistica».
Da quest’affermazione di Bucharin risulta evidente l’uso del terrore quale «tecnica pedagogica»:Esso, infatti, diviene tale «quando
— come spiega Luciano Pellicani —
non viene usato per ristabilire l’ordine, bensì per riplasmare il cervello delle masse, per rifare la mentalità dei governati, per sostituire il vecchio sistema di credenze e di valori con quello nuovo» .
Il Terrore e la Tecnica Terapeutica Bolscevica
Il terrore, quindi, già prima dell’ascesa di Stalin, era stato teorizzato e adottato dai bolscevichi «quale tecnica terapeutica», «attraverso la quale
— osserva Kriegel —
si esercita un’intensa pressione collettiva per modificare la psiche e stimolare l’acquisizione delle credenze, dei valori, e delle identità considerate ufficialmente come desiderabili».
La Dittatura Personale di Stalin: Una Revisione Storica
Ancora gli storici giustificazionisti indicano nella dittatura personale di Stalin una delle cause principali del terrore.
Questi storici imputano a Stalin la colpa di aver instaurato una dittatura personale in spregio agli insegnamenti leniniani, tradendo la lezione di democrazia impartita da Lenin.
Niente di più falso! Era stato, infatti, proprio Lenin a spiegare e a legittimare il ricorso alla dittatura personale.
La Legittimazione Leniniana della Dittatura Personale
Egli chiariva, senza possibilità di equivoci, che cosa dovesse intendersi per dittatura, quando dichiarava:
«II concetto scientifico di dittatura non implica altro che un potere illimitato, non circoscritto da alcuna legge, da alcuna norma, direttamente fondato sulla violenza».
Inoltre specificava che la dittatura, in tempi tranquilli, doveva essere esercitata dall’avanguardia di classe del proletariato, cioè dal partito:
Il Concetto Leniniano di Dittatura
«Quando ci si rimprovera — argomentava Lenin — la dittatura di un solo partito […] noi diciamo:
Sì, dittatura di un solo partito! E’ questa la nostra posizione e non possiamo allontanarcene».
Mentre, «in un’epoca di aspra lotta», la dittatura doveva essere personale.
Il Modello della Società Ideale e l’Autorevolezza Individuale
Lo disse nel marzo del 1919, in un discorso dedicato alla memoria di Sverdiov:
«In un’epoca di aspra lotta, quando si realizza la dittatura operaia, bisogna portare avanti il principio dell’autorità personale, dell’autorità morale dell’individuo alle cui decisioni tutti si sottomettono senza tante discussioni».
La società ideale sognata da Lenin aveva i tratti della «grande orchestra».
La Necessità della Sottomissione per l’Unità di Intenti
Nel marzo del 1918 egli aveva spiegato: «Ma come si può garantire la più rigorosa unità di intenti? Con la subordinazione della volontà di migliaia a quella di un solo individuo.
Tale sottomissione, in presenza di una coscienza e di una disciplina ideale di coloro che partecipano al lavoro comune, potrebbe accostarsi soprattutto all’esempio della duttile guida del direttore d’orchestra.
Può anche assumere le dure forme della dittatura […] ma in un modo o nell’altro la sottomissione incondizionata ad un’unica volontà […] è indispensabile».