Finanziamento pubblico dei partiti. Il tabù che nessuno osa infrangere

Receviamo e pubblichiamo l' articolo del prof. Massimo Teodori pubblicato dal “Corriere della Sera", 30 agosto 2011

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C’è un innominabile tabù tra i costi della politica che nessuno osa toccare: sono i soldi versati dallo Stato ai partiti, ironicamente denominati “rimborsi spese elettorali”. Nella fiera delle spese politiche da tagliare – parlamentari, province, comuni, vitalizi, ecc. – mai è stato indicato il finanziamento ai partiti che non solo è una spesa consistente, ma rappresenta anche un fattore distorcente il gioco democratico.

Il finanziamento pubblico ai partiti, introdotto nel 1974 “per interrompere l’illegalità”, è stato abrogato dal referendum del 1993. Ma, da allora, diverse nuove leggine sui sedicenti “rimborsi elettorali” (approvate tutte all’unanimità nell’ombra delle commissioni parlamentari su impulso soprattutto dei tesorieri del Pds-Pd e della Lega) hanno dilatato quegli stessi contributi che erano stati nominalmente abrogati.

Ogni elettore, che in origine versava obbligatoriamente ai partiti circa 0,5 euro (al valore attuale), oggi ne versa circa 3,6 che salgono almeno a 5 euro se si prendono in considerazione analoghe voci come l’editoria politica, i gruppi parlamentari e il fondo per i debiti dei partiti. Nel 2010 i partiti hanno ricevuto solo di rimborsi elettorali 182.144.222,1 euro, mentre la prevista riduzione del 10% è stata rinviata al futuro. Tali ingenti somme di denaro inquinano la democrazia per diverse ragioni: perché le burocrazie centrali che le ricevono possono esercitare un grande potere sui propri partiti; perché favoriscono la frammentazione; e perché discriminano chi è fuori rispetto a chi è dentro.

Si afferma che la democrazia costa. E’ vero, ma il punto è il modo in cui la collettività deve farvi fronte e in che misura, dato che il costo dei partiti in Italia è superiore agli standard degli altri paesi europei. Un finanziamento più equo per i cittadini, e meno inquinante per la politica, potrebbe essere quello erogato, entro determinate soglie, direttamente dagli elettori ai candidati ed ai partiti prescelti, grazie all’incentivo della defiscalizzazione, secondo sistemi analoghi in vigore in altri Stati europei.

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Massimo Teodori