I falò di Nietzsche
Nietzsche, durante i suoi lunghi soggiorni a Genova, era solito inerpicarsi sulle colline intorno al golfo, poi, una volta stanco ed infreddolito, raccoglieva della legna, accendeva un falò e restava immobile a fissarne la danza delle fiamme.[1] Chissà, forse su quelle fiamme il filosofo bruciava uno dopo l’altro i tragici e illusori tentativi di trovare un residuo metafisico per colmare il vuoto lasciato dalla Morte di Dio.
Le fiamme di quegli stessi falò hanno formato, con i loro bagliori mentre il buio del tramonto calava sulle terre di Occidente, la stella polare scelta da Albert Camus per orientare la propria navigazione intellettuale. << Ho pensato spesso a quei falò, e il loro bagliore – annota l’autore de L’Homme révolté nei suoi Taccuini – ha danzato dietro tutta la mia vita intellettuale. Se poi mi è capitato di essere ingiusto nei confronti di certi pensieri e di certi uomini che ho incontrato nel mondo, è perché, senza volerlo, li ho messi di fronte a quegli incendi e si sono subito ridotti in cenere >>.[2]
L’Homme révolté rappresenta il falò nel quale l’autore brucia << i sanguinosi idoli della ragione >> con i quali l’ Occidente, nella prima metà del Novecento, aveva tentato di sostituire il Dio biblico espulso da quel mondo ormai disincantato. Con << questo libro – osserva Jean Onimus – scoppia il dramma dell’umanesimo ateo >>[3].
Pubblicate nel 1951 dall’Ḗdition Gallimard, le pagine de L’Homme révolté raccontano le fiamme del falò, acceso da Camus, mentre avvolgono ed inceneriscono tutti gli idoli totalitari senza escludere quelli, non meno spietati, generati dallo storicismo hegelomarxiano.
Il tradimento di Prometeo
La rivoluzione comunista del 1917, realizzata dal bolscevico Lenin attenendosi ai dettami indicati dalla teoria marxiana e proseguita da Stalin con gli strumenti del Terrore , dopo poco più di trenta anni, non ha generato in Russia il promesso Paradiso in Terra ma ha instaurato un universo concentrazionario. Strana coincidenza: là, nel deserto di Scizia, dove Zeus incatenò Prometeo, in quello stesso luogo, Prometeo fattosi Cesare ha eretto il gulag. <<Qui termina l’itinerario sorprendente di Prometeo – denuncia Albert Camus, con struggente lirismo, nelle ultime pagine de L’homme révolté –. Clamando il suo odio agli dei e il suo amore all’uomo, distoglie con spregio il suo sguardo da Zeus e viene verso i mortali per condurli all’assalto del cielo. Ma gli uomini sono deboli o vili, bisogna organizzarli. Amano il piacere e la felicità immediata; bisogna insegnar loro a rifiutare, per farsi più grandi, il miele dei giorni. Così Prometeo diviene dapprima maestro che insegna, e poi, a sua volta, padrone che comanda. La lotta si prolunga ancora e diviene estenuante. Gli uomini dubitano d’approdare mai alla città del sole, e che questa città esista. Bisogna salvarli da se stessi. Allora l’eroe dice loro che conosce la città è che è il solo a conoscerla. Chi ne dubiti verrà gettato nel deserto, inchiodato a una roccia, offerto in pasto agli uccelli crudeli>>.[4] Infine, conclude Camus, << Prometeo solo è divenuto Dio e regna sulla solitudine degli uomini. Ma, di Zeus, non ha conquistato che la solitudine e la crudeltà: non è più Prometeo, è Cesare >>.[5] E da quelle terre d’Oriente s’odono i lamenti strazianti delle sue vittime sacrificali immolate alle divinità della Storia per l’avvento del Totalmente Altro comunista. Prometeo ha tradito la sua stessa causa. Camus non è sordo a quel grido di dolore. Egli rifiuta di giustificare le atrocità liberticide del presente con la promessa di una giustizia futura e non esita a denunciare << l’abbandono dei valori della libertà da parte del movimento rivoluzionario, la progressiva ritirata del socialismo della libertà davanti al socialismo cesareo e militare >>.[6] Ed inoltre, in polemica con la sinistra sartriana, ribadisce che la società socialista anche durante la fase transitoria del processo di realizzazione dovrà garantire contemporaneamente giustizia e libertà e che non potrà esserci socialismo senza libertà. Non è, quindi, un traditore chi tenta di spiegare perché l’utopia socialista si sia trasformata in distopia totalitaria.
Camus cerca, allora, ripercorrendo tappe che hanno scandito la rivolta dell’uomo, le cause del tradimento di Prometeo , le ragioni di quella assurda eterogenesi dei fini che tramuta ogni rivoluzione nel tradimento della rivolta che la ha generata. Proprio quella rivolta che costituisce il primo strumento di coscienza collettiva, ed il primo antidoto contro la disperante assurdità dell’esistenza.
Un uomo in rivolta – afferma Camus – è <<un uomo che dice no>>.[7] Lo schiavo si ribella al proprio padrone quando giudica che questi abbia <<esagerato>>. Che abbia esteso il suo diritto fino a violare i confini entro i quali risiedono i diritti dello schiavo. In questo caso la rivolta rivendica la ricostituzione dell’ordine vigente prima dell’abuso e il riconoscimento di un nuovo diritto che non infranga il sistema istituzionale che regola i rapporti tra il signore e lo schiavo. Intanto, generato da << una storia sconsacrata >>[8], lo spirito di rivolta ha segnato il primo progresso per la riflessione sull’<<assurdità>> e sull’<<apparente sterilità del mondo>>[9]. <<Nell’esperienza, assurda, la sofferenza è individuale. A principiare dal moto di rivolta – spiega l’autore dell’ L’Homme révolté – essa ha coscienza di essere collettiva, è avventura di tutti (…) il male che un solo uomo provava diviene la peste collettiva (…) Questa evidenza – egli conclude – trae l’uomo dalla sua solitudine. E’ un luogo comune che fonda su tutti gli uomini il primo valore. Mi rivolto dunque siamo>>.[10]
La rivolta metafisica
Nella sua rivolta contro il signore, lo schiavo ha preso coscienza di essere uomo. E l’uomo si ribella ai mali del mondo e alla morte. Egli rifiuta di legittimare il potere che lo condanna a una tale fragilità e ad una irreversibile finitudine. Egli, dunque, denuncia <<in Dio il padre della morte e il supremo scandalo>>.[11] Ed è in questa fase che, secondo Camus, la rivolta diviene <<rivolta metafisica>>. <<La rivolta metafisica – egli scrive – è il movimento per il quale un uomo si erge contro la propria condizione e contro l’intera creazione. E’ metafisica perché contesta i fini dell’uomo e della creazione>>.[12] L’uomo si rivolta contro quel Dio <<crudele>> e <<capriccioso>> dell’Antico Testamento . Ma, nonostante ciò, la genesi della rivolta metafisica non presenta i tratti all’ateismo. Essa mostra i caratteri organicistici di un nostalgico rimpianto che mitizza quel tempo antico in cui si immagina che regnasse l’unità del Tutto e la giustizia assoluta.
La rivolta metafisica degrada in rivoluzione metafisica allorquando << rovesciato il trono divino, il ribelle riconoscerà che quella giustizia, quell’ordine, quella unità che cercava invano nella sua condizione, è ora suo compito di crearli con le proprie mani, e giustificare così la destituzione di Dio. Allora comincerà uno sforzo disperato di fondare, a prezzo del delitto se occorre, l’impero degli uomini >>.[13]
Certo, l’avvento di Cristo e il suo volontario sacrificio forniscono all’uomo l’immagine di un Dio sofferente. Tale sacrificio ha provato, inoltre, la necessità della sofferenza terrena per il perseguimento della salvezza eterna. Lo stesso Dio, se non può eliminare il Male e non può realizzare la giustizia totale, si fa egli stesso vittima dell’ingiustizia. Il volontario sacrificio di Cristo, finché l’Occidente è stato cristiano, ha giustificato il Male estendendolo dagli uomini agli Dei. Ma, sottoposto alla critica della ragione, quel sacrificio è stato giudicato una inaccettabile ingiustizia e Cristo è apparso, allora, all’ uomo in rivolta, come l’ennesima vittima dei <<rappresentanti del Dio di Abramo>>.[14] Alla luce dei lumi la generalizzazione del Male non può più assolvere Dio dal peccato di averlo creato. Il Cristo ucciso è << solo un innocente di più >>. Giunti a questo punto, conclude Camus, <<l’abisso che separa il signore dagli schiavi si spalanca di nuovo e la rivolta continua a gridare davanti al volto murato di un invido Dio>>.[15]
La negazione assoluta di Dio
Il primo tremendo colpo contro il Dio di Abramo è sferrato da Donatien Alphonse Françoise de Sade. Questi rappresenta – secondo la periodizzazione della Rivolta metafisica fissata da Camus – la fase della negazione assoluta di Dio. Sade nega Dio in nome della Natura e identifica questa nell’istinto sessuale. Egli non rivendica la libertà dei principi, ma quella degli istinti naturali. Egli definisce <<naturale>>la malvagità degli uomini. Del resto, argomenta l’autore dell’ L’Homme révolté, l’idea di Dio è, secondo Sade, << quella di una divinità criminale che schiaccia l’uomo e lo nega >>.[16] Se l’omicidio è un << attributo divino >> visto che Dio << uccide e nega l’uomo>> nulla può vietare che gli uomini si << neghino e uccidano i propri simili >>.[17] Ed è soprattutto attraverso l’istinto sessuale che si manifesta il possesso totale dell’essere oltre la distruzione dell’altro, sino all’ autoannientamento.
Sade non perdona all’uomo l’idea di Dio. L’unica verità è la natura con le sue leggi spietate: << la natura ha bisogno del delitto >>,[18] essa deve << distruggere per creare >>.[19] La volontà di potenza in quanto naturale è legittimata, secondo Sade, fino all’estrema conseguenza della <<riduzione dell’uomo a oggetto d’esperimento >>.[20] Da questa premessa scaturisce che Sade è l’assertore del tutto è permesso.
In anticipo di due secoli, conclude l’autore dello Straniero, << Sade ha esaltato le società totalitarie >> ed ha tradito la rivolta rivendicando quella <<libertà frenetica>> che << la rivolta non reclama>>.[21]
Il rifiuto della salvezza
Il secondo capitolo delle vicende della rivolta metafisica è rappresentato dal rifiuto della salvezza.
Fedor Dostoevskij, con l’invenzione del personaggio di Ivan Karamazov, si rivolta in nome dell’Amore. Egli non nega l’esistenza di Dio, ma <<la confuta in nome di un valore morale>>.[22] <<Se il male è necessario alla creazione divina, allora questa creazione è inaccettabile – sentenzia Ivan in una delle pagine più intense dei Fratelli Karamazov –. Se il patimento dei bimbi – egli argomenta – serve a compiere la somma dei dolori necessari al conseguimento della verità, affermo fin d’ora che questa verità non vale un tal prezzo>>.[23]
Ivan rigetta la fede che conduce alla vita immortale se il prezzo terreno dev’essere la passiva rassegnazione al Male dell’Ingiustizia. Ivan non si rimette alla volontà di Dio ma afferma un principio più alto: la giustizia appunto. Egli inaugura, come spiega Camus, <<l’impresa essenziale della rivolta, che sta nel sostituire al regno della Grazia il regno della Giustizia>>.[24] Il sacrificio anche di un solo innocente per l’immortalità di tutti gli altri non assolverebbe Dio dall’aver creato il Male. In questo senso << Ivan incarna – secondo Camus – il rifiuto della salvezza>>.[25]
Al tutto è lecito di Sade si è aggiunto il tutti o nessuno di Ivan Karamazov. A questo punto << la rivolta – avverte Camus – è ormai in cammino verso l’azione. (…) questo movimento è già indicato da Dostojevskij, con intensità profetica nella Leggenda del Grande Inquisitore >>.[26] Infatti – ed è bene ribadirlo – dopo aver affermato il tutto è lecito ed il tutti o nessuno, lo spirito della rivolta si estenderà dall’etica alla politica per affidare all’uomo la realizzazione terrena della promessa del Paradiso. Perfino Alioscia , il mistico fratello di Ivan, per quanto determinato nella sua fede in Dio se << avesse concluso – avverte Camus ricordando le celebri affermazioni di Dostojevskij – che né Dio né l’immortalità esistevano, sarebbe subito divenuto ateo e socialista >>.[27]
La secolarizzazione della rivolta
L’ultimo artefice della rivolta metafisica indicato da Camus è Friedrich Nietzsche. Questi, egli precisa, << non ha concepito il progetto di uccidere Dio. L’ha trovato già morto nell’anima del suo tempo >>.[28] La rivolta di Nietzsche muove dalla constatazione che Dio è morto e procede alla demolizione di tutti i surrogati che goffamente tentano di sostituire l’idolo in frantumi per conferire un significato e una direzione al divenire di questo mondo che non ha più finalità. Anche la morale tradizionale non è altro che un patetico tentativo di celare il Vuoto nel quale siamo sospesi. Oltre il rimpianto l’unico atteggiamento morale è, secondo Nietzsche, la consapevolezza e la lucidità di dover affrontare un divenire privo di finalità divine. E se il mondo non ha più una finalità divina, l’uomo diviene responsabile di tutto ciò che vive . Se l’uomo ha infranto le Tavole, ora deve fondare una sua nuova morale tutta umana. Umana che non degeneri, però, nell’ umanitarismo come il socialismo. Il socialismo, a giudizio di Nietzsche, non è altro che un << cristianesimo degenerato>>[29] che tenta di sostituire Dio con la Storia continuando a perseguire immorali fini ideali. L’orfano di Dio dovrà autodeterminarsi per essere, dovrà farsi egli stesso creatore ma perseguendo fini reali e concreti. <<Ci sta toccando in sorte – avverte Camus citando Nietzsche – il compito di governanti della terra>>.[30]
Riassumendo: il passo decisivo che Nietzsche ha fatto compiere allo spirito della rivolta << ha consistito – secondo Camus – nel farlo saltare dalla negazione dell’ideale alla secolarizzazione dell’ideale. Poiché la salvezza dell’uomo non si fa in Dio, deve farsi sulla terra >>.[31]
La rivolta nietzschiana sarà tradita, come vedremo nelle pagine successive, dal rivoluzionarismo marxiano. << Il marxismo-leninismo ha realmente assunto in sé la volontà di Nietzsche >> ma, a causa della << ignoranza di alcune virtù nietzschiane >>, esso, dopo essere sfuggito << alla prigione di Dio >>, ha costruito << il carcere della storia e della ragione, portando così a compimento – conclude Camus – il mascheramento e la consacrazione di quel nichilismo che Nietzsche ha preteso di vincere >>>.[32]
La rivolta storica
Compiuto il Parricidio, <<solo>> e consapevole della propria mortalità, l’uomo in rivolta proverà a farsi egli stesso Dio per edificare in terra il Paradiso perduto, per << rifare la creazione per proprio conto>>.[33] Una nuova creazione, che preveda qui ed ora la salvezza per tutti gli uomini, da realizzare sospendendo la conquistata << libertà assoluta >> e alienando l’individualità nella volontà generale verso la << prigione di doveri assoluti, ascesi collettiva >>.[34] Ascesi da imporre con la forza a coloro che dubitano. La <<rivolta metafisica>> si trasfigura, così, nella <<rivolta storica>>. La rivolta storica degenererà, allora, nelle rivoluzioni totalitarie del Ventesimo secolo.
All’innocenza del rivoltoso che lotta individualmente << per nostalgia d’innocenza ed anelito di essere >>, e che impone agli uomini null’altro se non il proprio esempio, si sostituisce il cinismo del rivoluzionario che pretende di esercitare sulla collettività il monopolio pedagogico della violenza. <<Il terrore, piccolo o grande, viene allora a coronare la rivoluzione. Ogni rivolta – sostiene Camus – è nostalgia d’innocenza e anelito all’essere. Ma la nostalgia prende un giorno le armi e si assume la colpevolezza totale, cioè l’omicidio e la violenza>>.[35] La rivoluzione vuol riplasmare l’intera organizzazione sociale: << una rivoluzione – scrive Camus – è un tentativo di modellare l’atto sull’idea, di foggiare il mondo entro un’inquadratura teorica>>.[36]
Nonostante la rivoluzione non sia che <<il logico sviluppo della rivolta metafisica>>, essa affonda, però, le sue radici nei regicidi dell’Ottocento che hanno denudato il potere privandolo della legittimità divina. Solo successivamente, <<ai regicidi dell’Ottocento – si legge ne L’uomo in rivolta – succedono i deicidi del Novecento che perseguono fino in fondo la logica della rivolta, e vogliono fare della terra il regno in cui l’uomo sarà Dio. Comincia il regno della storia e, identificandosi alla sola sua storia, l’uomo, infedele alla sua rivolta, si consacrerà ormai alle rivoluzioni nichiliste del Novecento: negando ogni morale, esse cercano disperatamente l’unità del genere umano attraverso una spossante accumulazione di delitti e di guerre. Alla rivoluzione giacobina che cercava d’instaurare la religione della virtù per fondare su di essa l’unità, succedono le rivoluzioni ciniche, siano esse di destra o di sinistra, che tenteranno di conquistare l’unità del mondo per fondare finalmente la religione dell’uomo. Tutto ciò che apparteneva a Dio sarà ormai reso a Cesare>>.[37]
Colui che ha fornito le basi filosofiche sulle quali fondare lo spietato Regno della storia è stato – a giudizio di Camus – Friedrich Hegel. Questi affermando che tutto ciò che è razionale è reale ha, di fatto, giustificato << tutte le violenze esercitate dall’ideologo sul reale>>.[38] Grazie ad Hegel ogni morale diviene provvisoria e temporalmente necessaria in quanto funzionale all’autorealizzazione dello Spirito. <<Hegel – avverte Camus – distrugge definitivamente ogni trascendenza verticale, e soprattutto quella dei principi (…). Egli ristabilisce, senza dubbio, nel divenire del mondo l’immanenza dello spirito. Ma questa immanenza non fissa, non ha niente in comune con l’antico panteismo. Lo spirito è, e non è nel mondo; esso vi si fa e vi sarà. Il valore viene dunque trasferito alla fine della Storia. Fino a quel momento non vi è nessun criterio proprio a fondare un giudizio di valore. Si deve agire e vivere in funzione dell’avvenire>>.[39] Ciò che Hegel distrugge non è solamente la trascendenza. Egli definisce il processo storico come lo svolgimento di razionalità e necessità. Hegel colloca la parusia dopo la risoluzione delle necessarie contraddizioni storiche. Ogni tappa di questo divenire è, quindi, inevitabile, e su ognuna di esse è inutile esprimere giudizi di valore. Tutto è già scritto nella Storia, ma resta ignoto fino al suo svelarsi, quindi ogni agire storico, anche il più aberrante, potrà essere giustificato. Lo storicismo finisce col legittimare l’arbitrio. <<Il cinismo – spiega in proposito Camus –, la divinizzazione della storia e della materia, il terrore individuale o il delitto di Stato, queste conseguenze, smisurate nasceranno allora, interamente armate, da un’equivoca concezione del mondo che affida alla sola storia il compito di produrre i valori e la verità. Se nulla può essere chiaramente concepito prima che la verità, alla fine dei tempi, sia stata messa alla luce, ogni azione è arbitraria, la forza finisce per regnare>>[40]. Da queste premesse deriva una sola conseguenza: coloro i quali si autoproclameranno artefici della Storia per la realizzazione dell’assoluto si riterranno legittimati ad uccidere o asservire . Gli eredi di Hegel seguiranno una di queste due alternative. << Quelli che hanno scelto d’uccidere e quelli che hanno scelto di asservire – conclude Camus ripercorrendo le tappe della rivolta storica – stanno per occupare successivamente il proscenio >>[41]. Ed ancora una volta essi lo faranno tradendo l’originario spirito della rivolta << in nome di una rivolta fuorviata dalla sua verità >>[42]. La scelta di uccidere popolerà il XIX secolo di nichilisti e terroristi che risolveranno il <<problema del padrone e dello schiavo>> col suicidio filosofico o il sacrificio della vita.
Il <<proletariato di liceali>>[43] descritto da Dostoevskij irrompe nella storia della rivolta. Praticando forme di terrorismo individuale Kaliayev e gli altri giusti intendono – secondo Camus – fondare una comunità di giustizia e di amore riscattando, così, quella missione che la Chiesa cristiana ha tradito. Essi portano il peso del terrore come una croce e cercano la morte che li assolva dalla colpa del delitto.
Camus, pur individuando in questo movimento i caratteri individualistici caratterizzanti la rivolta, precisa, però, che il dispotismo praticato all’interno di queste sette ne viola la purezza e contiene i germi organicistici del futuro dispotismo di Stato.
Diversamente coloro che decideranno di asservire genereranno, nel XX secolo, una inedita Teodicea e una nuova razza d’uomini decisi ad affermare che lo schiavo non si potrà affrancare se non alienandosi volontariamente e totalmente alla volontà generale e collettiva del nuovo Dio in terra: lo Stato. Il movimento rivoluzionario, tradendo la rivolta, aderirà a questa soluzione. << L’eredità congiunta di Neciaiev e di Marx darà origine – conclude l’autore de L’ uomo in rivolta – alla rivoluzione totalitaria del Ventesimo secolo. Mentre il terrorismo individuale dava la caccia agli ultimi rappresentanti del diritto divino, il terrorismo di Stato si preparava a distruggere definitivamente questo diritto (…). La tecnica della conquista del potere per la realizzazione dei fini ultimi prende il sopravvento sull’affermazione esemplare di tali fini>>.[44]
Il terrorismo di Stato
Un rapido sguardo alla storia – dalla rivoluzione francese, che ha prodotto Napoleone, fino alla repubblica di Weimar che ha generato Hitler – consente a Camus di affermare che << tutte le rivoluzioni moderne si sono concluse con una rafforzamento dello Stato >>.[45] Forse anche gli avvenimenti politici del Novecento avrebbero avuto un diverso esito se si fosse rimasti fedeli al vero spirito della rivolta ma il <<sogno profetico>> di Marx, le <<possenti anticipazioni>> di Hegel e di Nietzsche – <<rasa al suolo la Città di Dio >> – hanno generato << uno Stato razionale o irrazionale, ma comunque terrorista >>.[46]
L’autore de L’uomo in rivolta divide, quindi, il terrorismo di Stato in due categorie a seconda che esso pratichi il terrore irrazionale o quello razionale. Nella prima categoria egli include tutte le forme di nazifascismo; nella seconda il comunismo russo. Egli ritiene che il terrore di Stato irrazionale manchi di una ambizione universale, per cui si condanna a non essere altro che una sorta di dinamismo biologico. Diversamente, nella sua forma razionale, il terrore di Stato tenta di edificare sulle rovine della Città di Dio la Città dell’uomo.
Alla fine del confronto fra le due forme di terrorismo di Stato, egli conclude: <<Nonostante le apparenze, la rivoluzione tedesca non aveva avvenire. Era soltanto un impeto primitivo i cui danni sono stati maggiori dell’ambizione reale. Invece il comunismo russo – si legge ne L’uomo in rivolta –. ha preso su di sé l’ambizione metafisica descritta da questo saggio, l’edificazione, dopo la morte di Dio, di una città dell’uomo finalmente divinizzata. Questo nome di rivoluzione, al quale l’avventura hitleriana non può pretendere, l’ha meritato il comunismo russo, e, sebbene secondo ogni apparenza non lo meriti più, pretende di doverlo meritare un giorno, e per sempre. Per la prima volta nella storia, una dottrina e un movimento che poggiano sopra un Impero in armi si propongono come fine la rivoluzione definitiva e l’unificazione totale del mondo>>.[47]
La città dell’uomo doveva sorgere dall’escatologia storicistica marxiana. Ma le << le predizioni>> e le <<profezie>>.[48] di Marx sono state smentite dalle imprevedibili e dure repliche della storia. Capitale e proletariato hanno falsificato il determinismo storico marxiano: il capitale non ha subito la sua ultima crisi, l’internazionalismo proletario si è fermato sulla Vistola, il proletariato occidentale non ha subito l’annunciato depauperamento progressivo. Il proletariato mondiale ha respinto la missione storica che Marx, credendo di leggere nel Libro dei Tempi, gli aveva assegnato. L’ultima pagina del Libro non era ancora scritta. Ma tutto ciò non scalfiva le granitiche certezze di Lenin prima, e di Stalin poi. Questi procedettero, tra milioni di cadaveri, nel senso indicato dalla Storia. <<L’utopia sostituisce a Dio l’avvenire>>.[49] Il proletariato diventa così <<un potente mezzo fra gli altri nelle mani degli asceti rivoluzionari>>. Quella che doveva essere la città dell’uomo risulta un universo concentrazionario. <<L’Impero militare>> governa col <<processo permanente>>. Con riferimento al terrore – instaurato da Lenin e praticato ininterrottamente da Stalin – Camus afferma: <<L’Impero, nel suo sforzo convulso verso il regno definitivo, tende a integrare la morte. Si può asservire un uomo vivo e ridurlo allo stato storico di cosa. Ma, se muore rifiutando, riafferma una natura umana che ripudia l’ordine delle cose. Per questo l’accusato viene mostrato e ucciso di fronte al mondo soltanto se acconsente a dire che la sua morte sarà giusta, e conforme all’Impero delle cose. Bisogna morire disonorato o non essere più, né in vita né in morte. In quest’ultimo caso non si muore, si scompare>>.[50] Per la stabilità dell’Impero anche un cadavere può risultare minaccioso, se la sua morte appare come un atto di Rivolta. Così la rivoluzione ha stroncato la rivolta. L’Impero della riconciliazione definitiva non può consentire la rivolta a meno di autonegarsi, di delegittimarsi quale unico e autentico interprete del Disegno della Storia.
<< Scegliere la storia, ed essa sola – osserva Camus –, significa scegliere il nichilismo contro gli insegnamenti della rivolta stessa>>.[51] Diversamente, egli esorta, <<la rivolta alle prese con la storia aggiunge che, invece di uccidere e morire per produrre l’essere che non siamo, dobbiamo vivere e far vivere per creare quello che siamo>>.[52]
Oltre il nichilismo: il pensiero meridiano
Il compito della rivolta consiste nella realizzazione della giustizia e non nell’accrescimento dell’ingiustizia. La rivolta rifiuta ogni legittimazione dell’omicidio in quanto essa è << protesta contro la morte >>.[53] Contrariamente la passione nichilista, che anima la rivoluzione, alimenta l’ingiustizia e <<uccide, smaniosa di sentire che questo mondo è in balia della morte >>.[54] Sete di giustizia e anelito alla libertà costituiscono i due valori fondanti della Rivolta. Ma entrambi non devono degenerare nella ricerca delle loro forme assolute. In quanto << la giustizia assoluta passa attraverso la soppressione di ogni contraddizione : essa distrugge la libertà >> mentre << la libertà assoluta coincide col diritto, per il più forte, di dominare >>.[55]
La via che deve seguire Prometeo, se non vuol subire l’orrenda mutazione in Cesare, è quella indicata da Nemesi, dea della misura. <<La misura ci insegna – sostiene Camus – che occorre ad ogni morale una parte di realismo: la virtù pura è omicida; e che occorre una parte di morale ad ogni realismo: il cinismo è omicida>>.[56] La misura non è assimilabile alla quieta rassegnazione; essa, <<al contrario – si legge nelle ultime pagine de L’uomo in rivolta –, è pura tensione (…). Non fa morire gli altri per crearsi un alibi. Nella lacerazione estrema, ritrova il proprio limite sul quale, come Kaliayev, si sacrifica, ove occorra. La misura non è il contrario della rivolta. La rivolta è essa stessa misura: essa la ordina, la difende e la ricrea attraverso la storia e i suoi disordini. L’origine di questo valore ci garantisce che esso non può non essere intimamente lacerato. La misura, nata dalla rivolta, non può viversi se non mediante la rivolta. E’ costante conflitto, perpetuamente suscitato e signoreggiato dall’intelligenza. Non trionfa dell’impossibile né dell’abisso. Si adegua ad essi >>.[57]
La misura indica il limite oltre il quale la natura degli uomini e delle cose si fa mostruosa. Il limite è l’assoluto. <<L’assoluto – avverte Camus – non si consegue e soprattutto non si crea attraverso la storia. La politica non è religione, o allora è inquisizione.(…). La storia allora non può più essere innalzata a oggetto di culto. E’ solo un’occasione, che si tratta di rendere feconda con una rivolta vigile>>.[58]
Un uomo non può vivere nell’odio furente verso il proprio presente, e amare incondizionatamente un imprecisato futuro: <<La vera generosità verso l’avvenire – conclude Camus – consiste nel dare tutto al presente>>.[59]
Darsi al presente. Consumare la propria esistenza individuale significa per Camus: portare a compimento l’odissea dell’esplorazione dei campi del possibile evitando di cedere a quel canto delle sirene che promette una impossibile immortalità in cambio della negazione della propria individualità. Un uomo in rivolta è un individuo che sceglie di restare straniero tra i credenti rivendicando la propria non appartenenza per non farsi contagiare dalla peste delle ideologie totalitarie o delle fedi religiose o di una teleologia storicistica. Infatti l’assurdo storico è indicato da Camus come speculare all’ assurdo metafisico, poiché l’uno e l’altro inseriscono l’individuo in un divenire dal tempo imprecisato che nega la finitudine della natura umana. Entrambi sono degli assoluti messianici che presuppongono la costruzione di una collettività totalitaria. Quindi l’uomo in rivolta, per emanciparsi dalla condizione assurda in cui è relegata la sua vita, sceglie di lottare contro ogni promessa di assoluto. Coerentemente, in contrapposizione al determinismo della rivoluzione marxista, l’autore di La peste sceglie il volontarismo della rivolta. Infatti, Camus, in tutta la sua opera, va alla ricerca di un socialismo che possa evitare gli esiti liberticidi della tradizione marxista. Camus contrappone al socialismo apollineo il socialismo dionisiaco. Al socialismo nord-europeo dell’ ideologia tedesca oppone il socialismo mediterraneo.[60] << Comune contro stato, società concreta contro società assolutistica, libertà riflessiva contro tirannia razionale, l’individualismo altruista infine contro la colonizzazione delle masse >>.[61] Camus è irremovibilmente convinto che: << Senza libertà non c’è socialismo >>.[62]
La rivolta: tensione morale permanente
Giunti a questo punto, per non essere infedeli all’insegnamento di Albert Camus, è giusto precisare che il suo socialismo non può essere interpretato come l’elaborazione di un nuovo sistema ideologico o assimilato ad alcuna delle tradizioni socialiste. Egli non propone alcun metodo machiavellico per la conquista del potere né alcun modello economicistico per la costruzione per una società altra. Camus rifiuta, coerentemente con le proprie affermazioni, di indicare il senso storico – nella duplice accezione di significato e di direzione – della propria proposta. Del resto, in tutta la sua opera egli ribadisce che il vero assurdo sarebbe quello di cercare una risposta di senso alienando se stessi nella promessa di un Totalmente Altro, storico o religioso, negando, così, la propria individualità e smarrendo l’unica cosa reale: l’esistenza di ogni singolo individuo.
Il socialismo ipotizzato da Camus non è inscritto nelle leggi del divenire della Storia ma poggia su una dimensione etica. Esso corrisponde ad una sorta di imperativo morale, una tensione morale permanente, una stella polare che orienti la navigazione verso la realizzazione di quel sistema sociale che garantisca la giustizia senza privare l’individuo della propria libertà. Quel sistema sociale che si potrà tentare di edificare, procedendo per tentativi ed errori, attraverso l’utilizzo di una metodologia pedagogica che privilegi la funzione educatrice dell’istruzione e della produzione artistica, in particolar modo dell’espressione teatrale. Una metodologia che non risulti, però, indottrinamento ma, attraverso l’esempio, susciti emulazione, libera adesione individuale ad un modello di società fondato su strutture di cooperazione e di solidarietà che non dovranno mai degenerare in apparati statali liberticidi di stampo collettivistico–burocratici.
Ludovico Martello
Note
[1] L’episodio è riportato da M. Onfray nel volume: M. Onfray, L’ordine libertario, Ponte alle Grazie, Milano 2013, p. 76.
[2] A. Camus, Taccuini 1951-1959, Bompiani, Milano 1992, pp. 102 – 103, il brano riportato è stato tratto dal volume: M. Onfray, L’ordine libertario, cit., p. 76.
[3] J. Onimus, Camus, EDB Ed. Dehoniane, Bologna 1970, p.103.
[4] A. Camus, L’uomo in rivolta, Bompiani, Milano 1981, p.266.
[5] Ibidem.
[6] A. Camus, Il pane e la libertà è il titolo del discorso pronunciato dall’autore al Meeting Per la difesa delle libertà organizzato il 10 maggio 1953 alla Camera del Lavoro di Saint-Etienne dal Comitato unione intersindacale. Il testo del discorso è riportato nel volume: A. Bresolin ( a cura di ), Albert Camus La rivolta libertaria, Ed. A coop.sezione Elèuthera, Milano 1988, p.66.
[7] A. Camus, L’uomo in rivolta, cit., p.17.
[8] Ivi, p. 25.
[9] Ivi, p. 26.
[10] Ivi, p. 27.
[11] Ivi, p. 32.
[12] Ivi, p. 31.
[13] Ivi, p. 33.
[14] Ivi, p. 44.
[15] Ibidem.
[16] Ivi, p. 46.
[17] Ivi, p. 47.
[18] Ibidem.
[19] Ibidem.
[20] Ivi, p. 56.
[21] Ibidem.
[22] Ivi, p. 65.
[23] Ivi, p. 66.
[24] Ibidem.
[25] Ibidem.
[26] Ivi, p. 70.
[27] Ibidem.
[28] Ivi, p. 79.
[29] Ivi, p. 81.
[30] Ivi, p. 90.
[31] Ibidem.
[32] Ivi, p. 92.
[33] Ivi, p. 113.
[34] Ivi, p. 116.
[35] Ivi, p. 121.
[36] Ivi, p. 122.
[37] Ivi, p. 149.
[38] Ivi, p. 152.
[39] Ivi, p. 160.
[40] Ivi, p. 164.
[41] Ivi, p. 166.
[42] Ibidem.
[43] Ivi, p. 167.
[44] Ivi, p. 193.
[45] Ivi, p. 196.
[46] Ibidem.
[47] Ivi. p. 206.
[48] Ivi, p. 208.
[49] Ivi, p. 228.
[50] Ivi, p. 260.
[51] Ivi, p. 267.
[52] Ivi, p. 273.
[53] Ivi, p. 311.
[54] Ivi, p. 311.
[55] Ivi, p. 314.
[56] Ivi, p. 324.
[57] Ivi, pp. 328-329.
[58] Ivi, p. 330.
[59] Ivi, p. 332.
[60] Cfr. M. Onfray, L’ordine libertario, op. cit., p. 147 con G. Fofi, Prefazione a La rivolta libertaria, op. cit., p. 30.
[61] Ibidem.
[62] A. Camus, Inchiesta di <<Tempo Presente >>, in A. Bresolin ( a cura di), La rivolta libertaria, op. cit., p. 80.