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I falò di Nietzsche
Nietzsche, durante i suoi lunghi soggiorni a Genova, era solito inerpicarsi sulle colline intorno al golfo, poi, una volta stanco ed infreddolito, raccoglieva della legna, accendeva un falò e restava immobile a fissarne la danza delle fiamme.[1] Chissà, forse su quelle fiamme il filosofo bruciava uno dopo l’altro i tragici e illusori tentativi di trovare un residuo metafisico per colmare il vuoto lasciato dalla Morte di Dio.
Le fiamme di quegli stessi falò hanno formato, con i loro bagliori mentre il buio del tramonto calava sulle terre di Occidente, la stella polare scelta da Albert Camus per orientare la propria navigazione intellettuale. << Ho pensato spesso a quei falò, e il loro bagliore – annota l’autore de L’Homme révolté nei suoi Taccuini – ha danzato dietro tutta la mia vita intellettuale. Se poi mi è capitato di essere ingiusto nei confronti di certi pensieri e di certi uomini che ho incontrato nel mondo, è perché, senza volerlo, li ho messi di fronte a quegli incendi e si sono subito ridotti in cenere >>.[2]
L’Homme révolté rappresenta il falò nel quale l’autore brucia << i sanguinosi idoli della ragione >> con i quali l’ Occidente, nella prima metà del Novecento, aveva tentato di sostituire il Dio biblico espulso da quel mondo ormai disincantato. Con << questo libro – osserva Jean Onimus – scoppia il dramma dell’umanesimo ateo >>[3].
Pubblicate nel 1951 dall’Ḗdition Gallimard, le pagine de L’Homme révolté raccontano le fiamme del falò, acceso da Camus, mentre avvolgono ed inceneriscono tutti gli idoli totalitari senza escludere quelli, non meno spietati, generati dallo storicismo hegelomarxiano.