lunedì, Ottobre 7, 2024

Luigi Pirandello ei suoi romanzi: Rivisitazione e riflessione critica 

Scopri Luigi Pirandello e i suoi romanzi: una rivisitazione e riflessione critica sull'identità e la natura della realtà.

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Luigi Pirandello: Esplorazione dell’Identità e della Realtà

Luigi Pirandello (1867-1936), drammaturgo, romanziere e scrittore di racconti italiano, è stato a lungo celebrato per la sua esplorazione della fluidità dell’identità e della natura della realtà.In questo articolo, esploreremo Luigi Pirandello ei suoi romanzi: Rivisitazione e riflessione critica.

è stato a lungo celebrato per la sua esplorazione della fluidità dell’identità e della natura della realtà.

Mentre le sue opere teatrali, come

“Sei personaggi in cerca di autore”,

hanno attirato molta attenzione, i suoi romanzi sono rimasti cruciali per comprendere il suo genio letterario.

Negli ultimi 30 anni, c’è stata una significativa rinascita di interesse per i romanzi di Pirandello.

Questa rinnovata attenzione ha portato a nuove interpretazioni, contestualizzazioni e analisi critiche,

che hanno ampliato la nostra comprensione delle tecniche narrative, delle intuizioni filosofiche e dei commenti socioculturali di Pirandello.

Il Ruolo Secondario dei Romanzi di Pirandello

Quasi tutti i critici di Pirandello romanziere hanno notato che si assegna di solito ai suoi romanzi un posto secondario non solo rispetto alla sua produzione teatrale, ma anche a quella novellistica.

Alcuni propongono una “gerarchia” secondo la quale prima vengono gli scritti teatrali,

poi le novelle per un anno, quindi i romanzi ed infine le poesie e gli scritti vari.

Come si vedrà nel corso di questo saggio, le prime recensioni dei romanzi furono in prevalenza negative.

Questa relativa incomprensione della produzione romanzesca di Luigi Pirandello è dovuta a varie ragioni la cui esplorazione va oltre lo scopo del presente lavoro,

il quale invece parte dal presupposto che tanto i romanzi,

quanto le novelle e le opere teatrali sono espressione valida e positiva di un artista i cui prodotti letterari abbondano di fervore intellettuale.

Elementi Veristi e Tematica Pirandelliana

Nostro scopo non è quindi quello di proporre una valutazione quantitativa di questo e quell’aspetto dell’opera pirandelliana,

e neppure di riscattare polemicamente i romanzi dal limbo assegnato loro da tanti critici;

bensì di sottolineare in essi la presenza di elementi che caratterizzano positivamente tutta l’esperienza intellettuale e creativa di Pirandello dai tentativi,

certo meno riusciti dell’Esclusa e del Turno, fino alle prove più ambiziose e complesse dei romanzi successivi.

Ci occuperemo in particolare dei due romanzi giovanili che abbiamo ricordato, e cercheremo di mostrare da un accostamento con

I Quaderni di Serafino Gubbio operatore e Uno nessuno e centomila come l’abbondanza di elementi “veristi” riscontrabili in essi sia già inquadrata e contenuta da una visione della realtà che anticipa il successivo,

totale affrancamento dai modelli tardo ottocenteschi, e lo svolgimento di una tematica propriamente “pirandelliana” (paradossi, scomposizione della vita).

I romanzi di Pirandello:

L’esclusa

Origini e Pubblicazione del Romanzo

Scritto nel 1893, L’esclusa fu pubblicato, si crede per ragioni editoriali, solo nel 1901 su La Tribuna di Roma fra giugno e agosto. Era stato scritto per suggerimento di Luigi Capuana durante una villeggiatura a Mantecava in compagnia di altri scrittori.

Il romanzo è chiaramente esemplato sulle regole veriste della rappresentazione obiettiva.

Fu ripubblicato in volume da Treves di Milano nel 1908, ristampato nel 1922, e 1919, poi in una ristampa riveduta e corretta da Bemporad nel 1927, ed infine dalla Mondadori.

La Vicenda di Marta

Marta, la protagonista, è scacciata di casa dal marito Rocco Pentagora che la sospetta di tradimento con Gregorio Alvignani, deputato al parlamento.

Si tratta di un abbaglio da parte del marito che, scoprendo delle lettere, crede che si sia ripetuto ciò che era già successo fra suo padre e sua madre.

Costretta a ritornare al tetto paterno, Marta è creduta colpevole persino da suo padre, Francesco Ayala. Uomo taciturno e severo, questi si rinchiude nella sua camera rifiutandosi di vivere una vita normale.

Muore infine di un attacco apoplettico mandando in rovina tutto il suo patrimonio familiare perché il nipote, cui aveva affidato i suoi affari,

poco dopo la sua morte scompare e lascia il resto della famiglia insolvente.

Le Conseguenze della Disgrazia

Con tali disastri familiari, Marta è costretta a guadagnarsi da vivere.

Partecipa a un concorso d’insegnamento e, con l’aiuto dell’Alvignani,

comincia a Vive durante questo suo primo tirocinio un’esperienza drammatica, ripudiata dall’intera società, ed è infine costretta a trasferirsi a Palermo.

Nella capitale, essendo giovane e bella, si ritrova circondata da ammiratori e corteggiatori.

Maturatasi all’amore, diventa veramente vittima facile di Gregorio Alvignani che, durante una sua conferenza a Palermo, decide di rimanervi per una vacanza indefinita.

La Decisione Finale di Marta

Finalmente il marito di Marta, dopo una lunga malattia, convintosi dell’innocenza della moglie, la richiama a sé. Intercede per Rocco lo stesso Alvignani, e Marta, avvilita e disperata non riesce a decidere cosa fare. Non vuole ritornare da suo marito, ma non può neanche restare col suo amante. Quando Rocco accorre al letto di sua madre moribonda, Marta gli confessa il suo tradimento. È qui che Rocco, in risarcimento per il peccato suo e di suo padre, le chiede perdono e la supplica di restare con lui.

Evoluzione Teatrale

Da questa trama, Pirandello ricaverà poi il tema teatrale comico, L’uomo, la bestia e la virtù,

di cui sarà fatto anche un film con la partecipazione di Toto e Orson Wells.

 Il turno

Questo romanzo scadente anche rispetto a L’esclusa del 1901, prende il suo titolo dal piano di Marcantonio Ravì che vorrebbe che sua figlia sposasse un uomo ricco ma vecchio, Don Diego Alcozer, mentre il suo spasimante,

Pepè Alletto aspetterebbe la morte di questo per sposare, a suo “turno” la bella, e ora anche ricca Stellina.

Il piano è sconvolto da vari sviluppi inattesi.

Stellina si stufa di Don Diego, l’ex cognato di Pepè, Ciro Coppa, avvocato prepotente, accorre in sua difesa, fa annullare il matrimonio e finisce per sposarla.

Geloso ancora una volta come lo era già stato della sua prima moglie, sorella di Pepè, Ciro muore, lasciando così finalmente Stellina libera di sposare l’antico
spasimante.

Il turno, scritto nel 1895, fu prima pubblicato da Giannotta di
Catania nel 1902, poi da Treves di Milano nel 1915 con la lunga novella
Lontano. Lo stesso anno, Madella di Sesto San Giovanni portava fuori un’edizione non
autorizzata. Prima che la Mondadori ne avesse tutti i diritti nel 1932, fu pubblicato
da Quattrini di Firenze nel 1920 e da Bemporad nel 1929.

 Il fu Mattia Pascal

Pubblicazione e contesto del romanzo

Fu scritto fra marzo e giugno 1904 e apparve prima a puntate su La Nuova Antologia di Roma fra i mesi di aprile e giugno dello stesso anno, e in volume nell’edizione di Nuova Antologia.

Nel 1910 fu pubblicato a Milano da Treves, da Bemporad nel 1921, vi fu poi una nuova ristampa con “un’avvertenza sugli scrupoli della fantasia”. Dopo varie ristampe a Firenze, fu poi pubblicata da Mondadori.  

L’introduzione del protagonista


Viene spesso notato che nella premessa il protagonista annuncia che ha deciso di mettere per iscritto la sua strana vicenda per poi lasciare il manoscritto nella biblioteca dove lavora,

con l’obbligo di aprirlo solo cinquant’anni dopo la sua terza, ultima e definitiva morte.

Il consiglio di mettere per iscritto il suo caso gli è venuto dal suo amico bibliotecario, don Eligio. (Anna Maria Andreoli, “Diventare Pirandello“, Mondadori libri S.p.a., Milano, (2020), pag. 246.) 

Metafora dell’alienazione sociale


Questo romanzo, che racconta la storia di un uomo che finge la sua morte per sfuggire alla sua vita insoddisfacente,

è stato interpretato come una metafora dell’alienazione sociale vissuta dagli individui durante i periodi di rapido cambiamento. 

La trama del romanzo narra di un giovane Mattia Pascal di Miragno, in Sicilia dove vive una difficile, complicata e strana vita sia familiare che sociale.

Tutto ciò lo fa sentire disconnesso dalla vita sociale e dai ruoli convenzionali in famiglia;

non è capace né di arrendersi alle convenzioni di una società atavica e conformista né a quei ruoli più diretti di marito, padre, figlio e fratello.

La sua crisi rappresenta la crisi dell’uomo del Novecento per il quale la vita è semplicemente noia dovuta all’incapacità dell’uomo di risolvere i più semplici problemi della vita.

Il viaggio e la nuova identità

Nonostante abbia ricevuto dal padre un considerevole patrimonio, non è capace o esperto abbastanza da poter rimediare ai soprusi ed alle calunnie che la società e la famiglia gli presentano.

Mattia Pascal nel corso di un viaggio verso Marsiglia e Nizza contempla di imbarcarsi per le Americhe, viene poi attratto da una pubblicità sul gioco e si reca al casinò di Montecarlo dove gioca per circa dodici giorni di fila ed alla fine vince la bella somma netta, anche dopo alcune perdite, di circa 82.000 lire,

una somma ragguardevole e importante per quei tempi.

Pensa di tornare a Miragno, ma il caso vuole che, nel leggere  la cronaca del suo paese si rende conto che nel ritrovamento di un cadavere abbastanza disfigurato, il medico legale ha dichiararlo deceduto proprio lui, Mattia Pascal che è assente dal paese.

Invece di annunciare al mondo intero l’errore da parte del medico legale, si finge un altro, Adriano Meis.

La difficoltà di vivere come “nessuno”

Questa nuova identità lontano da quella in cui non si riconosceva capace di far fronte né alla vita atavica e perversa del suo paese natio, né alla sua strana famiglia lo porta a decidere di condurre una nuova vita.

Ma, ahimè, a lungo andare, e non avendo più una identità anagrafica legalmente sua, si accorge che non è così semplice vivere come “nessuno.”

È alquanto ricco, ma a cosa gli serve? Si innamora di una donna che gli piace, ma non può sposarsi perché non ha documenti.

Decide infine di tornare a Miragno, dove neanche la moglie lo riconosce e dove lui può solo visitare la tomba di colui che ha rubato la sua esistenza anagrafica anche se non ha spento la sua vita reale.

Conclusioni e riflessioni

Mattia quindi si accorge di “essere”  sempre lui, ma di non poter “esistere” perché ora egli esiste al mondo solo come il Fu Mattia Pascal. 


Come negli altri romanzi, Pirandello ha creato una specie di uscita di sicurezza, un’occasione salvifica per il suo personaggio, ma servirà a qualcosa questa nuova identità?

La risposta è no! Questa nuova identità non serve come non è servita quella di Mattia Pascal? Esiste solo Il fu Mattia Pascal.  


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Suo marito

Seguì Suo marito che fu scritto nel 1909 e fu prima pubblicato da Quattrini di Firenze nel 1911.

La seconda edizione riveduta con il nuovo titolo di Giustino Roncella nato Boggiolo è compresa nel volume: Tutti i romanzi, edizione Mondadori, Milano 1941.  
“Suo marito” è uno dei romanzi meno noti di Pirandello ma, negli ultimi anni ha attirato l’attenzione per il suo realismo psicologico.

Il romanzo, che ruota attorno al matrimonio travagliato di un famoso romanziere, è stato studiato per la sua esplorazione delle dinamiche psicologiche all’interno delle relazioni intime dello stesso Pirandello.

Recenti analisi hanno evidenziato l’acuta intuizione di Pirandello nella psiche umana, in particolare la sua rappresentazione della complessità del matrimonio e dei conflitti tra ambizione personale e obblighi familiari,

esattamente come Pirandello martella il tema in quasi tutti i suoi romanzi. 

Negli ultimi 30 anni, gli studiosi hanno esaminato “Suo marito” nel contesto della più ampia esplorazione di Pirandello sull’identità e la realtà.

La rappresentazione del romanzo della lotta del protagonista per conciliare i suoi desideri personali con le aspettative della società è stata vista come un riflesso della costante preoccupazione di Pirandello per la tensione tra autonomia individuale e conformità sociale.

Questa attenzione al realismo psicologico ha contribuito a una comprensione più profonda delle tecniche letterarie e delle preoccupazioni tematiche di Pirandello. 

I vecchi e i giovani

Nel 1909 sulla Rassegna Contemporanea appariva I Vecchi e i Giovani, quel romanzo “amarissimo” della Sicilia dopo il 1870.

Fu ripubblicato in due volumi da Treves di Milano nel 1913, e nel 1931 anche a Milano da Mondadori in una nuova edizione completamente rielaborata e riveduta.

Questo testo è quello che rimane nelle più recenti edizioni Mondadori di Tutti i Romanzi.  
Con I vecchi e i giovani Pirandello si propone di trovare – forse – in una ricerca storica dei Fasci siciliani del 1893 la risposta alla crisi della sua isola ed alla crisi dell’uomo.

Pirandello esprime un giudizio molto severo sulla storia e gli avvenimenti che avevano portato l’Italia alle guerre per l’indipendenza e la costruzione di una nazione unificata sotto i Savoia senza che le vere basi per quella unificazione esistessero o fossero state costruite.  


I personaggi sono quindi una specie di “pupazzi” tratti dalle caratteristiche di alcuni individui che hanno fatto la storia, ma vengono dipinti per dimostrare quanto errato sia stato lo svolgimento degli eventi nazionali e quali siano le tristi conseguenze di quegli errori.

I vecchi non sono riusciti a tradurre gli ideali che si proponevano in una nuova realtà. Le conseguenze sono le grandi delusioni del malgoverno che ora prevale in tutto il paese.  

Nell’ultimo capitolo, è Pirandello stesso che si pronuncia sulla situazione.

«Una cosa è triste, cari miei, – egli scrive –  aver capito il gioco!

Dico il gioco di questo demoniaccio beffardo che ciascuno di noi ha dentro e che si spassa a rappresentarci di fuori, come realtà, ciò che poco dopo egli stesso ci scopre come una nostra illusione, deridendoci degli affanni che per essa ci siamo dati, e deridendoci anche, come avviene a me, del non averci saputo illudere, poiché fuori di queste illusioni non c’è più altra realtà…» 

Quaderni di Serafino Gubbio operatore

È una specie di diario che Serafino Gubbio, chiamato anche “si gira” per nomignolo, scrive a scopi di sfuggire, in parte almeno, l’inutilità e meccanicità della sua esistenza.

Serafino è un operatore di macchine da presa cinematografica, non fa altro che girare la manovella, le macchine fanno tutto loro.

Egli si rende conto che forse un giorno anche il suo lavoro meccanico potrà essere eseguito da un oggetto tecnico la cui impersonalità egli sente persino desiderabile per un lavoro che richiede obiettività.

Osservatore impersonale, Serafino descrive nei suoi appunti eventi e situazioni relativi al suo mondo cinematografico e all’arte in genere.

L’evento che più interessa nel suo mondo della Kosmograph, la casa produttrice presso la quale Serafino è impiegato, è la vita e morte dell’attrice russa Vania Nestoroff.

Durante una scena che si gira alla Kosmograph, un attore, ex amante della Nestoroff, uccide per gelosia l’affascinante attrice russa, invece della tigre come voleva il copione.

La tigre, a sua volta, sbrana il Nuti prima di essere uccisa da un altro sul set.

La tigre doveva essere l’unica a morire in questa realtà cinematografica che nella finzione aveva finto la morte umana, ma non permetteva che le belve si salvassero.

Serafino Gubbio si trova così osservatore e registratore impassibile di eventi imprevisti. È lui il simbolo di tutta l’arte, immobile ed eterna dinanzi al mutevole fluire della vita.

Questo romanzo sperimentale apparve prima con il titolo di Si Gira sulla Nuova Antologia fra giugno e agosto del 1915. Fu pubblicato in volume a Milano da Treves nel 1916 e ristampato nel 1917.

Col nuovo titolo di I Quaderni di Serafino Gubbio operatore fu pubblicato a Firenze da Bemporad nel 1925 e infine da Mondadori di Milano nel 1932.

Uno nessuno e centomila

Sappiamo da una lettera autobiografica di Pirandello che questo romanzo fu iniziato nel 1924, quando l’autore ne supponeva una imminente pubblicazione.

Invece non fu pubblicato fino al 1925-1926 quando apparve su La Fiera Letteraria a Milano.

Apparve in volume a Firenze nel 1926 pubblicato da Bemporad, e a Milano presso Mondadori nel 1932 e in varie ristampe di tutti i romanzi.

È il romanzo più tipico di Pirandello in cui il tono oratorio e polemico svuota la vita e la società del suo nucleo fondamentale.

Vitangelo Moscarda, vissuto finora come tranquillo signorotto di provincia, improvvisamente, a seguito della scoperta di alcune minori imperfezioni, si convince che l’uomo non è ma appare; perciò, finisce per concludere che l’individuo non è uno, è centomila.

Chi fa questa scoperta poi diventa nessuno perché non può mai realizzare le sue centomila realtà. Egli stesso è Genge per sua moglie, un usuraio per il popolo, e alla fine, un pazzo. Decide di sconvolgere la sua vita, vuole disfarsi della banca ereditata da suo padre per non essere più l’usuraio.

È considerato veramente impazzito quando viene ferito da Anna Rosa, amica di sua moglie, per un puro fraintendimento per cui ancora una volta egli è stato negli occhi di qualcuno un altro che lui non riconosce e non aveva mai conosciuto.

Abbandonato da Dida, sua moglie, viene ricoverato in un ospizio di mendicità fondato da lui stesso attraverso la liquidazione di ogni patrimonio paterno.

Qui vive contento o, possiamo dire che si guarda vivere, senza un nome, come un albero, un oggetto, insomma senza esser più nessuno. 

Dall’Esclusa a Uno nessuno e centomila: esordi ed esiti della narrativa pirandelliana.  

Critica negativa a “L’Esclusa”

Un esempio di critica negativa ricevuta dalla prima produzione romanzesca di Pirandello ci è dato da una recensione anonima apparsa in L’Italia che scrive, agosto 1927, al tempo della ristampa fiorentina di L’Esclusa presso Bemporad.

Il recensore avverte che la pubblicazione di questo vecchio romanzo può nuocere, ma certamente non aggiunge alla fama dell’autore.

“La trama così riassunta in poche righe non ha certo niente d’inumano e d’inverosimile, eppure il Pirandello non riesce a darle calore di verità e di simpatia.

Manca soprattutto al romanzo un significato; e quando siamo arrivati alla fine, ci domandiamo perplessi a che fine il Pirandello ci ha raccontato questa lunga odissea di guai e di tormenti, in altre parole qui c’è il dramma, ma non c’è la catarsi.”

Critica alla qualità del romanzo e del suo autore

Il recensore insiste che chi volesse mettersi ad approfondire le ragioni di questa mancanza di convinzione si troverà davanti tutto intero il problema estetico del Pirandello;

si accorgerà che a questo scrittore fanno sempre difetto le qualità del poeta, e anzitutto la fede nella materia della sua arte, la pietà per i dolori che narra, la solidarietà morale verso l’umanità.

“Perché, nella fattispecie, i casi della povera Marta non ci commuovono?

Perché neppure l’autore se ne è mai commosso: egli ha infilzato quell’anima in uno spillo, ha infisso lo spillo in una base, ha scritto sulla base il nome del prezioso coleottero che è venuto ad arricchire la sua.

Contesto storico e artistico

Sembra, a prima vista, una critica accorta de L’Esclusa, come di tutti i primi romanzi e la prima produzione letteraria in genere di Pirandello, perché scorgiamo in essi, ma maggiormente ne L’Esclusa, tendenze naturalistiche che Pirandello non ha ancora integrato nella sua intera concezione artistica.

Sarà solo nel 1904 con l’apparizione ne La Nuova Antologia de Il fu Mattia Pascal che il pubblico riceverà dimostrazione inequivocabile della sua grande arte di romanziere.

Anche lì si assisterà a un’arte romanzesca diversa da ogni tipo registrato fino allora.

Questo tipo di critica dimostra inoltre la scarsa qualità d’interesse e attenzione che l’attività romanzesca di Pirandello ha inizialmente ricevuto.

I suoi romanzi, contrariamente alla ricca produzione di novelle che egli pubblicava continuamente in varie riviste (come farà poi Moravia più tardi), non erano ricevuti con la stessa ansia e interesse.

Risultò che la critica ritardò a interessarsene mentre l’autore si faceva una fama mondiale di novelliere e drammaturgo.

Ancora oggi, perciò, la critica dei romanzi soffre a causa dell’accentuazione su Pirandello drammaturgo e novelliere; ciò ha creato una specie di “gerarchia” artificiale di generi: il teatro, le novelle, i romanzi.

Un capovolgimento di quest’ordine, ormai saldo, non è facile da attuare, né è necessario. Basterà che i suoi romanzi siano compresi nell’ambito totale dell’arte pirandelliana.

Influenza e modelli letterari

Lo spunto di L’Esclusa sembra quasi certamente preso da un lungo racconto pubblicato da Luigi Capuana nel 1885 (Luigi Capuana, Ribrezzo, Catania, Giannotta, 1885).

“Protagonista del racconto del Capuana è una donna che, scacciata di casa dal marito, senza che abbia commesso un vero tradimento, è condannata anche dal padre e finisce con il commettere quella colpa della quale era stata a torto accusata, spinta dalla forza ineluttabile degli altri e del destino.

L’identità della trama tra il racconto del Capuana e il romanzo del Pirandello trova riscontro anche nel sentimento dal quale le due donne sono mosse, per cui la colpa rappresenta il risultato fatale della cieca e ingiusta condanna degli uomini, così come la morte di Francesco Ayala ha un preciso riscontro nella tristezza del padre di Giustina e nel timore della moglie che egli potesse morire di crepacuore.”

Analogie con il Verismo e distacco dai modelli

Né si possono negare analogie con Giacinta, ancora di Luigi Capuana, poiché il tema della donna che tradisce è svolto secondo le norme del verismo il che ci fa pensare alla presenza di modelli francesi quali Madame Bovary del Flaubert e i Rougon Macquart, il ciclo naturalistico dello Zola.

Ma Pirandello, la cui disposizione psicologica e letteraria non gli consentiva una completa adesione al naturalismo, nonostante la sua ammirazione per Verga e Capuana, si distacca enfaticamente dai suoi modelli.

Domina nel suo romanzo l’arte psicologica, il tentativo di dissolvere il personaggio in maschere, senza permettergli un’autonomia morale e psicologica.

La trama oggettiva degli eventi si dissolve su di un piano paradossale e irrazionale.

La protagonista esclusa, cacciata di casa per una colpa non commessa, è riaccettata da suo marito, la sua famiglia, la società in genere solo dopo aver commesso in realtà l’adulterio che le era stato ingiustamente ascritto.

Quest’ovvio paradosso, voluto, intenzionale da parte di Pirandello dimostra la sua inclinazione e il suo desiderio di attuare una spietata indagine psicologica, come nessuno scrittore aveva fatto.

Parte quindi dal tema del verismo, ma dà già all’intera narrazione un carattere diverso.

Stile e tecnica narrativa

L’impersonalità sulla quale insistevano i veristi, e specialmente Capuana, che la incoraggiava e pregiava in Verga, Pirandello la rende impostando il racconto alla terza persona, in uno stile freddo e disadorno, riconducendolo quasi a una cronaca scolorita, eccetto che per tratti più prettamente psicologici in cui la protagonista è, a volte, ritratta.

Il racconto diventa la cronaca fredda e disinvolta di un fatto (e, infatti, questa parola appare spesso in corsivo), con tutto il colore regionale della cultura atavica siciliana, lo studio obiettivo dell’uomo visto nelle varie situazioni umane, nelle sue paure, incertezze e debolezze, nella sua incapacità di comprendere la sua esistenza e quella degli altri, e di accettare gli altri in simili situazioni.

È nell’esposizione del fatto che Pirandello si distacca dai suoi modelli veristi.

“La prova migliore per cogliere l’evasione in parte consapevole di Pirandello delle tematiche del verismo si può rinvenire nella sua valutazione del fatto e del peso che esso esercita sulla vita degli uomini.

Mentre per gli scrittori veristi il fatto risponde a un’esigenza obiettiva e si presenta chiuso in un nesso meccanico di cui l’uomo non può essere che vittima partecipe, Pirandello tende a sostituire al fatto in sé il fatto in noi, cioè l’eco del fatto della nostra coscienza.

Ne L’Esclusa, il fatto, pur avendo determinato la tragedia, cessa di avere la funzione di agente fisico deterministico e ineluttabile.“.“ 6 5 . (Cfr. D’Alberti, op. cit. , e Giuseppe Giacalone, Luigi Pirandello, Brescia, La Scuola Editrice, 1966, pp. 104-120;  Sarah D’Alberti, Pirandello romanziere, op. cit. , p. 45). 


Scomposizione del fatto e paradosso

Nonostante lo stile freddo, però, il fatto in sé diventa il fatto in noi, quando Pirandello muove dalla descrizione naturalistica al paradosso, distrugge il fatto per meglio creare il paradosso.

Marta stessa osserva: “Il fatto. C’era un “fatto”.

Qualcosa che ella non poteva più rimuovere; enorme per tutti, per lei stessa enorme, che pur lo sentiva nella propria coscienza inconsistente, ombra, nebbia, divenuta macigno…

Era forse un’altra lei, dopo quel “fatto”?

Era la stessa, si sentiva la stessa.”

Disumanizzazione e umanizzazione dei personaggi

Il fatto viene così svuotato di tutta la sua storicità ed evidenze, rimangono le prime impronte, le prime sembianze sbiadite di maschere nude, nei loro toni esasperati e brutali, che servono a disumanizzare il personaggio e umanizzarlo di nuovo, ma questa volta nel suo strazio e dolore, nella sua solitudine.

Né Marta è l’unica vittima di questo dolore sconvolgente.

Sono vittime il padre, la madre, e la sorella.

Dopo la morte del padre poi le tre donne sono sorrette nel loro strazio da un’altra vinta, Anna Veronica, una vittima di circostanze un po’ diverse, ma che similmente mettono a fuoco il dramma della donna e della società chiusa, atavica siciliana.

L’esempio, quasi plastico di questo dramma sociale, è il padre di Marta, “un energumeno, diffidente di tutti, e specialmente della moglie, estraneo nella sua stessa casa, chiuso nella sua solitudine disperata. “

Il Dramma della Sventura e la Folle Reazione del Padre

Come ogni altra minima sventura aveva sempre causato una tragedia disastrosa, così la sventura della figlia condurrà la sua pazzia germinale a una follia totale e alla distruzione del patrimonio familiare e della sua stessa vita.

La madre di Marta è vittima di suo marito, che per anni l’ha costretta a (Luigi Pirandello, Tutti i romanzi, Milano, Mondadori, 1944, p. 43; Giuseppe Giacalone, Luigi Pirandello, op. cit. p. 108) vivere un’esistenza brutale, e della sventura che colpisce sua figlia.

Gli eventi, che il dubbio di Rocco scatena, rappresentano la disumanizzazione dell’individuo di fronte al suo dramma e l’indagine spietata che Pirandello ne fa ci mostra nelle minime sfumature le più sconcertanti contraddizioni psicologiche.

“Pirandello scopre nell’uomo la bestia e quando ne ha fatto strazio, si compiace di recuperare la sua umanità smarrita.”

È vittima di questo smarrimento anche sua sorella Maria, condannata ora al diniego di una vita legittima e normale.

Marta e il Vortice dei Dolori: Dal Tradimento al Pentimento

Marta poi, dopo la fase delle prime sofferenze, quando sembrava finalmente poter vivere una vita alquanto normale,

è gettata di nuovo nel vortice dei suoi travagli.

Senza volerlo si ritrova al centro di altre situazioni altrettanto dolorose.

Semina ansia e dolore nel suo brutale collega Falcone, tanto da portarlo al suicidio.

Lei stessa, ancora senza volerlo, si ritrova sedotta dal suo ammiratore, vittima, sembrerebbe proprio il caso dire, di un’umanità volta alla sua distruzione.

E ora che è veramente colpevole d’inganno, suo marito,

in seguito ad una lunga malattia, riconosce il suo errore, ed è pronto a riprendersela con sé persino ora che è incinta col figlio di un altro uomo.

È in questa culturalmente e geograficamente inevitabile conclusione in cui si aggira il vero significato di questo romanzo.

È lo stesso tema di Il fu Mattia Pascal, un uomo che, creduto e poi fintosi morto,

una volta “risuscitato” per così dire, si accorge che neanche ora può essere ammesso nella società e nella famiglia,

in quanto, come prima, ora ancora di più è un escluso.

L’Essenza dell’Opera e il Ruolo del Paradosso

Così ne L’Esclusa il motivo centrale dell’opera non è da porre nel caso patetico di una donna sospettata a torto di infedeltà da un marito geloso che la costringe ad andarsene di casa.

In questi termini il romanzo sarebbe stato niente di più che una storia naturale dell’ambiente chiuso nei suoi pregiudizi atavici.

In realtà il significato vero del romanzo si trova nella conclusione; nel pentimento cioè del marito e nella sua risoluzione di riprendersi la moglie dopo che questa, costretta dal bisogno in seguito al ripudio da parte del marito, lo aveva veramente tradito.

Una conclusione in cui la tensione drammatica si fonde con la deformazione grottesca.

Come un capriccioso demiurgo, lo scrittore col suo intervento scompiglia il corso degli eventi nella loro concatenazione naturale di causa ed effetto e crea una soluzione imprevista che impone con la stessa presenza la propria logica interna.

D’ora innanzi, la marmorea impersonalità del raccontare verista andrà subendo scosse sempre più risolute nell’opera di Pirandello.

Il Processo Intellettuale di Pirandello

Per capire il processo intellettuale che Pirandello percorre per raggiungere questo paradosso è necessario rivolgersi al suo saggio L’Umorismo, che egli scrisse nel 1907-1908.

In esso Pirandello traccia la storia del comico nella letteratura italiana ed europea.

Mostra il passaggio dal comico all’umoristico attraverso la riflessione.

“La riflessione è per lo scrittore quasi una forma del sentimento;

man mano che l’opera si fa, egli la critica… l’opera… è nello scrittore un sentimento analogo a quello che essa sveglia nello spettatore:

è provata, cioè, più che non sia giudicata.

La riflessione diventa come un demonietto che smonta il congegno dell’immagine,

del vedere come è fatto, scarica la molla e tutto il congegno ne stride convulso.

Illusione è quella dell’arte (che chiamiamo finzione) e quella che viene dai nostri sensi (che chiamiamo verità).

Tra l’una e l’altra però non è mai questione di realtà ma volontà, e perciò è libera e quella dei sensi no… se la rappresentazione non ha in sé questa volontà,

che è il movimento stesso dell’immagine, essa è soltanto un fatto psichico comune.

Non solo per l’artista, ma non esiste per nessuno una rappresentazione,

sia creata dall’arte e sia comunque quella che tutti ci facciamo di noi stessi,

degli altri e della vita, che si possa credere una realtà.”

L’Unicità della Creazione Pirandelliana

Questo concetto è alla base di tutta l’arte pirandelliana, rappresenta non solo il distacco dal naturalismo, ma ci dà la dimostrazione più solida dell’unicità della creazione pirandelliana.

“Riflessione, volontà, tecnica, illusorietà della rappresentazione: c’è quanto basta per segnare la sua distanza dal naturalismo.

Nel complesso della sua opera s’intravedeva un’attrazione verso gli stracci dell’umanità, e un che di impietoso che suonava quasi come allontanamento:

freddezza e pietà, pianto e riso, immedesimazione e straniamento, identificazione e dissociazione, scomposizione.

Da queste varie fasi, presenti nella costruzione di tutta la sua opera, si giunge ad un’interpretazione non comica ma umoristica della realtà.

Con il procedere minuziosamente e anche maliziosamente analitico di ogni ‘pittura umoristica’, si giunge alla drammatizzazione del comico.”

Il Senso del Contrario nella Narrativa di Pirandello

All’analisi impersonale del naturalismo Pirandello sostituisce, attraverso la riflessione,

il senso del contrario, che va “dall’avvertimento” al “sentimento” e denuda la maschera di tutto il paradosso umano.

Pirandello ci presenta il contrario in tutta la sua comicità, e da questo “avvertimento del contrario”

(Giovanni Macchia, Luigi Pirandello in Storia della letteratura italiana, a cura di Emilio Cecchi e Natalino Sapegno, Vol. 9, Il novecento, Milano, Garzanti, 1969, p. 447.

Qui Giovanni Macchia riassume parecchie pagine de L’umorismo per la sua citazione. Per il testo integrale si consulti: Luigi Pirandello, Saggi Poesie e Scritti Vari, a cura di Manlio Lo Vecchio Musti, Milano, Mondadori, 1960, pp. 126ss., ma in pratica l’intera parte seconda, intitolata: Essenza, Caratteri e Materia dell’Umorismo, Ibidem spinge poi il lettore al “sentimento del contrario.”)

L’Esempio della Vecchia Signora e la Differenza tra Comico e Umoristico

Per esempio, dopo aver descritto una vecchia signora

“goffamente imbellettata e parata d’abiti giovanili”

come il contrario di ciò che una vecchia signora dovrebbe essere, il che farebbe ridere, egli spiega:

“Ma se ora interviene in me la riflessione, e mi suggerisce che quella vecchia signora non prova forse nessun piacere a pararsi così come un pappagallo,

ma che forse ne soffre e lo fa soltanto perché pietosamente si inganna che,

parata così, nascondendo così le sue rughe e le canizie, riesca a trattenere a sé l’amore del marito molto più giovane di lei, ecco che io non posso più riderne come prima, perché appunto la riflessione, lavorando in me,

mi ha fatto andar oltre a quel primo avvertimento o piuttosto più addentro;

da quel “primo avvertimento del contrario” mi ha fatto passare a questo “sentimento del contrario.”

Ed è tutta qui la differenza fra il comico e l’umorismo.”

La Scomposizione e la Struttura Unificatrice

È questa la scomposizione e la più tipica struttura unificatrice di tutta l’arte pirandelliana.

Il paradosso che prima appare così semplice e irrilevante nei suoi pregiudizi atavici ne L’Esclusa,

con padre e figlio sofferenti di questa mania delle “corna,” diventa tutt’altro che comico quando il dramma di Marta si svolge.

Ne Il Turno la semplice scommessa del Ravì di sistemare la sua figliuola subisce anch’essa la sua giusta scomposizione attraverso il passaggio che si verifica quando il lettore riesce a percepire lo scarto che avviene dall’avvertimento del contrario al sentimento del contrario.

Ravì non sarebbe dapprima che la distorsione comica di un padre affettuoso e cauto ma Pirandello lo tramuta in un personaggio umoristico.

La Critica alla Verosimiglianza

Che questo processo verosimile, e che le situazioni descritte da Pirandello non si riscontrassero mai in vita fu sempre una facile accusa dei critici.

Fraintendevano questo processo persino ne Il fu Mattia Pascal.

L ‘Avvertenza sugli Scrupoli della Fantasia

E Pirandello ne è perfettamente conscio al punto che, per dimostrare la verosimiglianza dei suoi prodotti narrativi,

in successive edizioni, Pirandello aggiunse “un’avvertenza sugli scrupoli della fantasia” e cronichette che danno evidenza concreta alle sue invenzioni artistiche.


La Trasformazione del Comico in Umorismo in Uno, Nessuno e Centomila

La sua invenzione era chiara e congegnata bene nei fini della sua arte.

Anche in Uno nessuno e centomila il comico è tradotto in umorismo quando la semplice avvertenza di imperfezioni minori scompiglia tutta l’esistenza di Vitangelo Moscarda.

Il riso del lettore si cambia in riflessione, e il paradosso ci forza a considerare seriamente la retorica e polemica sulla vita espressa in quel romanzo.

Ne I quaderni di Serafino Gubbio operatore il paradosso è l’arte stessa.

L’impegno artistico del Pirandello si approfondisce in un’analisi accorta, a volte persino spietata, dell’uomo nelle varie situazioni della sua esistenza, fino a rivelarne le crisi di fronte all’arte immobile e immutabile.

“Il Pirandello è uno dei primi scrittori del novecento che ha avvertito la crisi dell’uomo e dei suoi valori morali come conseguenze della macchina, dell’industrialismo e dell’alienazione.”

Serafino e l’Alienazione

Serafino si accorge di vivere in una macchina impersonale che manipola la vita in virtù dell’arte.

Il paradosso non è che il sentimento artistico non possa sottrarsi a questa impersonalità, ma che il racconto stesso viva nella stessa tensione contraddittoria.

Attraverso questa riflessione, Pirandello giunge a un’opera in cui i romanzi stessi sono parte di una macchina che sottrae il lettore dalla realtà in un paradosso irreversibile.

Il paradosso e la riflessione mettono in crisi la realtà stessa che deve affrontare la sua finzione all’interno del testo.

Serafino e la sua Condizione di Distacco

Serafino si sente lui stesso un oggetto, una mano che gira la manovella, lui stesso prevede la possibilità di essere sostituito da un dispositivo,

un congegno che possa garantire completa obiettività e fedeltà artistica alla registrazione delle scene cinematografiche.

In realtà questa sua impassibilità è un pio desiderio.

Serafino si accorge che non può rimanere completamente distaccato dagli eventi della vita, e il suo diario,

scritto per dare sfogo al suo dolore incomunicabile, perché incomprensibile agli altri,

vuole essere una vendetta contro la civiltà delle macchine e l’industrialismo che annullano la persona umana, corrompono gli affetti e i sentimenti, e essere anche una vendetta contro l’alienazione e l’ipocrisia del mondo moderno che obbliga tutti a portare una maschera.

Serafino allora più che il giratore della manovella, diventa il giudice e l’accusatore della vita ridotta a così basso stato.

La sua simpatia è per i vinti

(il che ci riporta a Verga e il suo ciclo narrativo e al modello di narrazione “siciliana” che non si riconosce nel modello manzoniano del romanzo italiano)

come il violinista che suona il suo ultimo pezzo elegiaco alla tigre, come il Nuti che uccide la Nestoroff, ed è lui stesso sbranato dalla belva.

Anche la belva diventa una vittima, e come tale ha diritto alla sua simpatia, perché ella doveva essere l’unica a soffrire una morte vera in una scena finta.

Questa sua pietà diventa l’unico elemento della sua umanità; l’uomo che si sente maschera di se stesso non è capace di rinunciare né alla sua umanità e dignità né alla sua maschera.

Il romanzo di Serafino, come le riflessioni di Vitangelo Moscarda, è un romanzo a rovescio.

Né l’uno né l’altro hanno la continuità drammatica tipica di altri romanzi. Rappresentano un esperimento nell’arte narrativa dei suoi tempi.

L’Unità Narrativa e la Ricerca della Coscienza

L’unità narrativa è affidata non allo stile, non ai mezzi retorici ma è invece da rinvenire nella coscienza del narratore; l

a loro continuità drammatica è raggiunta soltanto nell’unità morale del protagonista e la sua confessione.

La memoria di Serafino e Vitangelo è la memoria dell’uomo nella sua ricerca e il suo desiderato ricupero di se stesso.

Serafino, come Pirandello, conduce una doppia indagine;

con la macchina da presa ritrae le scene finte, col diario ritrae la coscienza umana dei personaggi; con una riproduce la finzione della vita, le maschere nude, da sé osserva come la vita è in realtà.

Queste due indagini sono fuse infine in un monologo in cui la ripresa delle scene finte diventa tutt’uno con il dramma della vita come essa veramente è.

Serafino nella sua impassibilità è il simbolo dell’arte immobile ed eterna dinanzi al mutevole fluire della vita. “Non gemevo, non gridavo: la voce del terrore, mi s’era spenta in gola, per sempre.”

Il Silenzio e la Ribellione contro l’Alienazione

Il dramma di Serafino si completa nel silenzio, quando dall’alienazione, che sente al principio all’avvertenza di essere una mera manovella, raggiunge la sua assoluta impassibilità, il silenzio.

Ma la sua memoria e la sua pietà hanno riaffermato l’essenza più intima dell’uomo, la sua ribellione contro l’alienazione della vita.

Né manca a questo riguardo lo spunto autobiografico.

Pirandello diceva di se stesso:

“La mia arte è piena di compassione amara per tutti quelli che si ingannano; ma questa compassione non può non essere seguita dalla feroce irrisione del destino, che condanna l’uomo all’inganno.

Questa, in succinto, la ragione dell’amarezza della mia arte, e anche della mia vita.”

La Tematica della Triloga e la Fenomenologia del Teatro

La tematica degli ultimi due romanzi, e maggiormente dei Quaderni, va connessa alla tematica della trilogia del “teatro nel teatro” (Sei personaggi in cerca di autore,

Ciascuno a suo modo e Questa sera si recita a soggetto) con la quale Pirandello affronta una specie di fenomenologia del teatro, cioè i rapporti fra la realtà e l’apparire.

È lo stesso processo della conoscenza che gli esistenzialisti della generazione successiva definiranno “psychologie de l’échec.” (Cfr. Sarah D’Alberti, Pirandello romanziere, op. cit. e Giuseppe Giacalone, Luigi Pirandello, op. cit.; Luigi Pirandello, Tutti i romanzi, op. cit., p. 1210; Luigi Pirandello, Saggi, Poesie e Scritti Vari, op. cit. p. 1246.)

Realtà e Finzione nel Cinema e nel Teatro

Nel teatro egli esplora empiricamente questo processo; si tratta di realtà, autentica o fittizia, che copia il teatro.

Nel romanzo di Serafino Gubbio si tratta di realtà, autentica o fittizia che copia il cinema.

Come Delia Morello, l’attrice di Ciascuno a suo modo, Silvia, la moglie infedele di Il gioco delle parti,

che non riesce a trovar pace, né come moglie, né come amante, o Donata, la bellissima protagonista di Trovarsi,

che costantemente cerca fra la folla di adulatori qualcuno che possa aiutarla a “trovarsi,” così come Vania Nestoroff anela alla vita,

desidera di essere amata e compresa ma non è capace di abbandonare la sua maschera nuda di donna fatale, e la vita le sfugge, anzi diventa lei stessa forma irrevocabile che distrugge la vita spontanea.

Poco prima di scrivere I quaderni di Serafino Gubbio (1914-1915), Pirandello annunciava l’inizio di un’altra opera:

Uno nessuno e centomila, 1913:

“Ora attendo – diceva in una lettera autobiografica del 1912 – a compiere il vasto romanzo I vecchi e i giovani, già in parte apparso su La Rassegna Contemporanea:

il romanzo della Sicilia dopo il 1870, amarissimo e popoloso romanzo, ove è racchiuso il dramma della mia generazione.

E un altro romanzo ho anche per le mani, il più amaro di tutti, profondamente ‘umoristico’ (le virgolette sono mie),

di scomposizione della vita: Moscarda, uno, nessuno e centomila.

Uscirà su la fine di quest’anno nella Nuova Antologia.”

L’Iter Editoriale e la Scomposizione della Vita

Questo lavoro non apparve allora come lui aveva annunciato. Apparve invece a puntate nella Fiera Letteraria negli anni 1925-26.

Fu un testo su cui forse Pirandello preferì lavorare a lungo.

Il tema certo non è nuovo.

In struttura è lo sviluppo e approfondimento di una sua novella, dice Stefano Giogli, uno e due,

pubblicato in Marzocco, il 18 aprile 1909, e nella sua poetica riprende il tema di Ibidem, p. 1248, Il fu Mattia Pascal, e anche Il piacere dell’onestà.

La sua genesi dimostra l’unità di pensiero di Pirandello in questi anni, che procede dalla sua concezione della vita.

Parlando della sua stessa vita nella lettera autobiografica già ricordata, Pirandello diceva:

“Io penso che la vita è una molto triste buffoneria, poiché abbiamo in noi, senza sapere né come, né perché, né da chi, la necessità di ingannare di continuo noi stessi con la spontanea creazione di una realtà

(una per ciascuno e non mai la stessa per tutti) la quale di tratto in tratto si scopre vana e illusoria.

Chi ha capito il gioco non riesce più a ingannarsi, ma chi non riesce più a ingannarsi non può più prendere né gusto né piacere alla vita. Così è.”

La Scomposizione della Vita e la Consistenza Individuale

Esprime così della sua vita la scomposizione che fa parte del tema del suo ultimo romanzo. Vitaliano Moscarda ha a lungo ingannato se stesso.

Tutto ad un tratto capisce il gioco e diventa improvvisamente incapace di ingannare più se stesso ed infine si accorge che “come io non sono vivo e non concludo” così “la vita non conclude.”

Nel migliore dei casi l’uomo può dire: “Quest’albero, respiro tremulo di foglie nuove. Sono quest’albero. Albero, nuvola; domani libro o vento: il libro che leggo, il vento che bevo. Tutto fuori, vagabondo.”

L’ Abbandono della Forma e la Vita Cosmica

Trova così la sua consistenza individuale non nella forma che tutti interpretano diversamente, e che riconoscono come pazzia, ma annullandosi nell’universalità delle cose,

mentre avverte la sensazione del suo vivere e del suo morire in una vita cosmica.

La forma non gli è più necessaria: “pensare alla morte, pregare.

C’è pure chi ha ancora questo bisogno, perché muojo ogni attimo, io, e rinasco nuovo e senza ricordi; vivo intero, non più in me, ma in ogni cosa fuori.”

La Follia come Recupero della Personalità

Vi sarà sempre chi interpreterà queste parole in modo negativo, ammissione da parte del personaggio della sua alienazione dalla vita.

Si dovrebbe invece convenire che si tratta solo di un ritorno agli elementi essenziali della vita.

E vi sarà sempre chi avrà bisogno delle forme ma Vitangelo Moscarda non sarà fra questi.

Per lui la follia, (quella follia che, Pirandello stesso aveva accusato persino nell’ambito della sua immediata famiglia)

come per molti altri personaggi pirandelliani, è un modo di recuperare il senso della propria personalità.

Finalmente, nell’ospizio di mendicità, Moscarda vive felice in quanto,

attraverso quella saggezza, in cui altri avvedono la follia, la sua vita si è ridotta agli elementi più esistenziali, al di là delle forme.

Ora

“he can try and live life in its absolute primeval nakedness, beyond all forms and constructions, focusing on a vibrantly fleeting present, experiencing time moment by moment, without even thinking of time in the process for that would mean to construe it, to give it a form and thus limit and stifle it.”

“Può provare a vivere la vita nella sua assoluta nudità primordiale, al di là di ogni forma e costruzione, concentrandosi su un presente vibrante e fugace,

vivendo il tempo momento per attimo, senza nemmeno pensare al tempo nel processo, perché ciò significherebbe interpretarlo, dargli una forma e così limitarlo e soffocarlo.”

L’Influenza di Pirandello e la Critica alla Tecnologia

Alla fin fine, Pirandello troverà più adatto al suo stile e modo di pensare sperimentare simili temi nel suo teatro dove forse il pubblico si trova più a suo agio davanti ai dialoghi delle follie umane che,

rappresentate così sul palcoscenico, convincono di più che nei romanzi dove forse si prestano meno ad esperimenti.

(Ibidem, p. 1343, Adriano Tilgher, Life versus Form, in Pirandello, a collection of critical essays, ed. by Glauco Gambon, Englewood Cliffs, N. J. Prentice-Hall, 1967, p. 24).

“Ora può vivere la sua vita nella sua nuda ed assoluta essenzialità primordiale al di là delle forme e delle restrizioni, focalizzandosi esclusivamente sul presente nella sua vivace e costante fugacità,

facendo l’esperienza del tempo in ogni suo singolo momento senza neanche pensare al tempo perché fare ciò significherebbe interpretarlo, dargli una forma e così limitarlo e soffocarlo.”

La Critica alla Disumanizzazione dell’Uomo

Lo conferma forse il fatto che, con poche eccezioni, dopo Pirandello la narrativa si è cimentata poco con il tema della scomposizione della vita e,

con la minaccia che le macchine rappresentano all’uomo,

si è fatta tutt’altra lotta, una lotta sulla disumanizzazione dell’uomo che,

costretto a cimentarsi continuamente con ogni nuovo dispositivo della sempre più invadente tecnologia, si aliena sempre di più da se stesso fino a perdere ogni identità.

Per approfondire meglio, basta leggere l’avvertimento di Albert Einstein per capire quello che Pirandello era stato così convincente nell’esporre nelle sue opere:

il tema della condizione umana proprio in un momento storico in cui quel tema cominciava ad assumere un tono tutt’altro che fittizio e le preoccupazioni che generavano ancora più sconvolgenti.

L’avvertimento di Einstein dice: “I fear the day when the technology overlaps with our humanity. The world will only have a generation of idiots.” = Temo il giorno in cui la tecnologia si sovrapporrà all’uomo. Il mondo conoscerà solo una generazione di idioti.

 






 

Vittorio Felaco
Vittorio Felaco
Vittorio Felaco è tornato a Napoli dopo molti anni trascorsi negli Stati Uniti d’America attratto dalle sue università e opportunità di impiego. Ha trascorso la maggior parte della sua vita in vari stati dove ha svolto due distinte carriere di professore universitario e traduttore/interprete.

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