domenica, Marzo 23, 2025

L’enigma della Reale Colonia di San Leucio

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Per gentile concessione dell’autore e della redazione Archivio Storico del Sannio , riceviamo e pubblichiamo volentieri di seguito il saggio del prof. Ludovico Martello L’ enigma della reale Colonia di San Leucio ( tratto da Archivio Storico del Sannio  ESI Napoli).

 

Correva l’anno 1789. Lady Elizabeth Craven – figlia di Augustus Berkeley IV (marchese Berkeley) – famosa per i suoi racconti di viaggio, è in visita alla Manifattura Reale di San Leucio godendo dei servigi della migliore guida di cui, in quel tempo, si potesse disporre; nientemeno che il fondatore stesso della Manifattura: Ferdinando IV di Borbone Re delle Sicilie. Lasciamo alla stessa Lady Elisabeth il racconto di quell’incontro: << Ferdinando aveva fatto costruire a qualche miglio da Caserta un edificio ch’egli molto desiderava mostrarmi; era un castello detto del  “Belvedere”, dal quale, difatti si godeva tutta la bella campagna dei dintorni di Caserta. Dietro il castello e accanto ad esso era un acconcio fabbricato, costruito per una officina da stoffe di seta. Fui accompagnata lì, in una vasta sala al pianterreno, ove alcune donne e parecchie fanciulle giusto erano intente a scartar la seta: una superba macchina che il Re aveva fatto venire da Lione forniva il moto agli arcolai. E quel setificio era stato impiantato a San Leucio dal Re, perché potessero onestamente guadagnar pane le famiglie di quei villici.

   Ferdinando IV – ella scriveva proseguendo nel suo racconto – già si trovava in quella sala quando io entrai. Mi fece passeggiare in lungo e in largo quasi un’ora e mezzo e, fra tanto, mi fornì spiegazioni non pure su tutte le regole dello stabilimento ma fin su’ più intricati dei congegni meccanici che rendevano quel lavoro più agevole. E tutto questo egli fece con tale una precisione e una chiarezza e una soddisfazione che proprio mi provarono com’egli comprendesse perfettamente quel che mi sarebbe stato assai difficile ricordare, e come ancora singolarmente si piacesse di quell’industria ch’egli aveva creato (… ) >>. 1

   Ferdinando era fiero di quelle macchine moderne che egli stesso  aveva scelto e fatto arrivare da Lione. Ai tecnici stranieri che le avevano montate aveva fatto mille domande ed aveva acquisito una rara competenza sul loro funzionamento. Come quei bambini che –   nonostante siano svogliati nello studio, indisciplinati nel comportamento e non molto dotati nell’apprendimento – manifestano, però, una inattesa quanto notevole attitudine nella comprensione e nella manipolazione di complessi congegni meccanici;  così Ferdinando aveva acquisito una rara competenza fin nelle parti più intime di quegli ingranaggi. Ingranaggi dai movimenti sincroni, ripetitivi, prevedibili, rassicuranti. Il sovrano li osservava ammirato per ore fino a sprofondare in una sorta di trans ipnotico. Allora, forse, quelle macchine diventavano enormi giocattoli animati agli occhi di quel sovrano al quale le responsabilità di governo, che non aveva mai desiderato, avevano rubato le gioie spensierate dell’adolescenza.

Strana sorte quella di Ferdinando IV ! 2. Egli non era destinato al difficile compito di sovrano. Ma  eventi imprevedibili lo collocarono sul trono di Napoli alla tenera età di otto anni e vi restò per ben sessantacinque anni.   
   Costretto dai noti obblighi dinastici ad insediarsi sul trono di Spagna, al padre Carlo, 3 re di Napoli e di Sicilia, non restò altra scelta che collocare il piccolo Ferdinando sul trono di Napoli. Questi aveva, come abbiamo ricordato, soltanto otto anni e venne affidato ad un Consiglio di reggenza composto, fra gli altri, da Domenico Cattaneo, principe di S. Nicandro ed dal marchese Bernardo Tanucci.  Domenico Cattaneo ricopriva il ruolo di aio ( precettore) del re e sovraintendeva alla sua istruzione mentre Bernardo Tanucci, di fatto, presiedeva agli affari di governo per conto del padre Carlo III. Cattaneo, almeno nella descrizione che ne dà Pietro Colletta, era un uomo << ignorante, incapace, ipocrita, gretto, perfino vizioso>>.4 Forse un giudizio troppo severo ma le conseguenze della cattiva educazione impartita al giovane sovrano risulteranno evidenti nei successivi giudizi formulati nei confronti di Ferdinando dai cognati. Il granduca di Toscana Pietro Leopoldo lamentava le sue carenze culturali. Non meno severa la descrizione fatta dall’imperatore Giuseppe II:<< Ho la certezza che questo ragazzo non ha mai riflettuto né su se stesso né sui propri interessi. Ignora il passato e il presente e non ha mai pensato al futuro >>. 5  Privo della percezione dei tempi della storia, Ferdinando, per tutta la sua vita,  resterà incapace di elaborare un organico progetto di governo e delegherà ad altri le decisioni importanti nei momenti cruciali del suo regno. Aveva iniziato la sua reggenza sotto tutela e resterà sempre sotto tutela, a volte dei suoi ministri o altri consiglieri occasionali, a volte della colta  consorte Maria Carolina 6 bene addestrata all’arte di governo dalla madre Maria Teresa d’Austria.
   Ferdinando non aveva gli strumenti culturali né le doti caratteriali per comprendere le diverse situazioni di quel  complesso periodo storico attraversato dall’illuminismo, dalla rivoluzione francese, dall’avventura napoleonica, dalle rivendicazioni costituzionaliste e dalle prime cospirazioni carbonare. Non comprendeva il turbinio storico dei mutamenti sociali dai quali si sentiva come travolto. Chissà, forse è immaginabile che egli trovasse conforto  contemplando per ore quelle macchine per la tessitura. Macchine dagli ingranaggi ritmici, ripetitivi, che scandivano un moto prevedibile e per questo atemporale. E, forse tranquillizzato dalla quel moto costante, gli venne l’ispirazione di ricostruire un intero sistema sociale come se fosse un enorme meccano. << Ah! – dovette pensare – se un Regno potesse funzionare come quelle macchine dai movimenti sincroni e dagli effetti prevedibili ed immutabili >>. Dovette nascere così l’idea di un Regno fuori dal tempo, fuori dalla Storia: la Reale Colonia di San Leucio ovvero  il nucleo della futura Ferdinandopoli. 7
Nascita della Reale Colonia di San Leucio colle Leggi corrispondenti al buon governo di essa
 
   Nel 1789 San Leucio veniva dichiarata da Ferdinando IV Real Colonia. Era giunto il momento di piantare le fondamenta della sua città futura per trasmutare il nessun luogo del suo regno fantastico in una realtà concreta. << Da questo momento – spiega Mario Battaglini nella sua attenta e lucida ricostruzione dell’esperimento ferdinandeo – inizia veramente la vita di San Leucio che, nei sogni di Ferdinando IV non doveva essere altro che il nucleo originario di una futura città ( forse alternativa alla capitale ) che avrebbe preso il nome di Ferdinandopoli >>. 8
    La Real Colonia era popolata da 214 “individui” ai quali vennero assegnate abitazioni e infrastrutture per la loro esistenza, affidati  macchinari per la produzione e la manifattura della seta ed allestiti efficienti e confortevoli luoghi di lavoro. Ma case, macchinari ed efficiente organizzazione delle fasi di lavorazione se potevano costituire un esperimento di organizzazione industriale non potevano certo fondare  il nucleo di un nuovo sistema sociale. Ferdinando era consapevole che per creare il suo nuovo regno era necessario elaborare una impalcatura giuridica capace di conferire forma e sostanza al modello di società che egli aveva in mente. Nel gennaio del 1789, la Real Stamperia pubblicava – redatto e sottoscritto da Ferdinando IV 9  – quello che può essere indicato come  il Codice  di San Leucio. Edito con il titolo: Origine della popolazione di San Leucio – suoi progressi fino al giorno d’oggi – Colle Leggi Corrispondenti al buon Governo di Essa. Questo documento costituzionale– formato da cinque capitoli e ventidue paragrafi – comprendeva, inoltre, una sorta di Preambolo seguito dalle Leggi e corredato, infine, dal Regolamento interno alla fabbrica.  Contemporaneamente al documento costituzionale, veniva ampiamente diffuso un Editto Regio.  Cominciamo dalla lettura di quest’ultimo documento per decifrare la natura sociale e politica del sistema sociale che Ferdinando IV intendeva realizzare. Il testo in esame è tanto sintetico quanto significativo per la comprensione dell’esperimento ferdinandeo per cui vale la pena di proporne l’immediata lettura nella versione integrale.
 
EDITTO REGIO DEL 1789
 
       1) Il solo merito distingue tra loro gli abitanti di San Leucio; perfetta uguaglianza nel vestire; assoluto divieto di lusso.
       2) I matrimoni saranno celebrati in una festa religiosa e civile. La scelta sarà libera dei giovani né potranno contraddirla i genitori i sposi. Ed essendo spirito e anima della società di San Leucio       l’uguaglianza tra i coloni sono abolite le doti. Io, re, darò la casa con gli arredi dell’arte e gli aiuti necessari alla nuova famiglia.
       3) Voglio e comando che tra voi non siano testamenti; né veruna di quelle conseguenze legali che da essi provengono. La sola giustizia naturale guidi le vostre correlazioni; i figli maschi e fem­mine succedano per parti uguali ai genitori, i genitori ai figli; poscia            i collaterali nel solo primo grado; e in mancanza la moglie nell’usu­frutto; se mancheranno gli credi (e sono eredi solamente i sopradetti), andranno i beni del defunto al Monte e alla cassa degli orfani.
       Le esequie semplici, devote, senz’alcuna distinzione saran fatte dal parroco a spese della casa.  É vietato il bruno: per i soli genitori o sposi e non più lungamente di due mesi, potrà portarsi al braccio segno di lutto. E prescritta la inoculazione del vaiuolo che i magistrati del popolo faranno eseguire senza che vi s’interponga autorità o tenerezza dei genitori.
       4) Tutti i fanciulli, tutte le fanciulle impareranno alle scuole normali il leggere, lo scrivere, l’abbaco; i doveri, e in altre scuole le arti. I magistrati del popolo risponderanno a noi dell’adempimento.
       5) I quali magistrati detti Seniori verranno eletti in solenne adunanza civile dei capi di famiglia, per bozzolo segreto e maggioranza di voti. Concorderanno le contese civili o le giudicheranno; le sentenze in quanto alle materie delle arti della colonia saranno inappellabili; puniranno correzionalmente le colpe leggiere, veglie­ranno all’adempimento delle leggi e degli statuti. L’uffizio di Seniore dura un anno.
 
6) I cittadini di San Leucio, per cause d’interesse superiore le competenza dei Seniori o per misfatti, saranno soggetti ai magistrati e alle leggi comuni del regno. Un cittadino dato come reo ai tribunali ordinari, sarà prima spogliato segretamente degli abiti della colonia e allora sino a che giudizio d’innocenza nol purghi, avrà perdute le ragioni e i benefizj di colono.
 
7) Nei giorni festivi, dopo santificata la festa e presentato il lavoro della settimana, gli adatti all’armi andranno agli esercizi, militari; perciocchè il vostro primo dovere è verso la patria: voi col sangue e con le opere dovrete difenderla e onorarla.
 
Queste leggi io vi do, cittadini e coloni di San Leucio.
 
Voi osservatele e sarete felici.
 
Ferdinando IV di Borbone 10
Il testo appena letto e lo Statuto di San Leucio furono, per volontà del sovrano, diffusi in migliaia di copie per l’intera Europa. Alla loro diffusione provvide Domenico Cosmi, ufficiale della Segreteria reale. Questi, inoltre, allegò al testo un libretto contenente una sua introduzione celebrativa  – intitolata Che allato gli sedete sposa e regina,11 dedicata alla consorte del sovrano: Maria Carolina d’Austria – ed una serie di contributi, redatti per l’occasione da alcuni degli intellettuali più famosi del tempo. Gli autori plaudivano, con i loro componimenti poetici, alla regale impresa leuciana. Scartati gli scritti adulatorii dei cortigiani, desta meraviglia ed interesse il componimento di Eleonora Pimentel Fonseca12 che così esprimeva il proprio entusiasmo:
Cinto Alessandro la superba fronte
Di cento allori sanguinosi e cento,
Mentre dietro traeva alto lamento
Del Nilo debellato, e dell’Orante.

Formar ampia Città d’eccelso monte
Uom gli propose alle bell’opre intento;
Sbigottì l’ardua impresa il fier talento,
Benché di cose vago ardite, e conte.

Ma Fernando il Tisate apre e disgiunge,
E nobil terra in su l’alpestre vetta
Fonda, e l’arti vi chiama, e onor le aggiunge.

E d’innocenza, e di virtù perfetta,
Mentre Egeria più saggia a se congiunge,
Novello Numa, nuove leggi ei detta. 13

   Eleonora Pimentel Fonseca aveva, forse, sentito nelle nuove leggi leuciane l’eco del pensiero illuminista ed intravisto l’inizio di un processo di riforme per una società futura più giusta. Ella non aveva compreso che << i sovrani avevano accolto del programma dell’Encyclopédie soltanto i punti che loro erano utili; o più esattamente – conclude Ernesto Pontieri –  in quello che i despoti avevano fatto (…) c’erano delle misure che coincidevano con dei punti del programma dell’Encyclopédie >>. 14
    Eleonora Pimentel Fonseca non è stata la sola ad ingannarsi. La lettura dell’Editto e delle Leggi per il Buon Governo della popolazione di San Leucio, dal giorno della loro pubblicazione a tutt’oggi, non manca di suscitare gli entusiasmi di coloro che, in un intervallo che dura ormai da più di due secoli, hanno indicato in questa complessa impalcatura giuridica la base per l’edificazione di un inedito e rivoluzionario edificio sociale con caratteri democratici e/o, addirittura, il primo tentativo per la fondazione di una società socialista.  Tra i primi ad esprimere lusinghieri giudizi in tal senso va menzionato Francesco Saverio Salfi ( 1759 – 1832 ) che nel suo Elogio del Filangieri attribuiva proprio a Gaetano Filangieri ( 1753 – 1788 ) se non la stesura di quel testo giuridico, data la sua precoce scomparsa, quantomeno l’esercizio di un’influenza ispiratrice: << il re – affermava –    parve voler aggiungere credito alla dottrina del Filangieri (…) per una di quelle benefiche ispirazioni che l’esercizio del potere assoluto non riesce a soffocare >>. 15
   Nel secolo successivo alla pubblicazione del testo  ferdinandeo, Alessandro Dumas nella sua monumentale opera I Borboni di Napoli – pur non tralasciando un riferimento umoristico sull’esercizio dell’ ius primae noctis da parte del sovrano nei confronti delle giovani operaie della seteria di San Leucio – accostava l’esperimento sociale ferdinandeo alle teorie di Saint-Simon e al << falansterio >> progettato da Charles Fourier 16.  <<Ora, degna di considerazione, sotto più rispetti, nel parco di Caserta – scrivera Dumas – è la famosa colonia falansterica di San Leucio. Nel 1778 – egli notava con tono non privo di sarcasmo – quando cioè Saint-Simon aveva appena dodici anni, e Fourier non ne aveva cinque, il re Ferdinando non solo ideò il falanstero, tentato inutilmente da Enfantin e da Considerant, ma lo mise ad effetto, dandogli  leggi più umanitarie di quelle compilate da’ due capi-scuola, e da’ loro due discepoli. Appetto alla costituzione di San Leucio, quelle di Saint-Simon e di Fourier son timidi saggi di socialismo. Che una siffatta fantasia nasca nella mente del re Federico, del filosofo di Postdam, dell’eremita di Sans-Souci, sta bene: ma che germini nel capo di Ferdinando I, del nemico più ardente che la libertà abbia scontrato nella sua corsa attraverso l’Europa dal 1770 al 1828, sarebbe cosa comprensibile, se non avessimo – conclude Dumas – la parola dell’enigma>>17.
    Effettivamente la definizione della natura sociopolitica della Reale Colonia di San Leucio resta, per molti aspetti, ancora un enigma storico. Nelle prossime pagine cercheremo di elaborare alcune riflessioni che se non potranno risolvere definitivamente il quesito posto da Alexandre Dumas, cercheranno, almeno, di fornire nuovi spunti di riflessione per la soluzione di esso.
L’enigma di San Leucio
 
   Le operazioni, consigliate dagli esperti, per cercare la soluzione di un enigma sono le seguenti: porsi delle domande, ipotizzare delle possibili risposte ed, infine, scegliere quelle soluzioni che trovino conferma nei fatti osservati, naturalmente senza lasciarsi condizionare dai propri pregiudizi. Specie quelli di natura ideologica.  
   Fatta questa precisazione, procediamo con la prima domanda: <<Può il progetto ferdinandeo essere incluso nel novero delle utopie sociali oppure esso non rappresenta altro che l’ennesimo tentativo di contenimento della povertà per prevenire i fenomeni di devianza e/o di protesta sociale ?>>. In proposito non va dimenticato che, a partire dalle Old Poor Laws, in un periodo compreso fra la fine del Cinquecento e per tutto il Settecento, le monarchie europee non trascurarono di contenere la povertà intervenendo con strutture lavorative per gli indigenti in grado di lavorare quali, ad esempio, le workhouses inglesi e le nostrane << colonie >> di Ventotene o di Ustica dove furono trasferiti i vagabondi di Napoli. E’ giusto ricordare che già nel 1771 erano state concesse terre, strumenti di lavoro e agevolazioni fiscali a tutti coloro che avessero accettato di recarsi in quei luoghi per colonizzarli. Ed ancora: simile al setificio di San Leucio, la Scuola di Villa San Giovanni fondata, fra il 1789 ed il 1790, da Roccantonio Caracciolo 18. In questa struttura ci si limitava alla formazione di artigiani specializzati nella lavorazione della seta, ed inoltre, si commercializzavano i manufatti prodotti. Ma le somiglianze e le analogie delle caselavoro con l’esperimento della Reale colonia di San Leucio si limitavano, appunto, al contenimento della povertà ed all’addestramento lavorativo degli indigenti abili. Mentre il tratto distintivo che differenzia, in modo profondo ed inassimilabile, l’esperimento ferdinandeo da tutte le altre caselavoro si trova nell’impalcatura giuridica sulla quale il sovrano fonda la sua cittadella. Infatti nelle “caselavoro” e nelle scuole di apprendistato non erano previste quelle norme – come abbiamo riscontrato dalla lettura dell’Editto Regio del 1789 e come risulterà ancora più evidente, nelle prossime pagine, dopo la lettura di alcuni brani tratti dalle  Leggi pel buon governo della popolazione di San Leucio 19 – finalizzate alla creazione di un nuovo modello di società ideale. Norme che si prefiggevano di regolamentare l’esistenza dei singoli individui dalla culla alla tomba per realizzare una sorta di rieducazione che prevenisse ogni conflitto fra gli individui e fra questi e lo Stato.
 Ovviamente, anche in tutte le caselavoro  del tempovigevano regolamenti ma non norme – come quelle imposte nella Real Colonia di San Leucio – che, una volta applicate, avrebbero costretto gli operai-sudditi a risiedere confinati dentro le mura della cittadella. I leuciani vivevano, di fatto, come ostaggi in una sorta di cerchio magico dentro il quale rigidissime disposizioni fissavano obblighi e divieti ai quali attenersi per contrarre matrimonio e per ricevere in uso una casa. In proposito nel II Capitolo delle Leggi, dove si illustrano i Doveri Positivi, e precisamente nel III paragrafo intitolato De’ Matrimonj, si legge:<< La donna fu concessa da Dio all’uomo per sua ragionevol compagnaL’età del giovine non dovrà esser meno di 20 anni; e quella della fanciulla di 16. Ed in queste circostanze né anche sia loro permesso di contrarre gli sponsali, fino a che dal Direttore de’ Mestieri per lo giovane, e dalla Direttrice per la fanciulla non vengano con attestato dichiarati provetti nell’arte, a segno di potersi lucrar con sicurezza il mantenimento; ed allora in premio della loro buona riuscita si concederà da Me ad esse una delle nuove case, che ho espressamente fatto costruire …>> 20.  Obblighi e divieti regolavano l’esistenza dei leuciani in ogni ora della giornata secondo un preciso Orario redatto nella parte conclusiva delle Leggi. In esso si legge: << Alle 7, ¾. Devono tutti andare in Chiesa per la suddetta Preghiera, ed ascoltare la Messa, ed ognuno deve portarsi al proprio luogo. Alle 10. La metà delli Figliuoli addetti alli velli vi anderanno fino alle 11. (…). Alle 12. Anderanno tutti a pranzo. Alle 12, ¾. Tutti devono porsi al lavoro. Alle 21. La metà degli altri Figliuoli addetti alli veli anderanno alle Scuole Normali fino alle 22. Alle 22. Anderanno a dette Scuole le figliuole (…) Alle 23. Ciascuno deve portarsi in Chiesa a ricevere la benedizione del Santissimo, ed indi la preghiera della sera (…)>>. 21 La lettura di questo Orario mostra, in modo esemplare, a quali condizionamenti coattivi fossero sottoposti gli “individui” indicati nel corpo delle Leggi leuciane. Certo, i leuciani potevano decidere di contravvenire alle Leggi o di abbandonare quel luogo ma ad un prezzo molto alto: oltre quelle mura li attendava la solitudine e la miseria. Infatti si poteva uscire rinunciando alla casa, agli affetti, agli strumenti di lavoro, ad ogni cosa. Fuori dal cerchio magico di quelle mura si poteva tornare a vivere liberamente ma come un dannato della terra.
 Con le sue Leggi Ferdinando IV intendeva trasformare il filantropismo antipauperistico – tratto caratterizzante le monarchie di quel periodo storico – in qualcosa, allo stesso tempo, di più ambizioso ed infantile: dare forma al proprio sogno. Il sogno di edificare un microuniverso fuori dalla realtà vigente. San Leucio doveva essere il suo Nuovo Regno. San Leucio << rappresenta – secondo Luigi Mongiello – l’essenza di un particolare impegno di Ferdinando IV per riuscire a dimostrare che era possibile istituire una nuova maniera di governare un popolo >>. 22 Il re si proponeva di fondare un regno popolato da un nuovo tipo di suddito: ubbidiente, riconoscente, entusiasta ed innamorato del proprio sovrano. San Leucio sarebbe stato il luogo dove dare vita ad una comunità di uguali eliminando ogni forma di competizione fra i sudditi e di conflitto sociale fra questi ed il sovrano. Il luogo dove arrestare il mutamento storico: dove fissare il tempo in una sorta di eterno presente. Proprio quell’eterno presente che tramuta un progetto sociale in utopia poiché il luogo dell’eterno presente corrisponde al nessun luogo di Utopia. Ed era proprio questo il luogo progettato dal sovrano. Quel luogo che, una volta realizzato in ogni suo aspetto, avrebbe dovuto essere chiamato: Ferdinandopoli.
 A questo punto della nostra indagine, possiamo formulare la nostra risposta alla prima domanda che avevamo posto ed affermare che Ferdinandopoli presentava i tratti fondamentali comuni e caratterizzanti quei progetti che, nel corso dei secoli, hanno coltivato il sogno di poter realizzare la società organica perfetta, ovvero:   un universo utopico. 
Quale utopia?
 
   Con la nostra risposta alla prima domanda, abbiamo stabilito – naturalmente in termini congetturali – che l’istituzione della Real Colonia di San Leucio può essere inclusa nel novero di quegli esperimenti sociali che siamo soliti indicare come utopie. Ma non basta. Dobbiamo ancora decifrare l’enigmatica natura politica di quell’esperimento sociale. Per fare questo dobbiamo chiederci: << Quale utopia?>>. E per scoprirlo dobbiamo individuare, soprattutto attraverso una accurata analisi dell’impalcatura giuridica dettata dal sovrano napoletano, la natura profonda dell’utopia ferdinandea.     In altri termini cercheremo di stabilire se sia esatto indicare l’utopia leuciana come anticipatrice delle utopie socialiste di Saint Simon e di Fourier o addirittura – come propone Nadia Verdile 23 –  che sia possibile assimilare, nella stessa categoria sociopolitologica, la Colonia di San Leucio a quella scozzese di New Lanark creata dal socialista Robert Owen 24. Ed infine: se mai non potesse essere inclusa fra quelle utopie socialiste, cercare di stabilire in quale altra categoria politologica sia esatto comprenderla.    
   Prima di provare a rispondere a queste domande sgombriamo il campo da possibili imprecisioni concettuali. Chiariamo subito che “utopismo” e “socialismo” non necessariamente sono concetti simbiotici che debbano essere intesi e/o declinati insieme nelle trattazioni storico-sociologiche. Sgombriamo subito il campo dall’ equivoco nel quale incorrono molti studiosi   quando annoverano in un’unica categoria analitica – quella del socialismo utopistico appunto – tutte le utopie che contengono elementi di egualitarismo. Certamente la stragrande maggioranza degli universi utopici sono di matrice organicistica, in quanto affermano la preminenza assiologica del Tutto sulle Parti. Certo, l’organicismo resta un tratto necessario ma non sufficiente per definire il carattere politico di un’utopia. Infatti   esistono disegni utopici che, pur prevedendo rapporti ugualitari fra i diversi attori sociali e l’abolizione della proprietà privata dei mezzi di produzione, non rappresentano necessariamente progetti di società socialiste.
   Esistono, nella sterminata e millenaria letteratura utopica,   diversi progetti che teorizzano  modelli sociali elitari e/o biologicamente predeterminati. Non mancano, in proposito nel corso dei secoli, esempi storici che vanno dall’utopia platonica alle teorie malthusiane. Ed inoltre: lo stesso progetto di universo utopico, giudicato auspicabile da alcuni, può essere indicato da altri come un insopportabile universo concentrazionario. In proposito basta ricordare, a scopo esemplificativo, le utopie negative descritte dalla letteratura distopica. Fra le distopie più significative ricordiamo: Noi, scritto nel 1919, da Eugenij  Zamiatin 25 per denunciare – attraverso la metafora di uomini ridotti a numeri e costretti ad essere felici in base a criteri di felicità matematicamente determinati – gli orrori dell’utopia bolscevica al potere in Unione Sovietica; ed ancora:  1984 pubblicato da George Orwell nel 1948 26 per descrivere un’umanità simile ad un “alveare” dove non c’è più spazio per l’amore; ed infine: Il Mondo nuovo nel quale Aldous Huxley 27 colloca individui geneticamente predeterminati a seconda della mansione sociale alla quale saranno destinati. In tutte queste utopie, diverse per trama, ambientazione e periodo storico di riferimento, i tre autori denunciano, però, lo stesso pericolo che può essere enunciato nei seguenti termini: ogniqualvolta il sogno utopico di una società perfettamente ordinata si concretizza – non importa se ordinata dalla fede in una ideologia rivelata dalla Storia o dalla fede nella Scienza – esso non realizza la promessa di un Mondo Nuovo esente dal Male ma si tramuta nell’incubo totalitario dell’universo concentrazionario.
   Riassumendo: non tutte le utopie hanno promosso norme e valori egualitari ed anche quelle che lo hanno fatto, non per questo, hanno fondato società più giuste. Anzi!
 La natura sociale e politica della Reale Colonia di San Leucio
 
   Fatte le necessarie precisazioni euristiche, possiamo finalmente procedere all’individuazione delle caratteristiche culturali e politiche dell’utopia leuciana. Per decifrare la natura sociale e politica della Reale Colonia di San Leucio eviteremo di formulare astratte ipotesi interpretative ma ci atterremo all’analisi della copiosa documentazione dettata da Ferdinando IV.    
 Nel preambolo alle Leggi – intitolato: Origine e progressi della popolazione di San Leucio – il sovrano illustrava, in modo sintetico ma inequivocabile, le finalità e le modalità della sua iniziativa. Egli, confessando la sua legittima preoccupazione, ricordava: << Temendo che tanti fanciulli e fanciulle (…) per mancanza di educazione non divenissero un giorno, e formassero una pericolosa società di scostumati e malviventi, pensai di stabilire una Casa di educazione pe’ figliuoli dell’uno, e dell’altro sesso, servendomi, per collocarveli, del mio Casino; ed incominciai a formarne le regole>>. 28 Risulta evidente dalla lettura di queste poche righe che la prima finalità perseguita dal sovrano era quella del mantenimento dell’ordine pubblico. Infatti, contrastare la formazione di <<una pericolosa società di scostumati e malviventi>>, significava, a quel tempo, scongiurare il pericolo della nascita di una enclave inaccessibile e governata dalla criminalità, in altri termini: prevenire la genesi di una sorta di corte dei miracoli.  
   Quindi, procedendo nell’esposizione delle motivazioni della sua iniziativa, egli concludeva << ( …) pensai di ridurre quella Popolazione … utile allo Stato, introducendo una manifattura di sete grezze (…) . Utile alle famiglie, alleviandole da’ pesi, che ora soffrono, e portandole ad uno stato di potersi mantener con agio e senza pianger miserie (…) togliendosi loro ogni motivo di lusso coll’uguaglianza, e semplicità di vestire; (…)>> 29. Da questo brano scaturiscono almeno altre due considerazioni degne di nota. Prima considerazione: l’intenzione di <<ridurre quella Popolazione… utile allo Stato>> non equivaleva certo all’intenzione di emancipare i propri sudditi bensì di sottometterli ad un suo rigido controllo. Seconda considerazione: con l’espressione togliere <<ogni motivo di lusso coll’uguaglianza>>, il sovrano intendeva l’uguaglianza non come un valore da perseguire ma come un mezzo per ridurre i bisogni dei suoi sudditi e, conseguentemente, lenire la percezione da parte di questi del loro stato di miseria. A conferma di quest’ultima considerazione si sottolinea l’obbligo di uniformi come abbigliamento.
   Infine, il sovrano concludeva il preambolo alle Leggi con paternalistiche espressioni: << Questa norma, e queste leggi da osservarsi dagli Abitanti di S. Leucio (…) son quelle, che Io qui propongo, e distendo, più in forma d’istruzione di un Padre a’ suoi Figli, che come comandi di un Legislatore a’ suoi Sudditi. Procurerò, che siano ristrette ed adattate, per quanto si può, allo stato presente, ed alle attuali circostanze di questa piccola nascente popolazione per cui son fatte. Se questa, crescendo, avrà bisogno di nuovi regolamenti, o se l’esperienza ne indicherà degli altri non preveduti, e necessarj, mi riserbo di darli; (…)>> 30. Anche questo brano offre preziose indicazioni per comprendere la natura della Reale Colonia di San Leucio. Infatti risulta evidente la volontà del sovrano di dettare le sue Leggi e, contemporaneamente di limitarne la validità, << egli – spiega Battaglini – limita chiaramente la portata delle leggi sia oggettivamente, riferendole allo stato presente ed alle attuali circostanze, sia soggettivamente perché esse erano dirette esclusivamente ai leuciani. Inoltre ( e qui la natura delle leggi come codice dell’assolutismo è fin troppo evidente) egli si pone come interlocutore diretto tra Dio e i leuciani ai quali dice: “ Nel dare a voi questa legge non intendo far altro che seguire i suoi eterni consigli “ (…) >>31. Quindi il tratto fondante delle Leggi e delle regole è << il timor santo di Dio >> 32 e quelle leggi erano concepite per essere valide esclusivamente per coloro che coattivamente vivevano all’interno di quella comunità. Coattività alla quale erano sottoposti, in egual modo, fanciulli e fanciulle. Ed è questa uguaglianza nella coercibilità che ha indotto alcuni osservatori, fra i quali Nadia Verdile, ad indicare il setificio di San Leucio con il relativo Codice come << incredibilmente moderno, antesignano di un femminismo futuro che rivendicherà il diritto all’autodeterminazione >>33.
   Quale autodeterminazione? Se, dopo qualche riga, la stessa autrice constata:<< Tra gli obiettivi del legislatore vi era quello di trattenere le giovani ed i giovani nella Colonia. Alle ragazze che decidevano di sposare un uomo che non fosse leuciano venivano donati 50 ducati perdendo però il diritto di ritornare a vivere all’interno della Colonia>>34. E’ questa la possibilità di autodeterminarsi?. Una ragazza del Settecento bandita per sempre dal luogo natio, separata dai genitori ed espulsa irreversibilmente dalla comunità di appartenenza! Stessa sorte per i maschi che decidevano di allontanarsi da San Leucio.
   In altri termini, l’autodeterminazione dei leuciani consisteva nel autocondannarsi ad un’esistenza di vagabondaggio e di miseria. Era questa l’unica forma di libertà possibile!
   Indicati i limiti della cosiddetta   autodeterminazione individuale, torniamo ad analizzare, con più attenzione, la pratica dell’ uguaglianza poiché, come osserva ancora Battaglini: <<E’ questo dell’uguaglianza il punto che ha forse maggiormente frastornato sia i contemporanei che gli studiosi successivi >> 35. Per uguaglianza il sovrano intende che i leuciani sono tutti uguali nella loro condizione di artigiani della seta i quali vivono ed operano nella colonia secondo le severe leggi ed i rigidi regolamenti fissati  e << non già di considerarsi uguali con tutti gli altri ceti di persone e di condizione>> 36. Questa << è l’uguaglianza di Ferdinando IV che – conclude Battaglini – proprio poco dopo la pubblicazione del codice di San Leucio, inizia quella involuzione che lo trasforma da sovrano assoluto in un vero despota >>37.
   Opposto il giudizio espresso da Nadia Verdile che giudica << straordinario >> il Codice di San Leucio in quanto << Esso contiene i principi fondamentali di quella cultura illuminista di cui era fortemente impregnata la formazione della regina. La città degli uguali prevedeva, come perni su cui si muoveva tutta l’impalcatura normativa del Codice, l’assoluta uguaglianza tra donne ed uomini, il diritto all’istruzione, all’educazione, alla successione e alla proprietà, alla casa, all’equo salario, alla tutela in caso di bisogno, all’assistenza sanitaria, alla prevenzione del vaiolo, alla formazione e al lavoro >>38.
 Per decidere quale, fra giudizi tanto discordanti, sia quello che si avvicini di più alla realtà di quel luogo è necessario rileggere alcuni paragrafi del Codice Leuciano.
   Cominciamo dalla << uguaglianza tra donne ed uomini >> all’interno della famiglia, ricordata dalla Verdile; in proposito il Codice recita: << Capo di questa Società conjugale è l’uomo. Natura gli deferì questo diritto: ma gli proibì nel tempo stesso di opprimere, e di maltrattare la sua moglie >>39. Questa è la parità prevista! Ogni commento in proposito appare superfluo.                                                                                                                                    
   Procediamo con l’analisi del <<diritto all’istruzione>>. Oltre all’ addestramento per le varie fasi della lavorazione della seta, per l’insegnamento – diciamo di cultura generale – ai leuciani era imposto un testo, compreso nel Codice, intitolato: Doveri verso Dio, verso se, verso gli altri, verso il Re, verso lo Stato per uso Delle Scuole Normali di San Leucio. Doveri, si badi bene, e mai diritti. Illustriamone alcuni più significativi per la comprensione dell’impalcatura costituzionale della Reale Colonia. Nel capitolo dedicato ai Doveri verso noi medesimi, risalta il seguente precetto: << La pena che Dio dà a chi non fatica, è il fuoco eterno dell’inferno, perché lo ha per temerario trasgressore della sua Santissima Legge (…)>> 40. Nei  Doveri verso il Principe o sia il Monarca si afferma che: << Il Principe, o sia il Monarca è un Capo posto da Dio a regger, e governare con tutte la pienezza della potestà i Popoli a Lui soggetti >>41 e che per essergli grati << Dobbiamo riconoscerlo come nostro Signore, nostro Padre , e nostro esimio benefattore (…) dare per Lui in tutte le occasioni la roba, il sangue, e la vita>>42. Infine, uno sguardo ai Doveri verso lo Stato, in essi si minaccia che << Chi non paga il tributo, il dazio, la gabella, e altri pesi, che impone il Re, commette peccato mortale (…) >> e che << Chi non osserva tutti questi doveri commette peccato mortale; e cade sotto la maledizione di Dio, per cui sarà punito nell’altra vita colle pene dell’Inferno; ma dippiù sarà condannato in questo mondo a soffrire ogni sorta di miseria (…) >> 43. Questi i contenuti, sinteticamente illustrati, del principale “Testo scolastico” adottato dalla scuola leuciana.
   Da questo “Testo” i leuciani apprendevano esclusivamente doveri, i diritti non erano stati contemplati dall’estensore del volume. Ovviamente impensabile il diritto al lavoro che, come abbiamo letto, era considerato anche esso un dovere. Quindi, anche il <<diritto all’istruzione>> – evocato dalla Verdile– in realtà era un dovere. Dallo studio del “Testo” i leuciani imparavano che la conoscenza si esauriva nei precetti dettati dalla Chiesa e spiegati loro dal parroco. In quei precetti, la Sovranità del Monarca e la Divinità di Dio si fondevano per decretare che ogni disobbedienza alle Leggi, oltre che costituire un grave reato, corrispondeva ad un peccato che avrebbe scaraventato all’Inferno, per l’eternità, il colpevole.   
   Proseguiamo, ora, all’esame di un altro diritto celebrato da Nadia Verdile: il diritto alla proprietà. E’ vero che il sovrano assegnava una casa a coloro che costituivano un nucleo familiare, ma va precisato che di tale bene l’assegnatario non avrebbe potuto disporne se avesse deciso di lasciare la Colonia e che non poteva deciderne il lascito – se non ai figli – in quanto i testamenti erano stati aboliti per non consentire l’accumulazione di beni. 
 
   Dopo aver osservato leggi, precetti e regole che, con una certa approssimazione, potremo indicare come norme di diritto privato, procediamo, ora, all’analisi dell’organizzazione del sistema politico di San Leucio, del rapporto fra governanti e governati. Alla guida della Colonia erano preposti i << Seniori del popolo>>. Essi costituivano un organo collegiale formato da cinque membri eletti << per bussola segreta ed a maggioranza di voti >> ogni anno nel giorno di San Leucio, tra gli anziani ritenuti << i più savi, giusti, intesi e prudenti >>. A questa procedura “democratica” seguiva la necessaria conferma degli eletti da parte del sovrano che, con il suo inappellabile giudizio finale, rendeva << pressoché vana la volontà dell’elettore >> 44.
    Esaminiamo ora gli incarichi affidati dalle Leggi ai <<Seniori del popolo >>. Questi esercitavano funzioni giurisdizionali per dirimere diatribe fra i governati. Non va omesso che per lo svolgimento di tale mansione era obbligatorio avvalersi della copresenza del parroco ( e questi non era eletto dai Leuciani). Gli altri compiti affidati ai << Seniori del popolo >> erano il controllo e la sorveglianza della popolazione. In realtà, però, questi compiti non furono mai svolti in piena autonomia dai <<Seniori>>. Infatti, << Ben presto – come precisa Battaglini – fra loro e il sovrano fu posto un nuovo organo previsto dal regolamento: si trattava del sopraintendente generale che, come recitavano le Leggi, << sopraintenderà a tutti gli individui della Real Colonia (…) e disporrà che i Seniori adempiano ai loro doveri >>45. Inoltre va ricordato che al sopraintendente, nominato dal sovrano, era affidato anche il ruolo di giudice penale.
   Per completezza d’informazione, dobbiamo ricordare che nella Reale Colonia era stata fondata una apposita struttura per l’assistenza agli orfani detta <<Cassa del monte degli orfani>> che veniva alimentata dai beni dei defunti che non lasciavano eredi ed era amministrata dal parroco. Inoltre, era stata istituita un’analoga struttura – la << Cassa di carità >> – per la tutela degli inabili al lavoro alimentata dal versamento di un tarì al mese da parte di ogni leuciano che guadagnasse più di due carlini al giorno. Anche questa somma era versata al parroco che conservava il denaro in una cassa e, dopo averla chiusa con tre chiavi, ne teneva una per sé e consegnava le altre due rispettivamente ai seniori ed ai direttori delle arti. Successivamente per l’assegnazione dei fondi decidevano coloro che avevano partecipato ad alimentare la cassa, ma, anche in questo caso, il sovrano riservava per sé il giudizio finale e poteva decidere di integrare o negare il sussidio.   Certo la carità è una virtù evangelica e come tale degna di essere elogiata ma, altresì, va evidenziato che la carità si rende necessaria in quelle società dove non vengono  tutelati sufficientemente né i diritti civili né, a più forte ragione, i diritti sociali.
    Riassumendo, possiamo concludere che: le Leggi e i Regolamenti  leuciani dettavano norme e regole che vietavano o imponevano ai governati determinati comportamenti. Esse scandivano attimo per attimo la esistenza quotidiana di uomini, donne e fanciulli fin negli aspetti più intimi, mentre, viceversa, non esisteva, in quella pur accurata Costituzione, una sola norma che imponesse almeno un solo limite al sovrano, un solo limite che tutelasse i governati nei confronti del potere assoluto del monarca . Così questi restavano, fra quelle mura, alla totale mercé del despota ancor più degli altri sudditi del Regno.
   Dentro quelle mura, Ferdinando IV esercitava una forma di governo che si allontanava dal dispotismo illuminato ed assumeva i tratti del dispotismo asiatico. Il principale aspetto caratterizzante questa forma di governo – praticata dall’Egitto faraonico alla Cina imperiale – consisteva nella soppressione di ogni forma di proprietà privata. Abolizione della proprietà estesa sino al divieto di possesso dei più semplici strumenti di lavoro da parte dei governati. Un unico proprietario: il despota, che poteva decidere, così, dell’esistenza dei propri sudditi fin negli aspetti più intimi di essa. Una forma di dispotismo tanto omnipervasiva da soffocare ogni alito di respiro, ogni accenno di autoconsapevolezza della propria individualità da parte del singolo governato.   Era questa la natura sociale e politica della Reale Colonia di San Leucio.
Verso la soluzione dell’enigma
 
    Innegabile, come abbiamo dimostrato nelle pagine precedenti, la dimensione utopica del progetto ferdinandeo; pur tuttavia tale progetto, esaminato alla luce della sua natura sociale e politica, non è, in alcun modo, assimilabile alle utopie socialiste, come ipotizzato da Dumas nella formulazione del suo enigma sulla nascita della Reale Colonia di San Leucio.  
   Le teorie di Saint-Simon, Fourier, Prudhon e, soprattutto, le iniziative concrete di Owen,                                  comprese fra la fine del Settecento e l’inizio dell’Ottocento, costituivano risposte alla catastrofe culturale 46 provocata dalla Rivoluzione industriale. Erano teorie ed erano tentativi che, almeno nelle intenzioni dei loro patrocinatori, dovevano servire a contrastare l’avanzata di un capitalismo dall’aspetto disumano che, impegnato nella spasmodica fase della accumulazione primaria, produceva effetti devastanti nella trama del tessuto comunitario. Precisamente quel tessuto fatto di legami tradizionali, ormai lacerati, e filato dalle classi subalterne disorientate ed anomiche in quanto non più contadini ed artigiani, come un tempo,  ma non ancora proletariato urbano.  A questi soggetti sospesi tra il “ non più” e il “non ancora” erano rivolti i progetti di emancipazione del socialismo utopistico. Qui erano indicate le possibili soluzioni per sanare le dolorosissime lacerazioni sociali; per restituire un’esistenza dignitosa a quella massa di sradicati; per assicurare loro il godimento dei diritti civili prima e sociali poi.         
   Da questo punto di vista, è esemplare la trasformazione – operata da Robert Owen fra il 1800 ed il 1825 – del villaggio scozzese di New Lanark 47 con il suo cotonificio, in un modello di società ed azienda organizzata secondo principi  cooperativistici e solidaristici alternativi al liberismo capitalistico. << Noi – dichiarava Owen – ripudiamo il principio della competizione individuale nella produzione e distribuzione dei beni (…) noi cambieremo il principio della competizione e dell’errato interesse individuale con l’altro principio di accordo illimitato e di comuni interessi nazionali (…) dato che i principi su cui questo nuovo mondo è fondato freneranno subito e impediranno efficacemente lo sviluppo di sentimenti d’ira e di malignità (…) la guerra sarà sospesa e da ultimo abolita. (…). Amore, pace, buona volontà verso tutta la famiglia umana, senza considerazioni alcuna per le meschine cause di divisione, artificiali o irrazionali, ora esistenti fra gli uomini >>. 48 Questi gli obiettivi indicati da Owen per la realizzazione di un <<nuovo mondo>> oltre gli angusti confini delle nazioni. Un mondo nuovo che, bandito la guerra ed ogni forma di competitività, viene governato dai principii dell’amore e della solidarietà. Obiettivi da conseguire non attraverso l’uso della violenza bensì attraverso l’azione pedagogica laica, capillare e permanente degli individui sin dalla loro infanzia. <<L’esperienza – precisava Owen – insegnerà rapidamente come si forma un carattere, nell’individuo e nella massa, in modo da dare la maggior somma possibile di felicità al singolo uomo ed al genere umano (…) i poteri che governano tutti i paesi facciano programmi razionali per l’istruzione e la generale formazione del carattere dei loro sudditi.
Questi programmi devono essere concepiti con un preciso scopo, educare i fanciulli dalla primissima infanzia e buone abitudini (…) Dovranno in seguito essere istruiti razionalmente e le loro attività dirette a utili scopi. Tale abitudini e questa istruzione li riempiranno di un desiderio ardente e fattivo di promuovere la felicità di ogni individuo e questo senza restrizioni di setta, di partito (…)>>. 49
 Coerente con i propri principi, Owen fondava, oltre al villaggio cooperativistico di New Lanark già citato, anche la comunità di New Harmony ( 1827) negli Stati Uniti.
   Certo, anche le comunità fondate dal filantropo socialista erano – come la Reale Colonia di San Leucio – universi organicistici. Ma, nonostante le analogie organicistiche – per le quali l’individuo era pedagogicamente indirizzato al perseguimento della propria gratificazione attraverso la felicità raggiunta dall’intera collettività – nelle comunità di New Harmony e New Lanark si sperimentava un concreto processo laico di emancipazione sociale. In esse, infatti, fissate le regole comunitarie, i membri delle comunità decidevano attraverso procedure autogestionarie il governo della collettività in tutti i suoi aspetti quali, ad esempio, l’istruzione, la sanità, l’organizzazione del lavoro, gli scambi economici. Nelle comunità di New Harmony e New Lanark le leggi non erano dettate da un monarca assoluto legittimato da una chiesa onnipresente e omnipervasiva che, come abbiamo illustrato nelle pagine precedenti, addirittura arrivava al punto di scandire il ritmo del tempo.
   I  leuciani, è bene ripeterlo, vivevano separati dal mondo esterno all’interno di quel muro, eretto per volontà di Ferdinando IV. Essi, spogliati dei loro miseri abiti che li identificavano, erano obbligati ad indossare una uniforme. Muovendosi come automi eterodiretti, impossibilitati ad esercitare la propria volontà, vivevano le loro giornate scandite, secondo precisi orari, dalla preghiera, dal lavoro e dall’apprendimento dei precetti. Alle 7 e ¾ si recavano in Chiesa per ascoltare la Messa, poi al lavoro fino alle 12. Breve pausa per il pranzo e, alle 12 e ¾ ancora al lavoro fino alle 21. Poi alla <<Scuola Normale>> dove apprendere tecniche di lavoro e ripetere l’elenco dei Doveri verso Dio, il Sovrano, lo Stato. Ed infine alle 23 tutti in Chiesa per la benedizione del Santissimo e per recitare la preghiera della sera. E l’indomani … un nuovo giorno sempre uguale al precedente.
   Pertanto sono da rigettare le conclusioni alle quali giungeva lo Stefani quando indicava San Leucio come la << colonia socialistica nel regno dei Borboni >> 50 e, a conferma della sua tesi, richiamava proprio l’opera di Robert Owen con i suoi tentativi di riforma compiuti nel villaggio scozzese di New Lanark. Ugualmente da confutare le analogie proposte, di recente, da Nadia Verdile quando afferma: << Dall’utopia sociale di San Leucio a quella economica. Il binomio San Leucio – New Lanark è ardito ma fortemente impiantato su un filo conduttore comune: il desiderio di migliorare le condizioni di vita della gente e della produzione di un contesto storico imbevuto di idee illuministiche>>. 51
   No! Nessun filo conduttore comune fra le due esperienze citate! Il progetto di società disegnato dalla Costituzione leuciana rappresentava il tentativo di un ritorno al passato: la riproposizione della società medioevale dei doveri; e ciò non tanto per il principio di dovere in sé, ma per l’assolutizzazione del Sacro e la legittimazione, tramite il sacro, del potere assoluto del monarca. Del resto il testo ferdinandeo non faceva mistero dei propri propositi là dove affermava che <<La riverenza dovut’al Monarca è quel rispetto, e quella venerazione, che a Lui si deve, come Persona dataci da Dio, la quale fa in terra la figura di Dio, e da Dio solo riconosce quella suprema autorità, e quella somma potestà, che esercita sopra i Vassalli: E perciò tut’i Vassalli debbono umiliarsi, e prostrarsi al suo cospetto, e parlare a Lui, e di Lui non solo con tutto il rispetto, e con tutta la decenza, ma colla più profonda rassegnazione, ed umiltà >>. 52
 Pensiamo proprio che, dopo la lettura di queste ultimi brani, tratti dalle Leggi pel buon governo della popolazione di San Leucio, si possa definitivamente << eliminare qualsiasi possibile parvenza di protosocialismo a San Leucio >>.53 Ed, altresì, si possa categoricamente escludere << la possibilità di considerare come derivanti dalle concezioni tipiche dell’assolutismo illuminato le Leggi di San Leucio >>.54 Veramente: la Costituzione di San Leucio << è quella che solo un sovrano assoluto poteva concepire e concedere ai suoi sudditi, considerati alla stregua di figli che rimangono perpetuamente in età minore. Che poi qualche lontana eco del pensiero illuminista e riformista si possa trovare in essa non può né deve meravigliare perché quelle idee permeavano tutto questo periodo. Ma da questo a dire che il codice è riformista o socialista o prerivoluzionario, ci corre. Esso è e rimane l’ultimo atto di Ferdinando IV in cui l’assolutismo si esprima ancora con la forza con la quale si esprimeva in Luigi XIV >>. 55
   Ecco: a questo punto dell’indagine, possiamo proporre la nostra soluzione all’ enigma posto da Dumas –  e da noi riproposto nelle pagine precedenti – sulla natura sociale e politica di San Leucio. Riteniamo che l’esperimento leuciano presentasse certamente i tratti caratterizzanti una società utopica ma non di un’utopia socialista bensì di un’utopia dispotica. Si sbaglia Nadia Verdile quando afferma che:<< L’esperienza del Codice delle Leggi Leuciane e quella della comunità scozzese costituiscono certamente due momenti di una cultura che era in continuo divenire e fortemente proiettata verso l’abbandono dei privilegi dell’ancient regime in favore di una società che tendeva ad essere meno ignorante e più sensibile ai temi del diritto>>.56 Tutt’altro, Ferdinandopoli costituiva il laboratorio nel quale il monarca borbone sperimentava la creazione del suo Nuovo Regno futuro. Un regno collocato fuori dai turbolenti mutamenti della Storia, immerso in un eterno presente, funzionante come quei prevedibili meccanismi che egli osservava per ore provando, forse, una sensazione di profonda tranquillità. Un regno popolato da sudditi privati delle loro singole individualità. Un Nuovo Regno dove anche la << cultura che era in continuo divenire>> con le nuove acquisizioni scientifiche e filosofiche dell’illuminismo potessero essere asservite alla volontà del despota <<che fa in terra la figura di Dio>> 57.
L’albero della libertà
 
 Con alterne fortune, nel corso degli anni, le sorti della Reale Colonia di San Leucio hanno rispecchiato gli avvenimenti che hanno determinato il declino del Regno Borbonico fino alla sua dissoluzione per effetto del processo di Unificazione dell’Italia.
   Poi, il 19 ottobre del 1860, San Leucio e tutti i suoi annessi, sia mobili che immobili, divenivano beni della corona sabauda.
   Successivamente, il 1 giugno 1868 – in risposta alla Memoria dei coloni di San Leucio ai signori Deputati del Parlamento Nazionale per la rivendicazione dei loro diritti – il Parlamento deliberava la cessione dell’opificio serico al Comune San Leucio 
   Infine, l’ultimo atto è datato 11 dicembre 1878. In quella occasione i discendenti dei coloni leuciani, con un ricorso al prefetto di Caserta, rivendicavano il diritto di divenire proprietari delle abitazioni. Essi chiedevano che le case, in San Leucio, fossero concesse << in libera proprietà>> a coloro che << abbiano eredi ascendenti o discendenti >> mentre << a coloro che ne sono privi sia concesso l’uso gratuito durante la loro vita >>. 58
   Oggi il Belvedere di San Leucio – restaurato nel 2000 e dichiarato Patrimonio dell’Umanità dall’UNESCO nel 1997 – è sede di un Museo della seta, copre una superficie di 7.000 metri quadrati e si articola in tre sezioni: l ’Archeologia Industriale, gli Appartamenti Storici e i Giardini Reali.
   

    Questo l’epilogo storico della Reale Colonia di San Leucio ma l’utopia dispotica di Ferdinandopoli si era già dissolta fra il 21 dicembre 1798 ed il gennaio del 1799. In quei giorni drammatici – mentre il sovrano era in fuga verso Palermo ed i francesi occupavano Napoli – la popolazione leuciana si sollevava, distruggeva i telai ed innalzava l’albero della libertà 59.

Premessa alle note
Giunto a questo punto, l’autore ha sentito insopprimibile il bisogno di dover giustificare il tono eccessivamente didascalico del testo e delle presenti note. Tale scelta è stata compiuta in quanto lo scritto, pur conservando integra la sua scientificità, vuole essere un utile strumento per i giovani che muovono i loro primi passi nel complesso universo della ricerca storico-sociologica.

NOTE

1)            Il brano citato è stato tratto dai diari di viaggio di Lady Elizabeth Berkeley, nata Elizabeth Craven (17 Dicembre 1750 – 13 gennaio 1828), scrittrice e instancabile viaggiatrice inglese. Il brano è stato, poi, riportato nel volume di S. Di Giacomo, Ferdinando IV e il suo ultimo amore, Palermo s.d. p.10 e in Mario Battaglini, La fabbrica del re, l’esperimento di San Leucio tra paternalismo e illuminismo, Edizioni Lavoro, Roma 1983, p. 9.
2)            Ferdinando IV di Borbone, discendente in linea diretta del Re Sole, nacque nel Palazzo Reale di Napoli il 12 gennaio 1751 da Carlo di Borbonere di Napoli e di Sicilia, e da Maria Amalia di Sassonia. La sua nascita non fu considerata un grande evento poiché era il figlio maschio terzogenito della coppia reale. Prima di lui, oltre a cinque principessine (quattro delle quali morte in tenera età) erano nati Filippo di Borbone-Spagna, erede al trono napoletano, e Carlo Antonio, poi Carlo IV di Spagna, rispettivamente nel 1747 e nel 1748. Per lui si doveva prospettare un futuro da religioso, infatti Maria Amalia lo voleva cardinale e forse anche erede del trono papale.
  Il suo destino fu tuttavia cambiato da due importanti eventi: nel 1759 suo zio Ferdinando VIre di Spagna, morì senza lasciare eredi. Come conseguenza, il padre Carlo assunse la più prestigiosa corona di Spagna, portando con sé Carlo Antonio quale successore, dopo che il primogenito Filippo era stato escluso dalla successione perché demente. La partenza per la Spagna del Re e del delfino mise Ferdinando nella imprevista posizione di essere l’erede al trono di Napoli. Egli fu re di Napoli dal 1759 al 1799, dal 1799 al 1806 e dal 1815 al 1816 con il nome di Ferdinando IV di Napoli, nonché re di Sicilia dal 1759 al 1816 con il nome di Ferdinando III di Sicilia. Dopo questa data, con il Congresso di Vienna e con l’unificazione delle due monarchie nel Regno delle Due Sicilie, fu sovrano di tale regno dal 1816 al 1825 ( Napoli4 gennaio 1825 giorno della sua scomparsa)  con il nome di Ferdinando I delle Due Sicilie.
3)            Carlo Sebastiano di Borbone (Madrid20 gennaio 1716 – Madrid14 dicembre 1788) fu duca di Parma e Piacenza con il nome di CarloI dal 1731 al 1735re di Napoli e Sicilia senza numerazioni (era Carlo VII secondo l’investitura papale, ma non usò mai tale ordinale).. Dal 1735 al 1759, e da quest’anno fino alla morte re di Spagna con il nome di Carlo III.
4)            P. Colletta, Storia del Reame di Napoli, a cura di N. Cortese, Napoli 1957, p. 177; citato in S. De Majo, Ferdinando IV di Borbone. Sessantacinque anni di regno tra riformismo, rivoluzione e restaurazione, T.E. Newton & Compton, Roma 1996, p 11.
5)            A. Coletti, La regina di Napoli, Novara 1986, p.46; citato in S. De Majo, Ferdinando IV di Borbone. Sessantacinque anni di regno tra riformismo, rivoluzione e restaurazione, cit., p.15.
6)            Maria Carolina d’Asburgo-Lorena (Vienna, 13 agosto 1752 – Vienna, 8 settembre 1814) nata arciduchessa d’Austria, era la tredicesima dei figli di Maria Teresa d’Austria e dell’imperatore Francesco I.
   Per quanto impossibile sintetizzare, nelle poche righe di questa breve nota, i momenti salienti della sua esistenza in relazione alla sua enorme influenza esercitata nel governo del Regno di Napoli, cercheremo comunque di ricordarne gli avvenimenti più significativi. A sedici anni, con un matrimonio celebrato per procura il 7 aprile 1768, sposò, senza averlo scelto né mai incontrato, Ferdinando IV di Borbone, re di Napoli e di Sicilia. Dall’unione nacquero diciotto figli. Dopo aver partorito il primo figlio maschio, Carlo Tito, rivendicò nel febbraio 1776 il diritto, sancito nel contratto di nozze, di entrare a far parte del Consiglio di Stato dopo la nascita dell’erede al trono.
   Facilitata dal disinteresse del marito per gli affari di Stato, utilizzò il suo potere politico per allentare i legami con la Spagna ed intensificare quelli con l’Austria e l’Inghilterra. Nell’ottobre del 1776 riuscì ad ottenere il licenziamento di Bernardo Tanucci, filospagnolo, antimassone ed a lei ostile. Finalmente poteva esercitare senza ostacoli la sua azione politica ispirata all’esempio del fratello Pietro Leopoldo sovrano illuminato del Granducato di Toscana dal 1765 al 1790. Ella determinò così, fra le altre cose, la costituzione del Supremo Consiglio di Finanza; partecipò, nel 1780, alla fondazione della Accademia delle scienze, rivendicò al sovrano la nomina dei vescovi e sottopose il clero alla giurisdizione laica, procedette alla limitazione di alcune prerogative baronali.
   Ovviamente, fornì il suo notevole contributo alla realizzazione della Reale Colonia di San Leucio caratterizzandone, nella misura consentita dai tempi, gli aspetti normativi favorevoli alla parità fra i sessi. Inoltre Maria Carolina promosse Napoli come centro culturale e punto di riferimento del dibattito illuminista. Durante la Rivoluzione francese espresse un giudizio comprensivo nei confronti dei rivoltosi. Quando scoppiò la Rivoluzione Francese, racconta Benedetto Croce nella Storia del Regno di Napoli, ella disse: «credo che abbiano ragione». Ma allorquando i rivoluzionari francesi mutarono le loro aspirazioni da una monarchia illuminata all’instaurazione della repubblica procedendo alla decapitazione di sua sorella, la regina Maria Antonietta, inevitabilmente le idee illuministiche di Maria Carolina crollarono definitivamente. Costretta alla fuga, trovò riparo in Sicilia insieme al marito, dopo l’invasione francese del regno di Napoli e la proclamazione della Repubblica Partenopea nel gennaio del 1799. Sei mesi dopo, tornata sul trono, Maria Carolina fu tra i principali sostenitori delle numerose sentenze di morte emesse contro i rivoluzionari giacobini, tra cui un gran numero di quegli intellettuali un tempo da lei sostenuti, primo fra questi: Eleonora Pimentel Fonseca. Fu deposta nuovamente dalle forze di Napoleone nel 1806 e trascorse i suoi ultimi anni in esilio a Vienna, dove morì nel 1814, prima di poter vedere la restaurazione dei Borbone sul trono delle Due Sicilie.
7)            Ferdinandopoli sarebbe dovuta sorgere dall’ampliamento della Reale Colonia di San Leucio secondo l’ambizioso programma urbanistico promosso da Ferdinando IV di Borbone ed affidato, per la sua realizzazione, all’ architetto Francesco Collecini allievo di Luigi Vanvitelli.
8)            M.Battaglini, La fabbrica del re, l’esperimento di San Leucio tra paternalismo e illuminismo, cit., p.12.
9)            Il codice leuciano fu pubblicato 1 genaio 1789 con il titolo: ORIGINE della popolazione di San Leucio – Suoi progressi fino al giorno d’oggi COLLE LEGGI Corrispondenti al buon governo di Essa. Per la prima pubblicazione – coordinata da Domenico Cosmi in qualità di Ufficiale della Segreteria reale – il Codice fu redatto, dalla Stamperia reale, in 150 copie successivamente si arrivò a 3000 copie che, per volontà dei sovrani, furono diffuse in diversi paesi europei. Ovviamente il Codice porta in calce la firma di Ferdinando IV, ma nonostante ciò, dal giorno della sua pubblicazione, non si è ancora conclusa la disputa sull’individuazione dell’effettivo estensore delle Leggi leuciane. L’ipotesi più accreditata è quella formulata da Giovanni Tescione, questi attribuiva la redazione delle Leggi ad Antonio Planelli riproponendo l’ipotesi formulata da Guglielmo De Cesare, nel 1863, in Vita della venerabile serva di Dio Maria Cristina, dove – a pag. 196 – si legge: << Quelle Leggi commesse al Planelli, esaminate e corrette dal sovrano produssero concordia e felicità tra quei pochi e solerti coloni>>. Non dello stesso parere è Mario Battaglini, questi dopo aver fatto notare che Antonio Planelli era più noto come musicologo che come giurista propende per l’assegnazione proprio a Domenico Cosmi della paternità del Codice per la sua vicinanza al sovrano e anche in virtù del fatto acclarato che egli era l’autore del Regolamento interno alla fabbrica di San Leucio.
10)          La versione dell’ Editto Regio del 1789 proposta è stata tratta dal seguente sito: http://www.repubblicanapoletana.it/leucio.htm.
11)          D. Cosmi, Componimenti poetici per le leggi date alla nuova popolazione di San Leucio da Ferdinando IV re delle Sicilie, Stamperia Reale, Napoli 1789.
12)          Eleonora Pimentel Fonseca(Roma13 gennaio 1752 Napoli20agosto 1799).Giovanissima si dedicò allo studio delle lettere e alla composizione in versi. Fu ammessa all’Accademia del Filaleti e all’Accademia dell’Arcadia. Ebbe scambi epistolari con Pietro Metastasio. In seguito si dedicò allo studio delle discipline storiche, giuridiche ed economiche.
 Amica della regina Maria Carolina, divenne la curatrice della sua biblioteca. I rapporti con la regina si interruppero per la svolta repubblicana dei rivoluzionari francesi.
   Nell’ottobre del 1798 Eleonora fu incarcerata con l’accusa di giacobinismo. Fu liberata dopo qualche mese dai “lazzaroni“. Volle allora cancellare dal suo cognome il “de” nobiliare e divenne una protagonista della vita politica della Repubblica Napoletana (della quale salutò l’avvento scrivendo l’Inno alla Libertà). Partecipò alla formazione del Comitato centrale che favorì l’entrata dei francesi a Napoli. Poi fu il direttore del giornale ufficiale della Repubblica, il  << Monitore Napoletano, che si pubblicò dal 2 febbraio all’8 giugno 1799, in 35 numeri bisettimanali. Quando la Repubblica, nel giugno del 1799, fu rovesciata e la Monarchia fu restaurata, Eleonora fu arrestata e , il 17 agosto, fu condannata a morte nonostante, nel corso del processo, le fosse stato promesso la pena dell’esilio.   Fu impiccata a Napoli, nella storica piazza del Mercato, il 20 agosto 1799. >>
13)          E. Pimentel Fonseca, Cinto Alessandro la superba fronte, in D. Cosmi, Componimenti poetici per le leggi date alla nuova popolazione di San Leucio da Ferdinando IV re delle Sicilie, Stamperia Reale, Napoli 1789.
14)           E. Pontieri, Divagazioni storiche e storiografiche, vol III, p. 240.
15)          F. S. Salfi, Elogio del Filangieri, Edizioni Rocco, Napoli 1866 in M. Battaglini, La fabbrica del re, l’esperimento di San Leucio tra paternalismo e illuminismo, cit., p.21.
16)          Claude  Henri de Saint-Simon ( 1760 – 1825 ) avvertì, prima di chiunque altro, la trasformazione della società tradizionale in società industriale, individuando alcuni di quei problemi sui quali, in seguito,  si cimenteranno non solo i positivisti, ma soprattutto i marxisti. Le sua opere più importante sono  L’industriaIl nuovo Cristianesimo.
   L’idea di fondo di Saint-Simon è quella secondo la quale la storia è retta da una legge di progresso. Ma tale progresso non è lineare, in quanto la storia umana è un alternarsi di periodi organici e di periodi critici. Ora, però, non si tratta di andar indietro. Quel che occorre è spingersi avanti, verso una nuova epoca organica, ordinata dal principio della scienza positiva.
   Il progresso verso la nuova età organica, dominata dalla filosofia positiva, è un progresso inevitabile. E nel suo ultimo scritto, il Nuovo Cristianesimo, Saint – Simon delinea l’avvento della futura società come un ritorno al Cristianesimo primitivo. Essa sarà una società, in cui la scienza costituirà il mezzo per raggiungere questa fratellanza universale che <<Dio ha dato agli uomini come regola della loro condotta>>. E, in base a questa regola, gli uomini <<devono organizzare la propria società nella maniera che possa essere la più vantaggiosa per il maggior numero di persone; in tutti i lavori, in tutte le azioni, gli uomini devono proporsi lo scopo di migliorare il più rapidamente e il più completamente possibile l’esistenza morale e fisica della classe più numerosa. Io dico – proclama Saint – Simon – che in questo, e soltanto in  questo, consiste la parte divina della religione cristiana>>.
    Charles Fourier (1772 – 1837) fu discepolo di Saint-Simon. L’idea centrale del Fourier è quella per cui esiste nella storia un grandioso piano provvidenziale scandito da grandi epoche storiche. Quelle  che si sarebbero avute sino ad oggi – quella dei Selvaggi, quella dei Barbari e quella dei Civilizzati – avrebbero proprio ostacolato l’armonioso sviluppo delle passioni umane, per effetto dei conflitti e delle ingiustizie vigenti. Da questo stato di cose non è immune la cosidetta società ”civilizzata”. E, d’altro canto, in essa non solo l’economia è perversa, ma anche la morale.
   Tutte queste considerazioni conducono  Fourier a sostenere che le passioni o <<attrazioni>> non debbono venir coartate, ma liberate e finalizzate al loro rendimento massimo. Fourier fu dell’avviso che l’organizzazione adatta a tal fine fosse la  <<falange>> gruppo di circa 1600 persone che vivono in un <<falansterio>>. I falansteri sono unità agricolo – industriali, dove le abitazioni sono alberghi e non caserme, e dove ciascuno trova occasioni svariate per soddisfare le sue inclinazioni. Le donne sono equiparate agli uomini; la vita familiare è abolita, giacché i bambini vengono educati dalla comunità; scompare la fatica del lavoro domestico. Nel falansterio vige la totale libertà sessuale. Nel Nuovo Mondo, nessuno sarà vincolato ad uno specifico lavoro. Ognuno produrrà ciò che gli piace produrre. Tuttavia, per evitare la monotonia della ripetitività, ciascun individuo imparerà almeno quaranta attività professionali e cambierà lavoro più volte al giorno.
 Sono queste, dunque, le premesse che dovrebbero permettere il passaggio all’età dell’ Armonia universale, all’età del Mondo Nuovo Societario.
 Le analisi e le soluzioni proposte da Saint- Simon e da Fourier saranno giudicate da Karl Marx ( 1818-1883) e Friedrich Engels (1820-1895) prive di ogni fondamento scientifico e, per questo, catalogate dai padri del <<socialismo scientifico>> col termine, un po’ sprezzante, di <<socialismo utopistico>>.
17)          A. Dumas, Storia dei Borbone di Napoli, Ed. Marotta & Marotta, Napoli 2002. Questa naturalmente è una delle ultime edizioni in commercio. Il brano riportato è stato pubblicato anche sul giornale <<<L’Indipendente>> del 8 luglio 1863 ( anno III, n°149 ) p. 1 edito a Napoli in via Chiatamone.
18)          La Manifattura e la Scuola di Villa San Giovanni infatti si limitava al perseguimento di scopi limitati quali: la filatura e la commercializzazione della seta, a proposito va sottolineato che queste operazioni erano gestite interamente da privati. La sola formazione di artigiani specializzati era svolta da enti statali.
19)          Origine della popolazione di San Leucio – Suoi progressi fino al giorno d’oggi Colle Leggi Corrispondenti al buon Governo di Essa Di Ferdinando IV Re Delle Sicilie. Questa è la dicitura integrale del documento noto come lo Statuto di San Leucio.
Il documento consta di una sorta di un preambolo dal titolo: Origine e progressi della popolazione di San Leucio. In esso il sovrano indica le motivazioni e le finalità che lo hanno condotto alla fondazione della Reale Colonia. Il corpo centrale del documento è costituito dalle Leggi pel buon governo della popolazione di San Leucio. Aprono le Leggi le preghiere collettive: Per la mattina e Per la sera da recitarsi con l’ausilio di un coro. Il capitolo I indica i Doveri Negativi ( composti da tre paragrafi ) << I Doveri negativi – recita il testo – son quelli che impongono l’obbligo di astenersi dall’offender alcuni in qualunque maniera >>. Seguono i Doveri positivi ( composti da 5 capitoli e da 23 paragrafi).                                            << I doveri positivi – si legge nel testo – impongono di fare tutt’il maggior bene che si possa >>.   Nelle pagine successive sono indicati i Doveri verso Dio, verso se, verso gli altri, verso il re, verso lo Stato per uso delle Scuole Normali di San Leucio. Quindi l’ Orario per il tempo della Preghiera, Messa ed Esposizione al Santissimo per gli individui della popolazione di San Leucio. Chiude il Documento il Regolamento interno della Fabbrica. Il Documento, qui sinteticamente descritto, è riprodotto integralmente in Mario Battaglini, La fabbrica del re, l’esperimento di San Leucio tra paternalismo e illuminismo, cit., da p.65 a p. 125.
20)          Ivi, p. 80.
21)          Ivi, p. 107.
22)          L. Mongiello, San Leucio di Caserta, analisi architettonica, urbanistica e sociale, p. 81.
23)          N. Verdile, Utopia sociale Utopia economica Le esperienze di San Leucio e di New Lanark, G. E. L’Espresso, Roma 2009.    Nadia Verdile, nel testo qui citato, alla pagina 33, sostiene che << Dall’utopia sociale a quella economica. Il binomio San Leucio – New Lanark è ardito ma fortemente impiantato su un filo conduttore comune: il desiderio di migliorare le condizioni di vita della gente e della produzione in un contesto storico imbevuto di idee illuministiche>>.
24)          Robert Owen ( nato a Newtown (Montgomeryshire in Scozia il 14 maggio 1771, ivi morto il 17 novembre 1858 ). Filantropo ed esponente di spicco del movimento operaio britannico. Owen non professava alcuna confessione religiosa, egli era convinto che l’uomo fosse il prodotto dell’ambiente in cui vive. Da cui la convinzione che: la mutazione delle condizioni ambientali avrebbe consentito una società più giusta in senso ugualitario. Coerente con le sue idee, teorizzò un sistema di socialismo associazionista. Socialista riformista e gradualista, non sostenne mai la soppressione violenta del modo di produzione capitalistico bensì il superamento di questo attraverso l’organizzazione spontanea di piccole comunità federaliste dal punto di vista politico e cooperativistiche nel loro assetto economico.
25)          E. Zamiatin, Noi, Feltrinelli, Milano 1963.
26)          G. Orwell, 1984, Mondadori, Milano 1973.
27)          A. Huxley, Il mondo Nuovo, Mondadori, Milano 1981.
28)          Origine e progressi della popolazione di San Leucio … , in M. Battaglini, La fabbrica del re, l’esperimento di San Leucio tra paternalismo e illuminismo, cit., pp. 70-71.
29)          Ibidem.
30)          Ibidem.
31)          Ivi, p. 31.
32)          Leggi, in  Origine e progressi della popolazione di San Leucio … , in M. Battaglini, La fabbrica del re, l’esperimento di San Leucio tra paternalismo e illuminismo, cit., p 73.
33)          N. Verdile, Utopia sociale Utopia economica Le esperienze di San Leucio e di New Lanark, cit., p.49.
34)          Ibidem.
35)          M. Battaglini, La fabbrica del re, l’esperimento di San Leucio tra paternalismo e illuminismo, cit., p 33.
36)          P.D’Onofri, Vite di Santo Leucio, Napoli s.d., p.40 nota a.
37)          M. Battaglini, La fabbrica del re, l’esperimento di San Leucio tra paternalismo e illuminismo, cit., p 33.
38)          N. Verdile, Utopia sociale Utopia economica Le esperienze di San Leucio e di New Lanark, cit., p.47.
39)          Doveri positivi, in Origine e progressi della popolazione di San Leucio … , in M. Battaglini, La fabbrica del re, l’esperimento di San Leucio tra paternalismo e illuminismo, cit., p 82.
40)          Doveri verso noi medesimi, in in Origine e progressi della popolazione di San Leucio … , in M. Battaglini, La fabbrica del re, l’esperimento di San Leucio tra paternalismo e illuminismo, cit., p 94.
41)          Doveri verso il Principe o il Monarca, in   Origine e progressi della popolazione di San Leucio … , in M. Battaglini, La fabbrica del re, l’esperimento di San Leucio tra paternalismo e illuminismo, cit., p 99.
42)          Ivi, p. 100.
43)          Doveri verso lo Stato, in    Origine e progressi della popolazione di San Leucio … , in M. Battaglini, La fabbrica del re, l’esperimento di San Leucio tra paternalismo e illuminismo, cit., p 102.
44)           M. Battaglini, La fabbrica del re, l’esperimento di San Leucio tra paternalismo e illuminismo, cit., p.35.
45)          Ibidem.
46)          Gli effetti devastanti prodotti dalla Rivoluzione industriale sono bene analizzati da K. Polany in La grande trasformazione, Einaudi, Torino 1974. Nel testo, l’autore ricostruisce l’avvento del modo di produzione capitalistico nell’Inghilterra dell’Ottocento e le conseguenze devastanti per il tessuto sociale.
47)          R. Owen progettò e cercò di fondare microuniversi sociali che avrebbero dovuto servire da modelli alla società futura. Ancora trentenne con il sostegno di altri soci, Owen acquistò l’opificio di New Lanark e, nel periodo compreso fra il 1800 ed il 1825, tentò di condurre il cotonificio del villaggio scozzese di New Lanark, con l’intera popolazione, composta da più di 2000 abitanti, secondo i suoi principi ideali.
 Successivamente, nel 1825, si recò negli Stati Uniti d’America dove fondò nel la colonia di New Harmony fondata sugli stessi principi. Dopo pochi anni l’esperimento poteva dirsi però fallito e Owen tornò in patria, deciso tuttavia a realizzare almeno in parte il suo programma che, fra le altre cose, prevedeva: la riduzione delle ore di lavoro, la fissazione di un limite d’età per l’ammissione dei fanciulli al lavoro, l’istituzione di scuole laiche, la fondazione di casse pensioni e sussidî per i disoccupati.
 Nonostante il notevole interesse suscitato da queste proposte di riforme, che anticipavano di circa mezzo secolo la legislazione operaia, l’esempio non fu seguito e invano Robert Owen cercò di guadagnare alla sua causa varî governi. Sfiduciato dagli scarsi risultati ottenuti e impressionato dagli effetti dell’industrializzazione e della concorrenza, si volse allora allo sviluppo dell’associazionismo sindacale per cercare un nuova istituzione per la soluzione dei problemi sociali.
 Owen era convinto della sostanziale ingiustizia del profitto (oltre che della sua pericolosità, in quanto, escludendo i lavoratori da molti consumi, causa crisi di sovrapproduzione) e si proponeva di giungere all’abolizione di esso, sostituendo la moneta con dei labour notes e creando un sistema di scambio dei prodotti sulla base del lavoro in essi incorporato. Anche questa esperienza (Labour Exchange Bank, 1832-34) fallì in brevissimo tempo (anche perché si era lasciata ai lavoratori stessi la stima dei loro prodotti) e fu disciolta inoltre (1834) la Grand National Consolidated Trades Union in cui si erano raggruppate (1833), con programma owenista, le maggiori trades unions e che aveva avuto un così rapido sviluppo.   L’idea dell’abolizione del profitto attraverso la cooperazione sopravvisse però ai fallimenti realizzativi. Owen può, come il Fourier, è stato incluso dalla tradizione marxista nel novero dei socialisti utopistici, ma, forse è più giusto, includerlo fra i precursori del movimento cooperativistico e del socialismo gradualista e riformista.
48)          R. Owen, L’armonia sociale. Saggi sull’educazione, La Nuova Italia, Scandicci (Fi), pp. 149-160 ( R. Owen, Allocuzione alla grande assemblea pubblica tenuta il 1° maggio 1833 per denunziare l’antico sistema ed annunziare il nuovo).
49)          Ivi, p. 63.
50)          S. Stefani, Una colonia socialista nel Regno dei Borbone: la Colonia di San Leucio presso Caserta, s.e., Roma 1907.
51)          N. Verdile, Utopia sociale Utopia economica Le esperienze di San Leucio e di New Lanark, cit., p.33.
52)           Doveri verso il Principe o sia il Monarca, Origine e progressi della popolazione di San Leucio … , in M. Battaglini, La fabbrica del re, l’esperimento di San Leucio tra paternalismo e illuminismo, cit., p.99.
53)          M. Battaglini, La fabbrica del re, l’esperimento di San Leucio tra paternalismo e illuminismo, cit., p.34.
54)          Ibidem.
55)          Ivi, p.40
56)          N. Verdile, Utopia sociale Utopia economica Le esperienze di San Leucio e di New Lanark, cit., p.34.
57)          Doveri verso il principe o sia il Monarca, in Origine e progressi della popolazione di San Leucio  … , in M. Battaglini, La fabbrica del re, l’esperimento di San Leucio tra paternalismo e illuminismo, cit., p.99.
58)          Ricorso al prefetto di Caserta dell’11 dicembre 1878, in ASC.
59)          Durante la rivoluzione francese i repubblicani piantarono il primo albero della libertà nel 1790 a Parigi. Gli alberi della libertà vennero successivamente piantati in ogni municipio di Francia e anche in Svizzera e in Italia.
   Generalmente gli alberi della libertà erano piantati nella piazza principale della città. Molti di questi alberi furono sradicati una volta passato il periodo rivoluzionario. Tuttavia, pochissimi sono ancora presenti. Un decreto della Convenzione del 1792 ne regolava l’uso e l’addobbo: l’albero della libertà, che di fatto era un palo, era sormontato dal berretto frigio rosso e adorno di bandiere. Veniva usato per cerimonie civili: giuramento dei magistrati, falò di diplomi nobiliari e anche per festeggiamenti rivoluzionari come la danza della Carmagnola.

   L’albero della libertà rimase un simbolo della ideologia liberale repubblicana, e come tale venne talvolta impiantato anche negli anni successivi, in occasione di eventi repubblicani. Per esempio a Ravenna il 15 febbraio 1849, in piazza del Popolo, per festeggiare la nascita della Repubblica romana, avvenuta pochi giorni prima, venne impiantato un nuovo albero della libertà nel medesimo posto di quello eretto nel 1797 durante il periodo napoleonico. (Cfr. G. Mingozzi, Viva Garibaldi, Celebrazioni ravennati del bicentenario della nascita,  Fondazione Museo del Risorgimento di Ravenna e dal Comune di Ravenna, 2009, p. 51). On line : wikipedia.org/wiki/Albero_della_libertà.

Ludovico Martello

 

Ludovico Martello
Ludovico Martello
Saggista. Si è laureato in Sociologia presso la Facoltà di Lettere e Filosofia dell'Università degli Studi di Napoli Federico II. Autore di numerosi saggi sul processo di Modernizzazione. E' stato ricercatore a contratto presso la Luiss Guido Carli di Roma, ha insegnato Filosofia della politica, con contratto annuale, presso l'Università degli Studi del Sannio. Cofondatore dei magazine web "PoliticaMagazine.info” e "PoliticaMagazine.it”
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