
Alcuni di noi, forse mossi dall’invidia per il cospicuo emolumento che i suddetti ambasciatori ricevevano, e ricevono tuttora, hanno etichettato la professione diplomatica come un qualcosa di noioso, poco interessante, i più rivoluzionari, come sempre, l’hanno definito uno strumento del potere globale, insomma l’ennesima «sovrastruttura» dello Stato liberal borghese. Altri, invece, mossi non solo dall’aspetto economico ma anche dall’aspirazione di viaggiare intorno al mondo per conoscere persone importanti, famose e potenti hanno tentato, tentano e tenteranno di diventare un ambasciatore, magari anche un Premio Nobel per la Pace.
In questi tempi «liquidi», per usare un’espressione cara non solo a Zygmunt Bauman ma anche ad alcuni esponenti illustri dell’attuale scenario politico italiano, anche la figura dell’ambasciatore subisce un notevole cambiamento, tanto che gli Stati Uniti d’America hanno escogitato una probabile arma a doppio taglio per intensificare i rapporti diplomatici con la Corea del Nord. Infatti, ospite della corte del presidente Kim Jong-Un è stato Dennis the Worm Rodman. Capisco che, forse, per i lettori tale nome non dica nulla, ma per chi, come me, è cresciuto con il mito di Michael Jordan e i suoi Bulls e che nell’era di internet ha cercato di recuperare quegli anni che la poca evoluzione tecnologica dei suoi dieci anni gli aveva sottratto, questo nome fa rabbrividire.
L’uomo più esuberante, stravagante di tutto lo sport professionistico americano viene fatto accomodare vicino al presidente nord-coreano, perché quest’ultimo ha la stessa passione di molti adolescenti, ragazzi, adulti, vecchi e bambini dell’intero globo: la pallacanestro a stelle e strisce.
Sì perché, Rodman è stato uno dei più grandi rimbalzisti della storia della pallacanestro americana, vincitore di ben 5 campionati NBA, giocando con le squadre più famose: dai Bad Boys dei Detroit Pistons ai leggendari Bulls di Jordan, passando per i famosissimi Los Angeles Lakers ai San Antonio Spurs. Oltre i meriti sportivi, le sue stravaganze lo precedono. I tatuaggi e gli innumerevoli piercing sono solo la punta dell’iceberg di una personalità eccentrica; basti pensare, che per richiamare l’attenzione di un guru della pallacanestro Phil Jackson (suo allenatore ai tempi dei Bulls), ha iniziato, senza più smettere, a dipingersi i capelli di qualsiasi colore, si va dal fucsia al verde acceso, dal rosso elettrico alla tinta leopardata, modificando completamente qualsiasi legge estetica e cromatica esistente; ha anche pensato bene di sposarsi con se stesso, presentandosi a questa insolita e originale funzione vestito da sposa. In alcune sue uscite recenti ha dichiarato di essere la persona più famosa al mondo dopo: Gesù, Martin Luther King e Obama.
Ora, però, dopo la sua nuova veste diplomatica, si sente addirittura pronto per la candidatura al Premio Nobel per la Pace.
Purtroppo, le ultime dichiarazioni, in occasioni del compleanno di Kim Jong-Un, hanno scosso il panorama del politically correct, facendo storcere il naso non solo agli americani ma buona parte del mondo occidentale. Infatti, the Worm, il verme, che è il suo soprannome, si è presentato ad una conferenza stampa, prima dei festeggiamenti, dove ha affermato che Kenneth Bae, missionario americano detenuto nel paese orientale, senza alcun motivo, si merita il trattamento che sta subendo; successivamente, il suo portavoce si è scusato per la forte affermazione ma il suo assistito era stressato e sotto l’effetto di alcool e che, purtroppo, non poteva fare nulla per il povero Bae.
Kim Jong-Un è stato, fin da giovane, mentre frequentava un prestigiosissimo college svizzero tifoso di Rodman, per questo motivo gli Stati Uniti (ma anche la società di scommesse Paddy Power) hanno pensato di usufruire dell’aiuto della super star NBA per allentare i tesi rapporti diplomatici tra i due paesi. Il problema è che Rodman è incontrollabile.
Ultimamente, per festeggiare il compleanno del giovane dittatore, Rodman ha organizzato una partita di pallacanestro tra alcune vecchie glorie NBA e la nazionale nordcoreana e la cerimonia è stata aperta dallo stesso Rodman, che ha cantato Happy Birthday al presidente Kim Jong-Un, proprio come Marilyn Monroe al presidente J.F. Kennedy.
Certo le parole al miele rilasciate da Rodman per il governo di Pyongang lasciano un po’ d’amaro in bocca a chi sperava che l’intervento dell’ex giocatore potesse permettere un’apertura della Nord Corea, anche se è preferibile uno stravagante cestista a un’armata per esportare la democrazia.
Vito Varricchio