Vincenzo Cuoco e il totalitarismo giacobino

Per gentile concessione dell’autore e della redazione Archivio Storico del Sannio , riceviamo e pubblichiamo volentieri di seguito il saggio del prof. Ludovico Martello Vincenzo Cuoco e il totalitarismo giacobino ( tratto da Archivio Storico del Sannio anno XII n°1 gennaio - giugno 2007 ESI Napoli)

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A mo’ di conclusione

Nelle migliori librerie del centro cittadino è possibile, cercando con diligenza, trovare, su un polveroso scaffale, una rara e sgualcita copia del Saggio storico sulla rivoluzione di Napoli. Qui giace, di solito, relegata in un angolo recondito, in rigoroso ordine alfabetico, fra un’anonima storia del Regno di Napoli e le Memorie di un eccentrico autore napoletano d’altri tempi. Una sistemazione, a dir poco, disattenta. Certo, ogni libraio è responsabile per le proprie scelte, ma coloro che hanno ispirato questo crimine culturale risiedono altrove. Una tale collocazione del testo rispecchia fedelmente il posto assegnato a Cuoco dalla provinciale intellighentia nostrana, prima post-crociana e, ora, post-gramsciana, che si ostina a rileggere il pensatore molisano come un colto ed ambiguo testimone di quel tragico evento politico partenopeo. Un autore in più da citare nei frequenti ed inutili convegni sulla Questione meridionale. Essi non si sono accorti, dopo appena due secoli, e, ovviamente, non hanno ancora avvertito il libraio, che i testi di Cuoco vanno collocati, certo non tralasciando il rigoroso ordine alfabetico, fra la lettera B – come Bobbio – e la lettera M – come Machiavelli. In quello scaffale che, all’altezza dello sguardo del lettore, mostra le opere dei maggiori pensatori di scienza della politica di tutti i tempi da Aristotele a Popper.

Si spera che dalla nostra rilettura ragionata del Saggio storico, grazie alla testimonianza resa delle numerose e lunghe citazioni, risulti plausibile la seguente ipotesi di classificazione della figura, del pensiero e dell’opera di Vincenzo Cuoco: un epigono di Machiavelli ed un antesignano di Popper.

Cuoco, e bene ripeterlo, è stato uno scienziato sociale che ha osservato gli avvenimenti politici con un approccio epistemologico di tipo comparativo-induttivo, tipico metodo delle scienze naturali nell’Età dei Lumi. Sordo al richiamo delle metanarrazioni, egli si è inoltrato, fra i primi, in quel mondo disincantato che sarebbe stato descritto, con toni diversi prima da Nietzsche e poi da Weber. Cuoco esplora quel mondo ordinato dalla progressiva e vertiginosa affermazione della ragione. Seguendo le orme di Machiavelli, egli comprende che la scienza politica è legittimata a formulare giudizi concernenti esclusivamente la razionalità dell’azione rispetto allo scopo. Anticipando le conclusioni popperiane, egli osserva che l’approccio scientifico non può consentire all’agire politico né di fondare valori assoluti né di indicare la via escatologica per la purificazione del mondo dal Male. Egli scopre, attraverso la comparazione storica, che ogni qual volta il programma politico intende tramutarsi in progetto etico risulta inevitabile instaurare l’uso pedagogico del Terrore per la rigenerazione della natura umana. Quindi, individua e denuncia i sintomi della sindrome totalitaria presenti nel programma giacobino. Il programma prevede, infatti, l’adesione entusiastica ad una verità salvifica posseduta dal Partito unico che intende farsi Stato. E una volta Stato, assorbire l’individuo in un organicistico sistema. Un Tutto, ordinato burocraticamente, finalizzato a regolamentare tutti i singoli aspetti dell’esistenza negandone ogni pratica di quelle libertà, ritenute ormai inutili e dannose in quanto possono ostacolare la marcia verso la realizzazione di un Totalmente Altro esente da ogni imperfezione. Una realizzazione che prevede, in una visione ecumenica, la conversione di altri popoli attraverso una guerra totale dichiarata, paradossalmente, come atto di liberazione.

Cuoco rifiuta tutto questo! L’esercito francese resta un esercito di occupazione. L’ideologia giacobina, oltre che inaccettabile per i suoi principi totalizzanti, risulta un corpo estraneo al sistema di credenze e di valori della nazione italiana.

Al rivoluzionarismo esogeno e totalitario dei giacobini, l’autore del Saggio contrappone un progetto di rinnovamento endogeno che contiene in sé gli anticorpi in grado di contrastare i germi della sindrome totalitaria. Egli individua la presenza di tali anticorpi nella Città autonoma del Basso medioevo. L’Italia dei Comuni è stato il primo centro di poliarchia politica e di policentrismo economico e culturale. E su questa tradizione che egli intende elaborare un percorso di rinnovamento che garantisca: le libertà individuali, la competizione economica, la pratica del dissenso culturale, l’istituzionalizzazione del dissenso. Con l’affermazione di questi principi, Cuoco indica, con quasi due secoli d’anticipo, proprio alcuni dei tratti caratterizzanti quel particolare sistema sociale che Popper avrebbe definito: società aperta.

Cuoco non si è limitato quindi a narrarci un tragico episodio di storia del Mezzogiorno, ma movendo dall’indagine scientifica sulla rivoluzione di Napoli egli ha redatto un prezioso testo universale di scienza della politica. Egli ha dimostrato che la scienza politica non può essere altro che un sapere avalutativo e nomologico. A queste condizioni, essa rappresenta lo strumento indispensabile per consentire quella particolare ingegneria istituzionale in grado di disegnare modelli di organizzazione sociale nei quali siano garantite le condizioni per il libero confronto fra i diversi paradigmi politici.

Ludovico Martello

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