La lettura dell’articolo di Gaetano Pecora, pubblicato da il Riformista (5/5/2006) in occasione dalle celebrazioni per il bicentenario della nascita di John Stuart Mill, suscita una serie di dubbi sulla pratica concreta della libertà individuale e sui suoi confini sociali.
Pecora, citando Mill – e condividendone integralmente le riflessioni sulla libertà individuale – afferma che:<<su se stesso, sulla sua mente e sul suo corpo, l’individuo è sovrano>>. Diversamente, la pratica sociale di una tale sovranità – ricorda Pecora – è indicata quale causa prima della disgregazione sociale da parte del magistero ecclesiastico, quando esso avverte che se << la soggettività viene elevata a criterio ultimo dell’agire>> allora <<la libertà rinnega se stessa e si autodistrugge >>.
Evitando con cura tanto l’ateismo salottiero quanto il fideismo integralista del convertito neofita in attesa di mancia; leggendo e ruminando sull’inconciliabilità dei concetti di libertà individuale espressi dall’universo laico e da quello clericale, sgorgano irrefrenabili dalla mente considerazioni e dubbi.
Prima considerazione: entrambe le posizioni sono pienamente legittime quando si rivolgono rispettivamente ed esclusivamente ai propri associati. Senza invasioni di campo! Seconda considerazione: ogni forma di convivenza civile necessita di valori e di norme, previste di sanzioni, che regolino il rapporto fra gli individui e fra questi e lo Stato.
Il dubbio: quali sono i limiti entro i quali la libertà resta individuale, tale da non produrre conseguenze nefaste sull’altro? Quei limiti oltre i quali l’agire sociale si tramuta nella pratica del conflitto permanente e dell’arbitrio. A volte troppo ampi quelli indicati da un liberalismo radicale che rinuncia alla tutela degli individui più fragili e socialmente meno fortunati. Certamente troppo angusti quelli fissati dall’ortodossia ecclesiastica.
Un problema: per esempio il suicidio. <<Vi è solamente un problema filosofico veramente serio – sosteneva A. Camus – il suicidio>>. La rinuncia volontaria al proprio diritto naturale all’esistenza. Domanda: si può consentire ad ogni individuo, in qualunque momento dell’esistenza di porre fine ai propri giorni? Ad un adolescente per il rimprovero di un insegnante? Ad un innamorato deluso? Ad un anziano stanco?
In quali casi il suicidio può essere consentito quale estrema pratica della libertà soggettiva? Il magistero ecclesiastico cattolico, in proposito non ha dubbi: <<Mai!>>. Il suicidio resta, in ogni caso, un peccato mortale che non consente il riposo nella terra consacrata e che chiude per sempre le porte del Paradiso. In tal caso – vien da chiedere – tutti i martiri, che si sono volontariamente immolati per la Fede, dove riposano?
I laici onorano i loro eroi, la Chiesa commemora i propri martiri, qual’è il suicidio giusto? La risposta potrebbe essere imbarazzante in tempi di kamikaze!
Banali riflessioni, anche mal poste data la brevità della trattazione. Ma una cosa è certa: l’intervento di Pecora fornisce più dubbi che risposte.
Ludovico Martello