Suggerimenti per un riformismo possibile
La più totale incomunicabilità, provocata dalla profonda lacerazione nella trama sociale delle credenze, fra le elités rivoluzionarie e le masse popolari, è indicata dall’autore del Saggio come il peccato originario commesso dai giacobini napoletani. Ma, l’errore ancora più grave, che essi commisero, e che avrebbe prodotto una cascata di effetti esiziali per la Repubblica, fu quello successivo di non preoccuparsi di ricucire una tale lacerazione. << Il primo passo in una rivoluzione passiva è quello di guadagnar l’opinione del popolo; il secondo è quello di interessare nella rivoluzione il maggior numero delle persone che sia possibile>>,33 precisa l’autore del Saggio. Ed invece: tutt’altro! Ogni provvedimento adottato dai governanti della neonata Repubblica aumentava il conflitto fra le classi sociali ed alimentava il risentimento di tutti i governati.
Guidati dall’etica della convinzione piuttosto che dall’etica della responsabilità, i governatori della neonata Repubblica, fedeli esclusivamente alla loro ideologia palingenetica, intenzionati a rifondare la realtà in tutti i suoi aspetti secondo precisi valori prefissati e irrinunciabili, non si preoccuperanno di valutare gli effetti delle loro decisioni politiche in relazione al mutamento delle condizioni reali di vita della popolazione ed alla formazione del consenso nei confronti del governo. Ma, avverte Cuoco, in proposito, << Quando colui che dirige una rivoluzione vuol tutto riformare, cioè vuol tutto distruggere, allora ne avviene che quelli istessi, i quali bramano la rivoluzione per una ragione, l’aborrono per un’altra: passato il primo momento di entusiasmo ed ottenuto l’oggetto principale (…) incomincia a sentirsi il dolore di tutti gli altri sacrifici che la rivoluzione esige. (…) Comincia ad ascoltare l’interesse privato; (…) Ciascuno valuterà più quello che ha perduto che quello che ha guadagnato. Le volontà individuali si cangiano, incominciano a discordar tra loro >>.34
Accecati dall’ideologia, i rivoluzionari ignoravano i concreti bisogni del popolo, mentre avrebbero potuto conquistarlo con un programma di riforme progettate e realizzate con consapevolezza. << Ecco tutto il segreto delle rivoluzioni: – suggerisce l’autore del Saggio – conoscere ciò che il popolo vuole, e farlo; egli allora vi seguirà: distinguere ciò che vuole il popolo da ciò che vorreste voi, ed arrestarvi tosto che il popolo più non vuole; egli allora vi abbandonerebbe. (…). La mania di voler tutto riformare – egli conclude – porta seco la controrivoluzione. (…). Sapete allora perché si segue un usurpatore? Perché rallenta il rigore delle leggi; perché non si occupa che di pochi oggetti, che sottopone alla volontà sua, la quale prende il luogo ed il nome di “volontà generale”, e lascia tutti gli altri alla volontà individuale del popolo.>>.35
A questo punto della sua esposizione, Cuoco passa in rassegna, una dopo l’altra, le iniziative riformatrici, o meglio rifondative, operate dal governo repubblicano nei vari settori del sistema sociale. Egli ne evidenzia i limiti e propone correttivi. Il criterio che guida la formazione dei suoi giudizi per stabilire la validità di una riforma è semplice: ogni iniziativa adottata è valida se risponde ai bisogni concreti del popolo, viceversa è sbagliata se persegue la realizzazione di astratti principi non condivisi dalla maggioranza della popolazione. Un esempio, in proposito, è costituito dall’azione del governo repubblicano nell’ambito religioso: << In Napoli – racconta Cuoco – era facile far delle riforme sulle ricchezze del clero tanto secolare quanto regolare. Una gran parte della nazione era in lite col medesimo per ispogliarlo delle sue rendite, né il rispetto per la religione e per i suoi ministri l’arrestava. Perché dunque, – egli si chiede con artificio retorico – quando queste riforme si vollero tentare dalla repubblica, furono odiate? Perché i nostri repubblicani, – egli risponde – seguendo sempre idee tropo esagerate volean far due passi nel tempo in cui ne doveano far uno: l’altro avrebbe dovuto venir da sé, e sarebbe venuto. Ma essi, mentre voleano spogliare i preti, volean distruggere gli dei; si unì l’interesse dei primi e dei secondi, e si rese più forte la causa dei primi.>>.36 Come se non bastasse, la formulazione delle legge per l’esproprio dei ben ecclesiastici era talmente astratta da risultare quasi del tutto priva di precise norme attuative. << La legge – egli nota – nulla determinava: il suo silenzio proteggeva le persone ed i beni degli ecclesiastici; quindi quei pochi agenti del governo, che volean dar sfogo alle loro idee proprie, si doveano restringere agli insulti. Or gli insulti ricadono più direttamente contro gli dèi, e le operazioni contro gli uomini. La condotta di molti repubblicani era tanto più pericolosa quanto che si restringeva alle sole parole: mentre si minacciavano i preti, si lasciavano; ed essi ripetevano al popolo che gli agenti dl governo l’aveano più colla religione che coi religiosi, perché, mentre si lasciavano i beni, si attaccavano le opinioni. Si avrebbe – conclude mestamente l’autore – far precisamente il contrario, ed allora tutto sarebbe stato nell’ordine.>>.37
Ancora un prova di parzialità da parte dei governanti. Per la formazione della Guardia Nazionale, nei primi giorni della Repubblica, furono respinte tutte le domande di adesione presentate da coloro che non avevano direttamente preso parte alle fasi del processo rivoluzionario, per la selezione, infatti, ci si attenne ad un rigido criterio di << parzialità>> ispirato alla adesione ideologica ed alla militanza politica. << Nei primi giorni della nostra repubblica – ricorda l’autore del Saggio – infiniti furono quelli che diedero il loro nome alla milizia nazionale: rispettabili magistrati, onestissimi cittadini, i principali tra i nobili, quanto insomma vi era di meglio nella città, disperando dell’abolito governo, voleva farsi un merito col nuovo. Conveniva ammetterli: si sarebbe ottenuto il doppio intento di compromettere molta gente e di guadagnare l’opinione del popolo: in ogni evento infelice, il libro che conteneva i loro nomi avrebbe forse potuto formar la salute di molti. Ma – egli scrive, proseguendo nella sua accorata e critica ricostruzione degli avvenimenti – si volle spingere la parzialità anche nella formazione della guardia nazionale: allora il maggior numero si ritirò, e non si ebbe l’avvertenza neanche di conservare il libro che conteneva i loro nomi>>.38 Questa procedura selettiva si rivelerà esiziale per le sorti della Repubblica quando si tratterà di difenderla dai nemici, e suicida per i patrioti.
Il provvedimento governativo, adottato dalla neonata repubblica, che destò il risentimento più rancoroso nella popolazione fu la riforma del sistema dell’elaborazione e riscossione delle imposte. Essa prevedeva una sorta di relazione inversamente proporzionale fra l’adesione ideologica alla rivoluzione repubblicana e le imposte da pagare all’erario. In altri termini: partendo dall’esenzione per i patrioti di provata fede, le imposte aumentavano gradualmente mano a mano che l’entusiasmo per la causa si intiepidiva. << Ma chi potrebbe esporre il modo, quasi direi capriccioso, col quale un’imposizione per se stessa smoderata fu ripartita? – si domanda Cuoco in una delle pagine che raccontano un episodio che potrebbe definirsi farsesco se non fosse parte di avvenimenti drammatici – . Nulla era più facile – egli scrive, proseguendo nel ragionamento – che seguire il piano della decima che già esigeva il re, e proporzionare così la nuova imposizione alla quantità dei beni che nell’officio della decima trovavasi già liquidata. Si videro famiglie milionarie tassate in pochi ducati, e tassate in somme esorbitantissime quelle che nulla possedevano: ho visto la stessa tassa imposta a chi avea sessantamila ducati all’anno di rendita, a chi ne avea dieci, a chi ne avea mille. Le famiglie dei patrioti si vollero esentare, mentre forse era più giusto che dessero le prime l’esempio di contribuire con generosità ai bisogni della patria. Si cangiarono tutte le idee: ciò che era imposizione fu considerato come una pena, e non si calcolarono tanto i beni quanto i gradi di aristocrazia che taluno avea nel cuore. “ Noi tassiamo l’opinione” risposero i tassatori ad una donna che si lagnava della tassa imposta a suo marito, il quale, non avendo altro che il soldo di ufficiale, fuggendo il re, avea perduto tutto. Si tenne da coloro ai quali il governo avea commesso l’affare una massima che appena si sarebbe tollerata in un generale di un’armata vittoriosa e nemica. Una tassa imposta sul pensiero apriva tutto il campo all’arbitrio. Questo è il male che producono le imposizioni male immaginate e mal dirette; quando anche evitate l’ingiustizia, non potete evitare il sospetto che producono sul popolo gli effetti medesimi dell’ingiustizia >>.39
Per la riorganizzazione delle Province fu creata la figura del “democratizzatore”, essa era costituita da giovani inesperti di procedure amministrative, ma armati di una “ carta di democratizzazione”. Questi volenterosi, animati esclusivamente dal sacro furore della loro fede rivoluzionaria, inondarono la periferia del territorio del Regno, intenzionati a realizzare in quei luoghi remoti i primi nuclei di un utopico Mondo Nuovo. Cuoco prende spunto dal racconto di questi episodi per denunciare la cecità operativa dei governanti repubblicani, i quali, in preda ad una sorta di esaltazione mistica, prodotta da un sistema ideologico che non consentiva dubbi, esercitavano il potere con la presunzione di poter pianificare ogni iniziativa riformatrice dall’alto per realizzare un sistema sociale esente da ingiustizie, un sistema pensato dalla testa di pochi eletti che avevano stabilito una volta per tutte che cosa fosse il Bene e che cosa fosse il Male. Essi procedevano punendo e premiando, ma evitando accuratamente la controrivoluzionaria necessità di tener conto della realtà e dei bisogni concreti della popolazione.
Ma, lasciamo, ancora una vota, all’autore il racconto di quegli eventi: << Forse il miglior metodo per organizzare le province era quello di far uso delle autorità costituite che già vi erano.>>. Egli afferma in una di quelle memorabili pagine che trasudano realismo politico. << Tutte le province avevano di già riconosciuto il nuovo governo: le antiche autorità o conveniva distruggerle tutte, o tutte conservarle. Non so quale di questi due mezzi sarebbe stato il migliore: so che non si seguì né l’uno né l’altro, ed i consigli mezzani non tolsero i nemici né accrebbero gli amici.
Con un proclama del nuovo governo – egli nota, evidenziandone le contraddizioni – si ordinò a tutte le antiche autorità costituite delle province che rimanessero in attività fino a nuova disposizione. Intanto s’inviarono da per tutto dei “democratizzatori”, i quali urtavano ad ogni momento la giurisdizione delle autorità antiche; e, siccome queste erano ancora in attività, rivolsero tutto il loro potere a contrariar le operazioni dei democratizzatori novelli. In tal modo si permise loro di conservar il potere, per rivolgerlo contro la repubblica, quando ne fossero disgustati; e s’inviarono i democratizzatori perché avessero un’occasione di disgustarsi.>>40.
Quindi, proseguendo nell’esposizione dei fatti con il tono di chi consapevolmente sfida le astruserie razionalistiche con la semplicità disarmante dell’ovvietà, si domanda: << Quale strana idea era quella dei democratizzatori? Io non ho mai compreso il significato di questa parola. S’intendeva forse parlar di coloro che andavano ad organizzar un governo in una provincia? Ma di questi non ve ne abbisognava al certo uno per terra. S’intendeva di colui che andava, per così dire, ad organizzare i popoli e rendere gli animi repubblicani? Ma questa operazione, né si potea sperare in breve tempo né richiedeva un commissario del governo. Le buone leggi, i vantaggi sensibili che un nuovo governo giusto ed umano procura ai popoli, le parole di pochi e saggi cittadini, che, vivendo senz’ambizione nel seno delle loro famiglie, rendosi per le loro virtù degni dell’amore e della confidenza del loro simili, avrebbero fatto quello che il governo da sé né dovea tentare né potea sperare.
Quando voi volete produrre una rivoluzione, – argomenta e suggerisce l’autore del Saggio – avete bisogno di partigiani; ma, quando volete sostenere o menare avanti una rivoluzione già fatta, avete bisogno di guadagnare i nemici e gl’indifferenti. Per produrre la rivoluzione, avete bisogno della guerra, che sol colle sètte si produce; per sostenerla, avete bisogno della pace, che nasce dall’estinzione di ogni studio di parti. A persuadere il popolo sono meno atti, perché più sospetti, i partigiani che gl’indifferenti. Quindi è che, in una rivoluzione passiva, voi dovete far più conto di coloro che non sono dalla vostra che di quelli che già ci sono; e, siccome fu un errore e l’istituzione della commissione censoria e la prima pratica seguita per la formazione della guardia nazionale, perché tendevano a ristringer le cose tra coloro soli che eran dichiarati per la buona causa, così fu anche un errore, e fu frequente presso di noi, l’impiegare colui che volontariamente si offeriva, in preferenza di colui che volea esser richiesto, ed il servirsi dell’opera dei giovani anziché di quella degliuomini maturi. Non quelli che con facilità, ma bensì che con difficoltà guadagnar si possono, sono coloro che più vagliono sugli animi del popolo. (…). – Ed invece, egli conclude – Giovanetti inesperti, che non avevano veruna pratica del mondo, inondarono le province con una “carta di democratizzazione” >>. 41 Come tutti i governi sorti da una rivoluzione anche quello della Repubblica partenopea, privo ancora di una legittimità condivisa e di un consenso diffuso, dovette far ricorso prima alle leggi marziali e poi alle pratiche del terrore con l’azione del “tribunale speciale” per difendersi dai nemici esterni e da quelli che il conflitto fra le varie fazioni rivoluzionarie generava al suo interno. Cuoco esprime un giudizio di condanna durissimo che non concede attenuanti alla pratica del terrore pedagogico: << Il terrorismo è il sistema di quegli uomini che vogliono dispensarsi dall’esser diligenti e severi; che, non sapendo prevenire i delitti, amano punirli; che, non sapendo render gli uomini migliori, si tolgono l’imbarazzo che danno i cattivi, distruggendo indistintamente cattivi e buoni. Il terrorismo lusinga l’orgoglio, perché è più vicino all’impero; lusinga la pigrizia naturale degli uomini, perché è molto facile. Ma richiede sempre la forza con sé: ove questa non vi sia, voi non farete che accelerare la vostra ruina. Tale era lo stato di Napoli. >>.42