Il Socialismo etico di Francesco Saverio Merlino

Per gentile concessione dell’autore e della redazione Archivio Storico del Sannio , riceviamo e pubblichiamo volentieri di seguito il saggio del prof. Ludovico Martello Il socialismo etico di Francesco Saverio Merlino ( tratto da Archivio Storico del Sannio anno XII n°1 nuova serie gennaio - giugno 2008 ESI Napoli).

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La militanza socialista

    Confortato dai consensi ricevuti, Merlino decise che fosse giunto il momento di abbandonare l’isolamento teorico che aveva caratterizzato gli ultimi anni della sua esistenza e di rituffarsi nell’attività politica. All’alba del nuovo secolo fondava il periodico mensile << Rivista critica del socialismo >> ed aderiva al Partito socialista con l’intento di distogliere i socialisti e gli anarchici italiani dall’adesione acritica e dogmatica alle tesi marxiane. L’azione politica di Merlino, come era prevedibile, non riscosse le adesioni che avevano suscitato le sue opere. Il periodico, nonostante la collaborazioni di alcuni dei maggiori teorici del tempo –  fra i quali Eduard Bernstein, Georges Sorel, Arturo Labriola, Luigi Einaudi – fu oggetto di attacchi feroci da parte dei marxisti italiani. Leonida Bissolati, allora direttore dell’ <<Avanti!>>, definì Merlino, in un memorabile articolo, uno << spostato>>. Antonio Labriola, custode dell’ortodossia marxiana in Italia, scrisse prima a Kautsky, leader della Seconda Internazionale, e, successivamente, si rivolse a Bernstein per dissuaderlo dal continuare la sua collaborazione alla rivista merliniana.

    Nonostante la durezza dello scontro con le ortodossie anarchiche e socialiste, Merlino continuava ad aiutare i “compagni” in difficoltà. Così, dopo il rifiuto espresso da Filippo Turati, accettava di difendere l’anarchico Gaetano Bresci per l’assassinio del re Umberto I. Anche in quest’occasione si batté fino allo stremo delle forze, pur non condividendo il gesto omicida.

    La militanza di Merlino nel partito socialista fu caratterizzata soprattutto dall’ aspra polemica con Filippo Turati. All’ipotesi turatiana del collettivismo parziale, l’autore di Pro e contro il socialismo replicava con un opuscolo dal titolo Collettivismo, Lotta di classe e… Ministero! ( controreplica a F.Turati): << L’on. Turati prendendo il coraggio a due mani, mi risponde sul tema del collettivismo e – scriveva Merlino riportando integralmente un’affermazione del leader socialista –  mi sostiene questo: “ organizzazione unitaria dei grandi rami della produzione con la conseguente determinazione dei valori di cambio scientificamente e democraticamente stabilita in base al doppio criterio del tempo socialmente utile necessario a creare l’unità del prodotto e dei bisogni sociali “ >>. A  tali affermazioni, proseguendo nel suo ragionamento, Merlino ribadiva: << Il Turati parla di bisogni sociali, ma i bisogni sono di loro natura individuali e personali: e solo l’individuo può determinare quelli ai quali dare a un dato momento la preferenza. Ogni ingerenza della pubblica amministrazione nella scelta dei consumi sarebbe tirannia >>.[46]

    Deciso più che mai ad avviare nel partito il processo di emancipazione dal cosiddetto socialismo scientifico, Merlino partecipava come delegato della sezione di Napoli, insieme con Arturo Labriola ed Enrico Leone, al congresso nazionale del Partito socialista che si tenne ad Imola nel 1902. Gli echi della polemica con Turati aleggiavano nella sala. Quando salì alla tribuna per esprimere il proprio dissenso  nei confronti del parziale collettivismo turatiano, dalla platea si levarono prima brusii, poi un frastuono sempre più ostile fino a coprire la sua voce. I delegati socialisti avevano, così, indicato la loro scelta fra i due diversi modi di intendere il socialismo: avevano bocciato il modello libertario.

    Merlino faceva un ultimo tentativo: nel 1904 si candidava, nelle liste del Partito socialista, alle elezioni politiche. Non fu eletto. Anche gli elettori socialisti avevano respinto il modello libertario del socialismo. Certamente sconfitto, ma non certo vinto, Merlino ritornava alla sua professione di avvocato ed ai suoi studi. In una lettera, scritta in occasione del congresso socialista tenutosi a Roma nel 1906 e pubblicata dall’ <<Avanti!>>, egli spiegava le ragioni del suo dissenso dal Partito e si autodefiniva: riformista rivoluzionario.

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