Il Socialismo etico di Francesco Saverio Merlino

Per gentile concessione dell’autore e della redazione Archivio Storico del Sannio , riceviamo e pubblichiamo volentieri di seguito il saggio del prof. Ludovico Martello Il socialismo etico di Francesco Saverio Merlino ( tratto da Archivio Storico del Sannio anno XII n°1 nuova serie gennaio - giugno 2008 ESI Napoli).

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L’ultima battaglia: L’opposizione al fascismo

    Gli anni che seguirono furono anni di isolamento politico. Ma non per questo l’autore dell’Utopia collettivista si astenne dall’ esprimere, nei rari articoli che pubblicava, analisi e giudizi sulle vicende politiche del Paese. Condannò l’avventura coloniale dell’Italia. Si dichiarò contrario alla partecipazione italiana al primo conflitto mondiale.

    L’ascesa del fascismo sollecitò in lui le sopite energie. Prese a collaborare, con rinnovato vigore, al quotidiano << Umanità Nova >> diretto da Malatesta ed alla rivista <<La Critica Politica>> del repubblicano Oliviero Zuccarini.  Il suo impegno militante lo profuse percorrendo, senza soste, i tribunali della penisola. Freneticamente da un’aula all’altra, a rischio della propria incolumità personale, per difendere gli antifascisti.

    Nel 1924, Merlino consegnava alle stampe Fascismo e Democrazia. Il volume fu pubblicato in forma di opuscolo dalla rivista << Pensiero e volontà>> fondata e diretta da Malatesta. Questi stilò, per l’occasione, una propria prefazione al testo merliniano.  La comune opposizione alla dittatura fascista aveva ristabilito una nuova intesa politica fra i due vecchi compagni. La diversità delle opinioni non aveva mai indebolito il profondo affetto e la stima intellettuale che li legava. << Merlino – notava Malatesta – (…) cade nell’errore comune dei democratici: si preoccupa più del popolo che degli uomini che costituiscono la popolazione >>. Ed, inoltre, non si comprende, osservava ancora Malatesta, << lo strano ottimismo>>, manifestato da Merlino, << sulla “democrazia” e sulla “libertà” vigenti in Inghilterra >>. Eppure, nonostante le diversità di opinioni, concludeva Malatesta: << Il lavoro del Merlino è così ricco d’idee e spira tale aria di sincero amore del bene generale che noi lo ringraziamo di avercelo dato, e lo pubblichiamo con la convinzione di portare un notevole contributo alla cultura politica degli italiani>>.[47] E questo contributo può valere, ancora oggi, come una basilare lezione di democrazia. Alla vigilia dell’assassino di Giacomo Matteotti, quando il regime non aveva ancora mostrato il suo vero volto: il volto della barbarie, e mentre Benedetto Croce sedeva ancora nelle aule del Parlamento, Merlino – dopo aver tracciato il funzionamento di un ipotetico Stato democratico –  osservava: << Questo, grosso modo, è nelle sue linee generali l’ordinamento democratico, che potrà funzionare in avvenire; (…) . Si dirà che questo ordinamento è poco diverso dall’attuale: che l’Assemblea Nazionale somiglia molto al nostro Parlamento, che il Comitato di Governo somiglia ad un Consiglio di Ministri (…) . Si è vero; ma – egli avvertiva – la somiglianza è dal volto alla maschera, dalla sostanza all’apparenza, dalla verità alla finzione. (…). Noi abbiamo oggi le forme della Democrazia, ma non abbiamo la Democrazia. Abbiamo il corpo, non lo spirito, un corpo che è quasi un cadavere>>.[48]

    Fra le cause che avevano determinato l’ascesa del fascismo, Merlino ne sottolineava due. La prima causa risiedeva nella mentalità politica degli italiani fortemente condizionata dalla forma mentis cattolica del diritto divino. << In primo luogo – egli affermava – bisogna mettere la mentalità politica arretrata del popolo italiano. (…). La mentalità del diritto divino inculcato dalla religione cattolica apostolica romana. Considerano il Governo come un Nume da adorare, che tutto sa, tutto può, a tutto provvede e dispensa i suoi doni a coloro che sanno propiziarselo, e castiga terribilmente chi osa scrutarne i segreti e svelarne le magagne. (…) Perciò- egli concludeva – viene prima lo Stato, poi la nazione; la nazione esiste per il governo: non il Governo per la nazione. Nel governo tutti i diritti, nella nazione tutti i doveri>>.[49]

    La seconda causa, che aveva determinato l’avvento del fascismo, Merlino la indicava nell’atmosfera di  discredito che aveva gravato sui valori e sulle procedure del sistema democratico.  Quell’atmosfera alla quale avevano contribuito i politicanti al governo, che ottenebrati dalle proprie ambizioni, non avevano difeso le istituzioni liberaldemocratiche. << Al fallimento della Democrazia – egli spiegava – ha contribuito il discredito, in cui essa era caduta già prima della guerra per l’opera dei politicanti, che a poco a poco e per appagare le loro piccole ambizioni e vanità avevano abbandonato la difesa delle pubbliche libertà >>.[50] Inoltre, a determinare quella funesta atmosfera di discredito aveva contribuito anche la propaganda scatenata contro lo Stato da parte del massimalismo socialista e del neonato Partito comunista italiano, che, all’indomani della Rivoluzione bolscevica d’Ottobre, minacciava di voler fare come in Russia. <<La Democrazia era morta da un pezzo in Italia – ricordava Merlino – quando il Fascismo venne e la seppellì. Essa già non era più che una larva. Non dobbiamo tacere del contributo, che alla decadenza della Democrazia portò involontariamente una certa propaganda dei partiti sovversivi contro lo Stato, additato all’avversione delle moltitudini come il braccio destro della borghesia, il gendarme messo a guardia della proprietà individuale. Lo Stato era questo, ma era anche altro: o almeno poteva e doveva essere altro. Il suo contenuto – precisava il pensatore napoletano prendendo, così, le distanze dal massimalismo socialista e dall’ideologia comunista –  non è ristretto alla difesa del capitalismo, ma comprende interessi generali di prim’ordine e non soltanto materiali. I socialisti di tutte le scuole batterono furiosamente contro lo Stato e contro la Democrazia, specialmente contro il regime rappresentativo e parlamentare, denunciandone le deficienze, la corruzione, il tradimento. E non badarono che, fomentando nelle popolazioni la sfiducia e il disgusto per il regime costituzionale, favorivano le mene e le mire degli assolutisti, che stavano in agguato e attendevano l’occasione per uscire a foraggiare. Così il fascismo – egli concludeva – sorse dalla degenerazione della Democrazia>>.[51]

    Esiste un ulteriore aspetto dell’anatomia del fascismo, eseguita da Merlino, che va ricordato: la sudditanza della Magistratura nei confronti del Governo. Aspetto, forse, non eziologico ma che, certamente contribuì all’affermazione del regime guidato da Mussolini. L’indagine sul rapporto fra politica e magistratura conferisce il titolo ed il contenuto dell’ultima opera consegnata da Merlino alle stampe. Politica e Magistratura dal 1860 ad oggi in Italia costituisce, infatti, il titolo con il quale il testo venne pubblicato da Piero Gobetti  nel 1925. Lo stesso anno di quel 3 gennaio, quando, con il suo discorso, il Duce deludeva coloro che ancora speravano in un evoluzione “costituzionale” del fascismo.

    << La Magistratura italiana non è indipendente – affermava Merlino riferendosi al ruolo svolto dalla magistratura durante tutta, seppur breve, storia dell’Italia unita – essa [la Magistratura n.d.r.] obbedisce un po’ per necessità  ( non trovando in sé la forza per resistere) un po’ per convinzione; perché crede di appartenere al Governo, di esserne una diramazione. E non sogna neppure di dovere, di poter essere un potere a sé, a cui spetti di impedire e reprimere gli arbitrii e le illegalità che si commettono dagli altri poteri dello Stato>>. Se questa era stata la recente storia passata, non diversa risultava, nel presente, la sua funzione: << Se la Magistratura – ipotizzava Merlino, proseguendo nella sua denuncia – avesse saputo compiere il proprio dovere in questi ultimi due o tre anni non sarebbe stato possibile – egli concludeva con rammarico – quella lunga sequela di delitti che cominciando dalle odiose imposizioni di non portare un dato distintivo, di non leggere un dato giornale ecc., sono arrivate al sequestro di persona, al bando, alla devastazione, e alla brutale soppressione di avversari politici col risultato ormai manifesto di annullare tutte le pubbliche libertà e di rendere impossibile il funzionamento dello stesso regime costituzionale>>.[52]

    A cinque anni di distanza dalla pubblicazione di Politica e Magistratura, il 30 giugno del 1930, Francesco Saverio Merlino si spegneva, in profonda solitudine, nella sua casa romana. Ricordando il fraterno amico scomparso, Malatesta scriveva: << Egli che aveva voluto riunire tutti, fu da tutti abbandonato e restò un isolato. Gli anarchici, ai quali egli avrebbe potuto essere utile con le sue critiche spesso giustissime, non potevano certo seguirlo per il complesso delle sue idee e specialmente per le sue tendenze parlamentari; i repubblicani lo trovarono troppo socialista, ed i socialisti giudicarono che il suo socialismo restasse ancora troppo libertario. Forse anche questi ultimi temettero che egli sarebbe stato un concorrente pericoloso per il suo ingegno e la sua dottrina. Fu abbandonato da tutti; però conservò la stima di tutti, perché tutti riconobbero la sua perfetta buona fede ed il suo ardente desiderio di fare del bene alla causa generale dell’emancipazione e del progresso umano>>. [53]

    Dalla lettura di questo sintetico racconto della vicenda merliniana redatto da Malatesta e dai i brani citati dalle opere di Merlino risulta evidente, come era prevedibile, la sua ferma opposizione al comunismo, al fascismo e nei confronti di ogni ideologia liberticida. Mentre meno prevedibili erano gli argomenti che egli avrebbe utilizzato nei suoi scritti:  egli condannava il regime mussoliniano appellandosi al rispetto dei valori e delle istituzioni liberaldemocratiche. Infatti, Merlino,  distinguendosi dagli anarchici, dai comunisti e da buona parte dei socialisti, non individuava nello Stato il comitato d’affari della borghesia di marxiana memoria. Tutt’altro: egli indicava nella democrazia, con tutte le sue istituzioni , un insieme di procedure giuridiche e di valori da tutelare e non da screditare. Altresì, richiamandosi all’istituto della divisione verticale dei poteri, contemplata dalla dottrina liberale, egli rimproverava alla Magistratura la supina sottomissione al regime politico.

   Dopo l’attenta lettura degli scritti di Merlino scaturisce, (parafrasando Primo Levi e Bertolt Brecht), spontanea un’amara considerazione: se questo è un anarchico …   allora … sventurato questo nostro paese nel quale un uomo, che lotta per le libertà individuali e per la giustizia sociale, debba sentirsi e professarsi anarchico.

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