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Karl Raimund Popper appartiene a quella schiera di  autori con i quali, dopo averli studiati, si impara a convivere e per i quali non si può fare a meno di provare una profonda riconoscenza intellettuale. E’ un sentimento che Lucio Colletti ha lungamente provato e che — all’ indomani della morte del pensatore viennese, avvenuta il 17 settembre del 1994 – ha così espresso : << E’ stato un grande vecchio al quale tutti dobbiamo molto. E appariva meno grande solo perché, a differenza di Heidegger e di Wittgenstein, era alieno dal linguaggio esoterico e misteriosofico. In lui non c’era  nulla della sacralità con cui si presentano le proposizioni soprattutto finali del Tractatus logico-filosoficus, nulla dell’oscuro vaticinio che è invece un modulo espressivo dell’ultimo Heidegger. Il fatto che Popper sia stato uno scrittore lucido, lo ha reso meno interessante agli occhi di quei professori di filosofia inclini a confondere il profondo con l’oscuro>>.

Dopo aver letto e ruminato le tesi proposte dal filosofo viennese, la realtà appare improvvisamente più chiara, come quando un raggio di sole fende la nebbia e ci illumina la strada che intendiamo percorrere. Qualche anno fa l’economista Sergio Ricossa ha dichiarato :<< paragono Popper all’invenzione degli occhiali ; occhiali per evitare le cantonate della ragione. Non sono occhiali magici, non ci trasformano in uomini di genio, …. sono uno strumento per sopravvivere agli errori nostri e altrui, ai falsi miti, ai dogmi >>.

    Epistemologia e filosofia della politica i due campi di indagine maggiormente coltivati da Karl Popper. La sua figura di filosofo della politica è legata fondamentalmente alla sua opera più nota :  La società aperta e i suoi nemici. << Nel seguito della nostra discussione – egli spiega – la società magica o tribale o collettivista sarà chiamata anche società chiusa e la società nella quale i singoli sono chiamati a prendere decisioni personali società aperta …La società chiusa è caratterizzata dalla fede nei tabù magici, mentre la società aperta è quella nella quale gli uomini hanno imparato ad assumere un atteggiamento in qualche misura critico nei confronti dei tabù e a basare le loro decisioni sull’autorità della propria intelligenza >>.

    Platone, Hegel e Marx sono, secondo Popper,  nemici della società aperta. Essi sono i padri del pensiero totalitario, ossia delle forme che la società chiusa ha assunto nel nostro secolo in Occidente. A Platone, nel pensiero del quale Popper non esita ad individuare le radici del totalitarismo, è dedicato il primo volume di La società aperta e i suoi nemici, così come a Hegel e a Marx, accusati di essere falsi profeti, è dedicato il secondo volume dell’opera. Ciò che Platone vede nell’origine, Hegel e Marx vedono nella fine. Nella fine della storia. E quindi nella storia che ha compiuto il suo destino, dandosi a conoscere come totalità dispiegata. Non meno di Platone, anche Hegel e Marx inscrivono lo sviluppo storico e sociale entro un orizzonte governato dalla necessità. In esso l’ultima parola è già stata detta da sempre. In questo senso la tradizione storicistica che da Platone a Hegel e, infine, a Marx  si richiama a una legge inarrestabile e necessaria del mutamento storico è foriera del totalitarismo. Infatti quando l’uomo, certo di possedere la verità sul passato e/o sul futuro dell’umanità, tenta di costruire il Paradiso in terra, il risultato è la realizzazione dell’inferno. << Quello che dobbiamo imparare da Platone – spiega Popper – è esattamente il contrario della sua dottrina… Il nostro sogno del cielo non si realizza quaggiù sulla terra. Per quanti hanno gustato dell’albero della conoscenza, il paradiso è perduto. …. Se vogliamo rimanere uomini – egli avverte – c’è unicamente una strada, la strada verso la società aperta, per proseguire la nostra marcia verso l’ignoto, verso ciò che non sappiamo, verso l’incerto sorretti dalla ragione…., per pianificare due cose : non solo la nostra sicurezza, ma al medesimo tempo la nostra libertà>>.

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    L’interesse, se non proprio l’originalità, della filosofia politica popperiana – spiega Luciano Pellicani — << deriva dal fatto che essa rappresenta una sistematica difesa delle ragioni della civiltà liberale condotta con argomentazioni di natura epistemologica >>. In altri termini : la filosofia politica popperiana  sottolinea il valore della politica come scienza, ma solo nel senso che auspica l’introduzione nella prassi politica di alcune regole del metodo scientifico. Pertanto il suo riduzionismo è, per usare la terminologia proposta da Marcello Pera, di tipo metodologico, non già contenutistico. La legge di Hume – cioè l’impossibilità logica di passare da un giudizio di fatto a un giudizio di valore – fa divieto alla scienza di dettare i suoi contenuti alla politica. La scienza, secondo Popper, non può e non deve esistere come una scienza dei fini e dei valori, poiché questi ultimi non possono essere dedotti razionalmente. La scienza può aiutare gli operatori politici nella scelta degli strumenti e delle procedure per il conseguimento di alcuni fini e può essere utilizzata da questi per cercare di prevedere le conseguenze non desiderate di certe scelte.

    Veniamo, ora, al Popper teorico della conoscenza scientifica. Anche qui il contributo è stato grande. Egli è stato insieme scettico e fiducioso nei riguardi del pensiero scientifico. Una evidente contraddizione, ma  una contraddizione che non lo ha compromesso la sua indagine. C’è in Popper un forte richiamo a Galilei e all’interpretazione realistica della scienza. I suoi due punti di riferimento sono :  il principio di demarcazione fra scienza e metafisica, principio che ha chiamato “il problema di Kant” ; e la critica radicale all’induzione, che ha indicato come “il problema di Hume “.

    La distinzione fra la scienza e la metafisica è stato un aspetto caratterizzante del positivismo logico. Ed è possibile notare un’influenza di questa scuola su Popper.  E’ noto che negli anni Trenta lui ha avuto dei contatti con il circolo di Vienna . Ma Popper mette in crisi il positivismo logico rifiutando il principio dell’induzione che aveva segnato la ricerca, tra gli altri, di Carnap e Hempel. Egli conferisce un significato diverso alla demarcazione fra scienza e metafisica. Nonostante le differenze innegabili c’è, però, tra lui e i positivisti un punto di contatto fondamentale. Per entrambi la scienza si presenta come una struttura linguistica, dove in alto ci sono gli asserti universali e in basso i cosiddetti enunciati protocollari o enunciati osservativi.

    Una teoria scientifica è come un’opera d’arte. << La scienza – spiega l’epistemologo viennese –, dopo tutto, è una branca della letteratura ; e il lavoro scientifico è un’attività umana come costruire una cattedrale. Non vi è dubbio che vi sia troppa specializzazione e troppa professionalizzazione nella scienza contemporanea che la rende inumana …. La scienza è non solo, come l’arte e la letteratura, un’avventura dello spirito umano, ma è forse la più umana delle arti creative …. La scienza – egli conclude – non è un sistema di asserzioni certe, o stabilite una volta per tutte, e non è neppure un sistema che avanzi costantemente verso uno stato definitivo. La nostra scienza non è conoscenza ( episteme ) : non può mai pretendere di aver raggiunto la verità, e neppure un sostituto della verità, come la probabilità >>.

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     Popper ha aperto un varco alle epistemologie contemporanee di Toulmin e di Feyerabend che hanno travolto la filosofia della scienza. Egli resta uno scettico, non crede che si possa mai raggiungere la verità. << Platone, Aristotele, Bacone e Cartesio – egli osserva –, così come la maggior parte dei loro successori, ad esempio John Stuart Mill, credevano che esistesse un metodo per trovare la verità scientifica. In un periodo più recente e un po’ più scettico, ci furono dei metodologi che credevano che esistesse un metodo, se non per trovare una teoria vera, almeno per accertare se una data ipotesi fosse o no vera ; o ( in un modo ancora più scettico ) se una data ipotesi fosse almeno “probabile”, in qualche grado accertabile >>. Ma tali concezioni metodologiche sono, per Popper, decisamente erronee. Infatti a suo avviso :<< non c’è alcun metodo per scoprire una teoria scientifica ; non c’è alcun metodo per accertare la verità di una ipotesi scientifica, cioè nessun metodo di verificazione ; non c’è alcun metodo per accertare se un’ipotesi è “probabile”, o probabilmente vera>>. Dalla metodologia della scienza, dunque, secondo Popper, non ci si deve aspettare l’individuazione di una serie di norme che garantiscano quasi meccanicamente la scoperta di nuove teorie. Non esiste una logica della scoperta, ma una logica della ricerca. Le teorie vengono scoperte solo grazie alla fantasia e alla creatività degli uomini di scienza e non già in seguito all’applicazione di procedimenti routinieri.

    Al principio di verificazione sostenuto dal Circolo di Vienna, Popper, intorno alla metà degli anni trenta, oppone il principio di falsificabilità. Quest’ultimo a differenza di quello dei neopositivisti è un criterio di demarcazione e non di significanza. Serve a distinguere ciò che è scientifico da ciò che scientifico non è, ma non esprime nessun giudizio sulla sensatezza o insensatezza degli asserti non scientifici. << Come criterio di demarcazione non si deve pretendere – spiega Popper – la verificabilità, ma la falsificabilità di un sistema. In altre parole : da un sistema scientifico non esigerò che sia capace di essere scelto, in senso positivo, una volta per tutte ; ma esigerò che la sua forma logica sia tale che possa essere messo in evidenza, per mezzo di controlli empirici, in senso negativo : un sistema empirico deve poter essere confutato dall’esperienza >>.

    In altre parole, secondo Popper, << una ipotesi acquista status scientifico solo quando viene presentata in una forma in cui possa essere falsificata, cioè a dire solo quando è divenuto possibile decidere empiricamente tra essa e qualche teoria rivale >>. Partendo da  queste premesse, Popper, nelle ormai celebri pagine di Congetture e confutazioni, demolisce la pretesa di scientificità delle teorie di Marx e di Freud. Infatti esse trovavano solamente continue conferme da  parte dei loro seguaci, non avendo mai esplicitato le condizioni che avrebbero potuto falsificarle. << Una teoria che non può essere confutata da alcun evento concepibile – precisa Popper – non è scientifica. L’inconfutabilità di una teoria non è ( come spesso si crede ) un pregio, bensì un difetto >>.

    Certamente Popper ritiene che  il progresso scientifico procede falsificando le teorie. Ma accanto a questo convincimento sviluppa la tesi che malgrado tutto c’è un accumulo di conoscenza. E c’è in lui, contro il positivismo logico, la convinzione che la scienza ha valore pratico e pragmatico, essa descrive il mondo e non può prescinderne. Per questo non ci si può muovere dai fatti alla costruzione delle teorie, ma dalle teorie al loro controllo mediante i fatti. Se questo accordo sussiste, allora la teoria viene assunta come vera ; e solo provvisoriamente, comunque. Essa conserva un carattere congetturale ed ipotetico. E potrà dunque venire confutata da futuri controlli.

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    Va da sé, che messe così le cose, per Popper si dischiudevano nuovi ed imprevisti scenari d’intervento, non solo in termini scientifici, ma anche filosofico-politici. Nasceva da qui, infatti, l’avversione netta contro tutte quelle visioni del mondo << stabilite una volta per sempre >>, che impedivano di delineare procedure razionali capaci di individuare dove si fosse sbagliato. A cadere sotto il maglio falsificazionista – è il caso di ripeterlo alla luce di quanto detto – è la tradizione storicista, che si richiamava a una legge inarrestabile e necessaria del mutamento storico. Facendo coincidere questo approccio con la legittimazione dei sistemi politici totalitari, Popper ne sintetizza così la sua confutazione : << noi non possiamo predire, mediante metodi razionali, lo sviluppo futuro della conoscenza scientifica. Perciò non possiamo predire il corso futuro della storia umana. Ciò significa che dobbiamo escludere la possibilità di una storia teorica; cioè di una scienza sociale storica che corrisponda alla fisica teorica. Lo storicismo è quindi infondato. E crolla >>.

    In opposizione a questa visione predeterminata, soffocante e chiusa della storia e della società, fondata su  << labili certezze >>, Popper  propone un approccio << aperto >>, e quindi sempre rettificabile, incarnato dal sistema democratico occidentale di cui traccerà un incondizionato elogio, quale il << migliore dei mondi possibili >>. In un’intervista rilasciata nel 1971, l’epistemologo viennese sostiene, senza ambiguità, le tesi di fondo delle sue riflessioni di filosofia della politica : << in tutti gli ordinamenti sociali di cui abbiamo conoscenza – egli afferma – sono esistite ingiustizie e oppressione, povertà e miseria, e anche gli ordinamenti delle nostre società democratiche occidentali non costituiscono un’eccezione. Ma le nostre società combattono questi mali. Ed io credo che in esse vi siano meno ingiustizie ed oppressione, povertà e miseria che in qualsiasi altro tipo di società di cui ci sia nota l’esistenza. Gli ordinamenti delle nostre società democratiche occidentali sono dunque assai imperfetti e abbisognano di correzioni, ma sono i migliori che siano esistiti fino ad oggi.  Di ulteriori miglioramenti vi è urgente bisogno. Tra tutte le idee politiche il desiderio di rendere gli uomini perfetti e felici è forse quella più pericolosa. Il tentativo di realizzare il Paradiso sulla terra ha sempre prodotto l’inferno >>. E poi aggiunge : << io credo nella ragione, non credo naturalmente che tutti gli uomini siano sempre ragionevoli : lo sono solo di rado. Non credo neppure nella violenza della ragione o nella forza della ragione. Credo piuttosto che noi abbiamo la scelta tra ragione e violenza, che la ragione sia l’unica alternativa all’impiego della violenza e che sia delittuoso un impiego della violenza evitabile >>.

    Una violenza evitabile, che sottende però, in caso di necessità, il ricorso alla violenza. Popper, legittima il ricorso alla violenza per evitare i paradossi della  <<società aperta>>. Infatti la società aperta evita il paradosso della libertà nel senso che le istituzioni non possono lasciare liberi i prepotenti di schiavizzare i mansueti, ed evita anche il paradosso della tolleranza : << se non siamo disposti a difendere una società tollerante – avverte Popper – contro l’attacco degli intolleranti, allora i tolleranti saranno distrutti, e la tolleranza con essi >>. Per questo, << noi dovremmo proclamare, in nome della tolleranza, il diritto di non tollerare gli intolleranti >>.

Ludovico Martello