Il processo di Benevento. Bozzetto della questione sociale
Ancora studente presso l’Università di Napoli – città, questa, nella quale era nato nel 1856 – aderì al movimento che si ispirava alla Prima Internazionale ed agli insegnamenti di Bakunin. Laureatosi giovanissimo in giurisprudenza, assunse, non ancora ventiduenne, la difesa, dinanzi alla Corte di Assise di Benevento, di quella che era indicata, allora, come la “banda del Matese”. La “banda”, in effetti, era una formazione anarchica che annoverava fra i suoi militanti Errico Malatesta, Carlo Cafiero e Pietro Cesare Ceccarelli. Costoro erano accusati di aver guidato , nella primavera del 1877, un tentativo di insurrezione nelle province di Benevento e di Campobasso. Merlino, racconta Nicola Tranfaglia: << si è esposto a Benevento in una difesa politica e non solo legale, dell’azione diretta attuata da Malatesta e Cafiero, ha denunciato gli arbitrii della polizia e della magistratura, ha attaccato a fondo lo Stato autoritario e illiberale scaturito dalla conquista regia.>>.[4] La difesa di Merlino segnò – conclude Tranfaglia – l’ingresso clamoroso del giovane avvocato napoletano nella lotta politica.>>[5] Il processo si concluse con l’assoluzione di tutti gli imputati. Il giorno successivo alla sentenza, un episodio che rappresenta bene la personalità del giovane avvocato napoletano: Merlino si presentò spontaneamente al giudice istruttore per farsi incriminare quale firmatario di un manifestino internazionalista, per il quale era stato erroneamente accusato il fratello Giuseppe. Fu quello il primo scontro del Merlino con l’autorità costituita. Da quel momento, la sua vita sarebbe stata, almeno per i successivi venti anni, una continua lotta per difendersi dall’azione repressiva delle magistrature e delle polizie di tutta Europa.
Prendendo spunto dall’ esperienza beneventana, Merlino pubblicava il suo primo opuscolo politico: A proposito del processo di Benevento. Bozzetto della questione sociale. Iniziava, così, la sua intensa attività pubblicistica. Circa due anni dopo, pubblicava un poderoso saggio. Si trattava dell’introduzione a L’abolizione dello Stato di S. Engländer. Ma, più significativi, per illustrare la sua parabola intellettuale, risultano i due lunghi articoli pubblicati, nello stesso periodo, sul giornale <<La Plebe>>. Essi sono dedicati rispettivamente a Vincenzo Russo ed a Carlo Pisacane. Con questi due scritti – come ha osservato Enzo Santarelli – Merlino << si riallaccia immediatamente ed esplicitamente alla tradizione democratica e rivoluzionaria della sua Napoli.>>[6] E, potremmo aggiungere: riprende i temi caratterizzanti l’illuminismo partenopeo.