Se manca l’alternativa

Oggi non c’è un'alternativa europeista

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Oggi non c’è un’alternativa europeista al governo Renzi e, purtroppo, neppure è pronosticabile per un domani ravvicinato. Questa condizione fa male alla democrazia e non stimola l’attuale governo a fare bene.

La rapidità dei mutamenti è sempre più urgente. I ritardi dell’Italia e dell’Europa sono sempre più pesanti. La frenesia attivistica di Renzi è sovente pasticciata e poco coerente con i canoni della democrazia liberale, più consona alla politica dell’emergenza che a un progetto organico di società e di Stato. E’, però, quella più compresa, considerando il marasma un po’ isterico un po’ rassegnato della nazione e la miseria delle alternative politiche.

A destra s’intrecciano il lepenismo di Salvini e il decadente berlusconismo, mentre la componente moderata è debole e divisa. A sinistra, l’unica novità è il tentativo di convergenza non più a ridosso di elezioni, per il resto sembra ripetersi il solito schema già negativamente sperimentato. I Cinque Stelle non propongono un progetto chiaro e agiscono a volte in modo contorto.     

La minoranza interna al PD, che potrebbe essere il nerbo di una sinistra nuova, moderna, europea, unita in tutte le sue anime, alternativa al renzismo e al populismo, appare priva di un progetto politico capace di farlo; svolge un’azione timida, come riconosce implicitamente lo stesso Roberto Speranza quando, dopo l’assemblea di San Martino in Campo, dice: “Finalmente facciamo sul serio”. Essa si attarda a contestare l’accettazione dei voti di Verdini, che può ascriversi semplicemente al realismo politico necessario per governare con questo Parlamento; non è conseguente, invece, sulle tante decisioni del governo e di Renzi segretario, che davvero stanno cambiando la natura del PD.     

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Il governo proclama la volontà di sostenere i giovani e di realizzare un piano per la lotta alla povertà, il Social Act. Nel frattempo, però, in concreto fa lo Jobs Act contro il mondo del lavoro e insultando i sindacati; cambia la scuola contro studenti e insegnanti; toglie le tasse sulla casa anche ai miliardari, senza neppure scalfire quelle che opprimono artigiani, commercianti, lavoratori dipendenti e pensionati prosciugati nel loro potere d’acquisto; applica un bonus fiscale che, com’era evidente fosse, si è tradotto in un trasferimento di risorse del Sud al Nord. Sono solo alcuni dei suoi atti che mal si sposano con la lotta, che dovrebbe sempre condurre la sinistra, alle diseguaglianze nei campi del sapere, del potere, del reddito, divenute più profonde negli ultimi anni.     

Renzi segretario, mantenendo questo incarico insieme con quello di Presidente del Consiglio e supportato dal tipo di riforma costituzionale e di legge elettorale, approvate, prova a trasformare il PD nel partito della nazione e del Presidente. Per farlo, ha una linea che punta a dividere, a liberarsi di quanti sono di ostacolo al suo obiettivo: quando parla male della sinistra, come fa, non può non sapere che così non la aiuta a migliorarsi ma contribuisce a scardinarla.

Nel frattempo il suo PD è sempre più un’organizzazione in cui si sta insieme prevalentemente per mero calcolo elettorale, in cui è assente la politica alta, prevalgono personalismi e logiche di potere, come fotografano le vicende delle primarie di Napoli e Roma.   

 Tutto avviene in un momento tremendamente complicato, dal quale s’intravede un futuro che sembra riserbare ai giovani o lavori atipici o lavori malpagati o inattività forzata o migrazione. Se la destra non ha un condiviso progetto di governo e la sinistra non è riferimento del lavoro dipendente, speranza di riscatto per i più deboli e non sa rappresentare anche la protesta, allora i populismi crescono pericolosamente e la gente o non vota o prova a votare per chi sembra “si possa” votare, con rischi per le basi stesse della nostra democrazia.

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Antonio Simiele