Figli dei disordini della storia

Un racconto disincantato per conoscere la Legione Straniera

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Nel voler scrivere o leggere oggi sulla storia e la memoria della Legione Straniera potrebbe sembrar cosa da pazzi. Da matti svitati, da folli malinconici, da schizoidi e smaniosi militaristi vogliosi di menar le mani a destra e a manca, poiché nostalgici di un “vitalismo” d’altri tempi! Rassicuriamo subito i lettori, invece, che a entrar nelle pieghe della gloriosa storia della Légion non si troverà nulla di tutto questo! Sia chiaro: non ci s’involerà tra i fumosi e sacri incensi di un convento ove si canta, si fanno litanie e genuflessioni, né tantomeno si entrerà tra i palazzi imbalsamati della politica dove si parla, si discute, si polemizza e si dibatte inconcludentemente senza mai il brivido di un’azione! Ogni giovane (ma anche meno giovane) che voglia estraniarsi dagli inutili commenti dell’influencer di turno e che vuole cimentarsi con imprese di uomini un po’ pazzi e un po’ malinconici, spesso sognatori, anche brutali ma sempre eroici e coraggiosi, dovrebbe leggere e rileggere le memorie e la storia dei soldati della Legione Straniera. E bisognerebbe farlo proprio adesso, che si versa in tempi di decadenza, di mollezze fisiche e pigrizia intellettuale! La storia della Légion –l’eroica e affascinante Légion-, infatti, non è solo “memoria combattentistica” né militarismo fine a se stesso. La sua è una storia che è specchio delle “turbolenze del mondo”! Così come ben la descrive lo storico Gianni Oliva nel suo godibilissimo testo “Fra i dannati della terra” edito da Mondadori qualche anno fa e che adesso, in pieno lockdown, è utilissimo per proiettare la mente del lettore nel deserto del Nord-Africa, tra dune, rocce, montagne e sabbia, al cospetto del volto dei militari bruciato dal sole del deserto!  I soldati con il képi bianco, infatti, che chiudono ogni anno la mitica parata parigina degli Champs-Elisèes, sono figli dei “disordini della storia: ognuno il suo racconto, ognuno la sua dannazione”!  “Straccioni senza famiglia e senza tempo”, ”facce di pietra che marciano sui roccioni spietati dell’Atlante cercando l’arcobaleno dell’avventura”; “dei bordelli e dell’alcol”, “del sangue e del castigo”, “disperati” e “idealisti”, “balordi” e “sognatori”, ma tutti egualmente “feroci e irrequieti”. Insomma: uomini in fuga da amori andati a puttane o che si sottraggono dai rigori della legge poiché rei nelle proprie patrie. Ognuno con il suo carico di esperienze, amorose, politiche e criminali. Dall’anno della sua fondazione per opera del re Luigi Filippo che, nel 1831, decide di affidare a un corpo di volontari stranieri la conquista dell’Algeria, la Légion è stata ricettacolo di sbandati provenienti da mondi turbolenti e variegati, “figli di una rivoluzione sconfitta” come il nostro Carlo Pisacane o fuggiaschi dai poteri reazionari della soffocante Santa Alleanza europea. Numerosi “carbonari” schedati nelle proprie patrie per la loro “sovversiva” attività politica democratica e/o liberale ma, anche tanti giovani alla ricerca di una vibrante prospettiva esistenziale! Idealisti romantici e liberali come Raffaele Poerio e “carbonari” dal temperamento impetuoso come Filippo Agresti e, in un momento successivo, anche “figli di un regime caduto” come Giuseppe Bottai, mussoliniano che, dopo la caduta del regime, diventerà anonimo legionario! Un mondo variegato, quindi, idealisti dei moti del 1831, così come i “fuoriusciti” dal regime bolscevico, repubblicani spagnoli in fuga dalla falange franchista così come fascisti e nazisti in rotta per rifarsi una nuova identità dopo il fallimento morale e materiale dei regimi fascisti da loro creati e sostenuti! E poi ci sono i semplici soldati avvinti dalla fame e in fuga dalla loro povera vita fatta di stenti e di sacrifici, ma c’è anche chi scappa dalle proprie insoddisfazioni, dalle proprie ansie e dalle proprie paure. C’è proprio tutto nella Légion.  Dal punto di vista storico-militare quella della Legione è una storia di repressioni violente e brutali, dall’Algeria in poi, così come magistralmente riporta Gianni Oliva, l’Africa settentrionale sarà la terra di conquista della legione, così come in seguito lo saranno Dahomey, il Madagascar, il corno d’Africa, il Ciad, il Gabon. E per finire i conflitti mondiali. Insomma: la grammatica della Legione è la guerra, anche quella di conquista, con sevizie, supplizi, tormenti e  asprezze ed umane sofferenze. Guerre sporche, conflitti “macchiati dalla vergogna” come la battaglia di Algeri, ma anche tanto coraggio, eroismo e idealismo.  Ed grazie a tutto ciò che si costruirà quel mito dei legionari che lottano fino alla fine. Come nella mitica battaglia di Camerone, in Messico, lì dove una sparuta minoranza di legionari combatté fino al martirio preferendo l’orgoglio del loro massacro all’umiliazione della resa! Coraggio, resistenza alla fatica, volontà di non cedere mai, la Lègion è anche questo! Valori che però, non dimentichiamolo, camminano sempre sulle spalle di uomini in carne ed ossa. Uomini esilaranti, intellettuali e sbandati, guerrieri e criminali, irrequieti, vagabondi e folli.  Insomma “La Legione è all’ultimo limite d’ogni esperienza umana. Chi ci capita ha già fatto interno il giro della sua vita, è già dall’altra parte del versante, e in lui la lucida conoscenza di sé s’associa all’idea della morte. Perdere la propria vita è un guaio, ma moralmente compensabile con una morte degna” come scriveva appunto il legionario Giuseppe Bottai. Vivere vertiginosamente e ad alte temperature fisiche ed emotive non è da tutti, si capisce, soprattutto in tempi tristi di gioventù rammollita e sfibrata come questi che stiamo vivendo, ma, perlomeno, con la lettura del libro di Gianni Oliva, non ci si annoia e ci s’inebria di azione e di avventura! Un libro bello, scorrevole e commovente!

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Georges Jacques Danton

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