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Di fronte ad un fenomeno epocale e complesso qual è quello degli immigrati, provenienti in prevalenza dall’Africa, è di moda dire che bisogna aiutarli a casa loro. Un buon proposito. Sennonché, risulta un dire quasi sempre ipocrita. Non s’indicano, infatti, i modi concreti per farlo, non s’individuano le cause più profonde, non si denunciano le responsabilità; non si dice che, per aiutarli davvero, bisognerebbe, innanzitutto, interrompere l’ormai secolare sfruttamento di quel Continente da parte di potenze occidentali che, invece, non mostrano alcuna voglia di farlo: si è passati dalla tratta dei neri, alla lunga piaga del colonialismo, sino all’attuale prelievo sistematico delle sue ricchezze.

I tre quarti dell’oro mondiale provengono dall’Africa; nel Continente si trova il 90% dei presunti giacimenti di cobalto del pianeta, ci sono le maggiori riserve di titanio e la più grande riserva mondiale di radio; in molti Stati si estrae petrolio e in quasi tutte le regioni si trovano minerali ferrosi. La quasi totalità di queste ricchezze è gestita da grandi gruppi internazionali.

Ecco, per ricondurre i migranti alle zone di partenza, bisognerebbe cominciare a fare un uso di queste risorse a favore delle popolazioni locali e aiutare lo sviluppo delle vocazioni agricole, per mutare sul luogo le condizioni, creando lavoro e reddito; va da se che bisognerebbe, anche,finirla di dare sostegno a governi locali corrotti e funzionali solo agli interessi delle grandi potenze.

E’ un processo, com’è evidente, che ha bisogno di tempo, per cui l’accoglienza è un dovere. E’ un dovere per queste e per ragioni, come ci ricorda il papa, umane ed evangeliche che dovrebbero far riflettere quelli che si proclamano cattolici ma sono contrari. Un’accoglienza che si deve accompagnare con piani di aiuto ai Paesi di provenienza di cui si faccia carico innanzitutto l’Europa e con risposte concrete da dare ai cittadini italiani spaventati, le cui paure non vanno né alimentate, come fanno irresponsabilmente certe forze politiche,né sottovalutate, ma affrontate, ad esempio, riducendo drasticamente i tempi utili a stabilire se un migrante ha titolo per rimanere e trovando il modo per far lavorare chi è in attesa.

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Le parole di papa Francesco dovrebbero far riflettere anche quanti, per loro definizione ipercattolici, si mostrano restii a concedere diritti di uguaglianza a chi, di fatto, è cittadino italiano per il suo percorso di vita, tanto più se è nato, cresciuto e ha studiato in Italia. Sono diritti che non riguardano i migranti ma cittadini che ormai da anni vivono nel nostro Paese. Riconoscerli, come in maniera molto prudente fanno lo ius soli “temperato” e lo ius culturae, regolamentati dalla legge in discussione in Parlamento, dovrebbe essere la normalità. Siamo, infatti, tra i pochi Paesi al mondo che sia rimasto fermo a un anacronistico principio del sangue. Quasi tutti i Paesi del continente americano applicano lo ius soli in modo automatico e senza condizione; lo applicano, anche se condizionato, pure i più importanti Paesi europei.

D’altronde l’inclusione di tutte le persone che vivono con noi e lo desiderano, facendole cittadini a pieno titolo, è un bene per l’Italia, le porta nuovo entusiasmo, la rafforza e ne accresce le fortune.E’ cosa da fare anche per ridurre i rischi di un’emarginazione che è terreno fertile per la crescita di soggetti votati al terrorismo, com’è apparso chiaro dalla personalità degli artefici di atti che hanno insanguinato la Francia, l’Inghilterra, il Belgio, la Germania negli ultimi anni, tutti figli di una mancata o insufficiente integrazione, in un’Europa che soffre già di  suo per una crisi profonda economica e di cittadinanza che colpisce la maggioranza delle popolazioni.

Antonio Simiele

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