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Fine ingloriosa o punizione meritata? È questa la domanda che più di tutte attraversa le nostre menti mentre guardiamo e riguardiamo le immagini cruenti della morte di Gheddafi. Non intendo soffermarmi sul bombardamento mediatico, sull’uso a volte di cattivo gusto dei mezzi di informazione, né sulle parole che saranno versate sicuramente nei talk- show della domenica pomeriggio; voglio sottolineare un filo rosso che sembra legare tutti ( o meglio quasi tutti) i dittatori dell’ultimo secolo.

Il XX secolo è stato il secolo delle due guerre mondiali e dei totalitarismi: fascismi, comunismo e nazismo; quando si pensa alla figura di un dittatore subito tornano alla mente, nell’immaginario collettivo, i volti di Adolf Hitler o di Stalin, che sembrano aver monopolizzato l’archetipo del dittatore senza scrupoli. Il cinema e la letteratura sono pieni di esempi al riguardo, giusto per citarne alcuni: 1984 o La fattoria degli animali, entrambi di George Orwell.

I dittatori rappresentano un’immagine altamente simbolica per i sudditi della comunità. Già sudditi, perché non si può parlare di cittadini in una dittatura.. I tiranni sono l’espressione della forza, del potere, della rivoluzione ma anche della violenza, della paura e del terrore.

Il Terrore è sicuramente uno dei tratti caratterizzanti uno Stato dittatoriale, come affermava Robespierre, il 25 dicembre 1973: <<La rivoluzione è la guerra della libertà contro i suoi nemici. Il governo rivoluzionario ha bisogno di una attività straordinaria proprio perché si trova in uno stato di guerra. Se la forza del Governo popolare in tempo di pace è la Virtù, la forza del Governo popolare in tempo di rivoluzione è a un tempo stesso la Virtù e il Terrore. La Virtù, senza la quale il Terrore è funesto; il Terrore, senza il quale la Virtù è impotente. Il Terrore non è altro che la giustizia pronta, severa e inflessibile. Esso è dunque una emanazione della Virtù. (…). Il Governo della rivoluzione è il dispotismo della libertà contro la tirannia>>.

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Tutti i dittatori del Novecento hanno fondato il proprio potere sul terrore. Sull’utilizzo anche salvifico del terrore cosi come lo ha descritto da Robespierre. È la connessione tra terrore e virtù il nucleo incandescente di ogni forma di governo totalitario, che ama fregiarsi di nomi altisonanti e demagogici come: “ Governo popolare” o “Dittatura del Proletario”.

Questo terrore istituzionalizzato in nome della <<rivoluzione permanente>> e della libertà non solo può garantire il mantenimento del potere ma può determinare anche la caduta dello stesso, con conseguenze altamente catastrofiche. Infatti, in caso di una guerra civile, che intenda rovesciare lo Stato dittatoriale preesistente, la rabbia, la paura e tutta l’oppressione subita si rovescerebbero sul corpo dell’usurpatore caduto. La vittoria dei ribelli in una guerra civile porta al rovesciamento dell’immagine del capo supremo dello Stato: da simbolo di forza e potere da idolatrare e venerare, egli diviene il malvagio che deve essere ucciso a tutti i costi. Il dittatore sconfitto deve pagare con la vita il proprio regno di terrore: ecco il massimo comune denominatore di quasi tutti i dittatori. Gheddafi è solo l’ultimo di una lunga serie di sovrani assoluti decaduti e uccisi brutalmente in nome della libertà.

La morte e lo scempio del corpo del tiranno è pur sempre un evento epocale, soprattutto qui in Italia esso è un evento che riapre vecchie discussioni, vecchi problemi di coscienza che forse non si è mai avuto il coraggio di affrontare. Il problema potrebbe sembrare squisitamente teorico, cioè un semplice esercizio mentale per mettere alla prova la nostra retorica, e invece no. La questione è molto più concreta, perché colpisce il fondamento della dottrina liberale e il cuore della religione cristiana, quindi i due pilastri che più di tutti sembrano guidare l’agire umano dell’emisfero occidentale del nostro paese.

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Nel momento in cui sono iniziate le rivolte in Libia, tutti o quasi hanno sperato in un intervento delle forze occidentali per evitare, che una ribellione accesa da propositi liberal-democratici finisse nel sangue. Intervenire per sostenere i ribelli al fine di instaurare un nuovo stato fondato sui diritti inalienabili dell’individuo.

E adesso? In realtà si instaurerà uno Stato fondato sulla libertà di tutti gli individui o sulla morte di un dittatore? È compatibile con uno Stato liberale e democratico – di cui noi occidentali ci vantiamo di esserne gli esportatori – uccidere un uomo, se pure sia stato un dittatore, senza un regolare processo? E se anche ci fosse stato un regolare processo, cioè ordinato secondo i principi delle “belle democrazie” occidentali, sarebbe liberale condannarlo a morte, come ad esempio fu fatto con Saddam Hussein?

Al suono di queste domande ci si sente come un mediocre equilibrista in cammino su una fune, chiamata liberalismo, e con sotto un abisso di nome ipocrisia.

Vito Varricchio