Nel settantesimo compleanno della Costituzione repubblicana si scopre che i padri costituenti sono stati al dir poco lungimiranti. Nonostante la conclamata rigidità della Carta fondamentale, essa ha dimostrato un’elasticità che le ha permesso di attraversare questi anni mutevoli adeguandosi. Rigida nella forma ma elastica nella sostanza, non ce ne vogliano i professori di diritto costituzionale. Fluida è riuscita ad assumere, restando invariata nei principi fondamentali, le forme più consone a fare dell’Italia un membro dell’Unione Europea e della rete internazionale. Del resto, le limitazioni alla sovranità nazionale in funzione della cooperazione europea e mondiale erano affermate già nei discorsi dell’Assemblea costituente e le forze liberali e democratiche preannunciavano la fine dello Stato nazione.
La Costituzione, lungi dall’affermare sic et simpliciter il principio democratico, si pone come argine indiscusso di un sistema fatto di diritti individuali, organi, poteri e contro poteri atti a limitare proprio la sovranità popolare, la quale non assume i crismi dell’assolutezza. La sovranità popolare, espressione più religiosa che razionale, rappresenta un dogma, un mito, una credenza sul quale fondare e produrre il consenso. Elemento necessario sì, ma non sufficiente di una liberal democrazia.
In questi giorni, la Costituzione italiana sta subendo dei crash test, che permettono di saggiare l’innata funzione di autotutela di ogni sistema. E gli anticorpi stanno funzionando, eccome. Si ricordi che la Corte Costituzionale nel dichiarare incostituzionale il ballottaggio ha saputo garantire la purezza di un sistema proporzionale e la funzionalità della Repubblica italiana in questo preciso momento storico (sentenza 35/2017). Poiché nessuna proporzionale può garantire in un paese libero un governo monocolore, il ruolo del Presidente della Repubblica resta importantissimo per la formazione del governo. Sì, perché nelle repubbliche democratiche – udite, udite – il Presidente della Repubblica possiede ampi poteri nella formazione del governo, laddove alla sovranità popolare spetta votare solo i deputati.
In altre parole, in Italia, i garanti dell’ordine costituzionali hanno avvertito la vittoria dei populisti e hanno preparato il campo per frenarli. Frenarli in ordine alla Costituzione, si capisce. Non si tratta di un colpo di stato, dal punto di vista, istituzionale e il Presidente della Repubblica, fuori dalla retorica da esame universitario, è sì super partes tra le forze politiche che partecipano al gioco democratico ma è squisitamente di parte. Esso rappresenta l’ordinamento giuridico, la Costituzione e non il popolo. Dispiace? Fa piacere? Ma è così. In fondo, cosa pensa il popolo non interessa poi tanto.
Detto ciò, la mossa del Presidente Mattarella, legittima dal punto di vista giurdico-costituzionale, può sembrare sconveniente sotto il profilo politico, o meglio, elettorale. Lo stallo istituzionale sta per condurre a nuove elezioni e nonostante i corsi di voto da parte del commissario europeo al bilancio, Günther Oettinger, e i segnali dei mercati, si palesa una vittoria schiacciante delle forze populiste. E allora tutti a preoccuparsi delle sorti dell’Italia, dei risparmi e della tenuta democratica della penisola. Tranquilli!
Ora, chi teme che così i populisti possano conquistare il potere e farci uscire dall’Euro, dall’Unione Europea, dalla NATO e – forse anche – dal sistema solare, danno troppa importanza e potere al voto popolare, il quale come stiamo vedendo da qualche anno a questa parte irrompe sullo scenario politico, sta lì per lì per esplodere, e al momento della deflagrazione si dissolve come una bolla di sapone. In questi anni convulsi e veloci, ci si è dimenticati in fretta della Grecia, della Brexit o della Catalogna. Il popolo si è espresso ma poi tutti sappiamo come è andata a finire: concerti e feste in piazze. Il sistema liberal democratico saprà sopportare una serata di giubilo in piazza; il lampo dell’illusione, di un sogno atavico e arcaico e nulla più. Passata la sbornia, si torna alla realtà, ai limiti, alle regole e ai Trattati. Si tornerà a sentirsi presi in giro alcuni e salvi gli altri.
La liberal democrazia sta vivendo il suo momento di maggior splendore. Non si vedono nuvole all’orizzonte. In primo luogo, si assiste all’esercizio continuo di quei freni istituzionali e giuridici che consentono il mantenimento del sistema e che impediscono ai partiti populisti di dare piena attuazione ai loro programmi elettorali. La macchina funziona benissimo. Questi continui ostacoli hanno altresì la funzione di far mutare pelle ai populisti e trasformarli in qualcosa di nuovo. Laddove ambiscano realmente un giorno a formare realmente un governo, i movimenti anti-sistema smetteranno i panni del reddito di cittadinanza e avranno la freschezza, perché privi di paradigmi superati, di affrontare temi quali: lo sviluppo della rete e la conseguente trasformazione della democrazia in e-democracy; lo sviluppo della e-economy, e-government ed e-policy; il sovrappopolamento del pianeta e la crisi energetica. In secondo luogo, la liberal democrazia, insieme col capitalismo, ha polverizzato i confini nazionali e, dunque, sarebbe riduttivo pensare che il sistema liberale sia in pericolo per un stallo di qualche mese in uno solo dei Paesi occidentali.
Che i liberali, i liberisti, i moderati, gli europeisti convinti, non siano scettici. Continuate a credere nelle vostre istituzioni (almeno voi). Niente allarmismi; non lasciatevi trascinare nel gorgo della paura. Non gridate all’apocalisse dello spread, altrimenti invocandola, l’apocalisse, potrebbe divenire Verbo nelle parole di un profeta neo-maicheo e allora sì che voi consegnerete la società liberal democratica ad un nuovo Salvatore. A chi non crede ai vostri stessi valori, voi tolleranti, lasciate almeno il tempo di un urlo, di un post, di una canzone, di una poesia; il gusto amaro di un illusione.
Vito Varricchio